Novelle (Bandello)/Prima parte/Novella XIII

Prima parte
Novella XIII

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La signora Camilla Scarampa, udendo esser tagliata la testa al suo marito, subito muore.


La disputa che voi, signori, tra voi graziosamente fatta avete, m’induce a narrarvi non una novella, ché questo nome non vo’ a la mia narrazione dare, ma un pietoso e breve caso, per il quale vederete che non solamente per soverchia allegrezza si muore, ma che anco si muor di doglia. Era del paese di Monferrato governatore il signor Costantino Aranite, cacciato del suo dominio da l’imperador dei turchi. E perché era de la madre del marchese Guglielmo di Monferrato strettissimo parente, a Casale si ridusse, ed essendo il marchese Guglielmo ancor fanciullo, egli lo stato governava. Avvenne in quei dí che il signor Scarampo degli Scarampi, famiglia in questa cittá ricca e nobilissima e di veneranda antichitá, che aveva per moglie una gentilissima e bella donna pur de la famiglia degli Scarampi, che Camilla si nomava, venne a questione con un gentiluomo di Monferrato per li confini de le lor castella. Aveva il signor Scarampo ne le Langhe alcune belle castella, ed in Monferrato anco teneva una bellissima terra. Ora in quei dí che Carlo VIII, re di Francia, passò in Italia e andò a pigliar il reame di Napoli, litigava esso Scarampo a Casale innanzi al conseglio del marchese per mantenere le giurisdizioni del suo luogo che quello di Monferrato cercava d’occupargli. E veggendo che non gli era fatta quella ragione che gli pareva d’avere, e che il suo avversario aveva piú favore, se ne lamentò due e tre volte a la marchesa ed al signor Costantino. Ma, non essendo udito, fortemente se ne sdegnò. Egli era molto piú ricco e potente che non era colui con il quale piativa, perciò che, come ho detto, e in Astesana ed altrove aveva molti bei luoghi. Onde si deliberò da se stesso farsi ragione, non considerando che per il feudo che aveva in Monferrato, era soggetto e vassallo del marchese e che d’ogni insulto che facesse sarebbe da la giustizia punito. Io credo che considerasse solamente a l’etá del marchese che ancor era fanciullo, e non guardasse che ’l signor Costantino, che era governator nuovo, cercava di farsi ubidire e d’esser temuto per acquistarsi autoritá. Congregata adunque moltitudine di gente dagli altri suoi luoghi, andò a l’improviso al castello del suo avversario, e quivi fatta ripresaglia, furono dai suoi molte cose rubate ed alcuni uomini morti. Come la cosa a Casale s’intese, fu al signor Scarampo a nome del marchese vietato che piú innanzi non andasse, e che facesse restituire tutto ciò che stato era preso e che personalmente innanzi al conseglio marchionale comparisse. Egli, sprezzato il comandamento del suo signore, non solamente non restituí ciò che i suoi avevano rubato, ma di nuovo con armata mano ritornato al luogo del suo contrario, fece peggio che prima, e non si curò di comparire. Il che sentendo il signor Costantino, e parendogli che il tutto fosse a vergogna del signor marchese e danno de la giurisdizione marchionale, e che di lui si teneva poco conto, di nuovo fece far un altro comandamento, che sotto pena de la privazione del feudo e di perderne la testa, egli fra termine di cinque giorni devesse personalmente presentarsi in Casale. Il signor Scarampo lasciatosi a la còlera e a lo sdegno governare, sprezzato questo altro commandamento, cominciò a far assai peggio che fatto non aveva, e sperando potersi ritrar a le castella che di qua aveva, andò e la villa del suo contrario abbrusciò e il tutto mise a sacco e a rovina. Il signor Costantino, che quasi questo disordine preveduto aveva, s’era di gente provisto, e subito se ne venne e pose l’assedio intorno al castello del signor Scarampo, prima che egli partire, come deliberato aveva, se ne potesse. La signora Camilla sua moglie, sentendo questa mala nuova, fece ogni sforzo per metter vettovaglia nel castello ove era il marito. Ma per la solenne ed assidua guardia che i nemici facevano, non puoté mai fare che i suoi penetrassero al marito. Onde, sapendo che egli non aveva bisogno se non di pane, si ritrovò molto di mala voglia, e dubitando di ciò che avvenne espedí per le poste un suo a Lodovico duca d’Orliens in Francia, supplicandolo che con piú fretta che fosse possibile provedesse a la salute del signor Scarampo. Il duca, che aveva molto caro esso signor Scarampo, subito mandò con sue lettere un cameriero a la marchesa di Monferrato, e le domandò di grazia che non lasciasse proceder piú innanzi il signor Costantino contra il signor Scarampo, e che farebbe che egli saria ubidiente e sodisfaria a tutti i danni del suo avversario. La marchesa, avuto il messo del duca d’Orliens, lo mandò con sue lettere al signor Costantino; il quale in quel tempo era a pattuire col signor Scarampo, che non avendo piú da vivere nel castello ed avendo mangiato i cavalli e quanto ci era, si rendeva a discrezione. Presentò il cameriero le lettere. Ma il signor Costantino, non so da qual spirito mosso, come ebbe lette le lettere, fece nel castello istesso tagliar la testa al signor Scarampo. Il che fu poi cagione de la sua rovina, perciò che non passarono tre anni che Lodovico duca d’Orliens fu fatto re di Francia, e prese il ducato di Milano, ed il signor Costantino fu astretto fuggir di Monferrato, perciò che il re aveva giurato di farlo morire se gli capitava a le mani. Ma torniamo a la signora Camilla, la quale, intendendo questa acerbissima nuova del marito, che ella amava a par de la vita sua, subito udito il messo s’inginocchiò, e pregando Dio che le perdonasse i suoi peccati, lo supplicò che le desse la morte. Mirabilissima cosa certo fu a veder quella bellissima donna, pregando Iddio restar a la presenza dei suoi morta, ché come ebbe detto: «Signor Dio, poi che il mio consorte è morto, non mi lasciar piú in vita», se le serrò di modo il core, che, senza far piú motto alcuno, cascò in terra. I suoi uomini e donne, credendo che fosse stramortita, se le misero a torno per rivocarle con varii argomenti gli spiriti vitali; ma poi ch’apparve morta a manifesti segni, fu con general pianto e dolor di tutti seppellita.


Il Bandello al signor Mario Equicola


d’Olveto salute


Strani e spaventosi talora son pur troppo i fortunevol casi che tutto ’l dí veggiamo avvenire, e non sapendo trovar la cagione che accader gli faccia, restiamo pieni di meraviglia. Ma se noi crediamo, come siamo tenuti a credere, che d’arbore non caschi foglia senza il volere e permission di colui che di nulla il tutto creò, pensaremo che i giudicii di Dio sono abissi profondissimi e ci sforzaremo quanto l’umana fragilitá ci permette a schifar i perigli, pregando la pietá superna che da lor ci guardi. La fortuna lasciaremo riverire agli sciocchi, e lodaremo il satirico poeta che disse: «O fortuna, noi uomini ti facciamo dea ed in cielo ti collochiamo». Ora io vi mando un meraviglioso accidente che di nuovo in Napoli è occorso, pieno di stupore e di compassione, secondo che in casa del signor abbate di Gonzaga narrò, non è molto, il piacevole e gentil giovine messer Giovantomaso Peggio. Quando voi l’averete letto, vi piacerá leggerlo a la nostra comune padrona, madama Isabella da Este marchesa di Mantova, e tenermi ne la sua buona grazia. Sarete anche contento communicarlo con le gentilissime damigelle di quella, che pur solevano cosí volentieri le cose mie leggere, non vi scordando il nostro gentilissimo e dotto messer Gian Giacomo Calandra e il mio piacevole tanto da me amato il signor Girolamo Negro. State sano.