Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 15. Musica, e Poesia
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§. XV.
Musica, e Poesia.
Jasce Kogna Marco Kraglievichiu:
S’iednom smiom Kogna zauzdaie,
A drughamu za Kanciu slusci.
Marco de’ Re’ sul suo destrier cavalca:
Una vipera in man per briglia tiene,
L’altra di spron gli serve.
Più antiche, che sono le loro Poesie tradizionali, più le pizziccano di questo gusto.
È cosa certa già, che il poetare è un particolar dono della Natura, ma sembra che questo dono non sia dato ugualmente a tutte le lingue. I Morlacchi di giorno in giorno, e di mano in mano, che succede qualche fatto memorabile, formano le loro canzoni colla giusta misura del verso, senza saper cosa il verso sia. Un Istorico giudizioso potrebbe raccoglier dalle loro Poesie moltissime notizie, appartenenti alla Storia della Nazione. La lingua nostra armoniosa per natura dovrebbe produr degli eccellenti Poeti, se sapessero unirvi anche l’arte, ed una volta i più colti si esercitavano ne’ metri Illirici, quali bene intesi niente invidiano le più perfette Poesie degl’Italiani. Lunga cosa sarebbe tesser ora il catalogo de’ nostri Poeti, ma non si può a meno di non nominare il rinomato, e per sempre immortale Giovanni Gondola da Ragusi. Il suo poema di Osman Secondo, meriterebbe ben di veder la luce, se l’invidioso tempo non ci avesse furati due pregiabili canti, che dovrem forse sospirarli per sempre. L’elevatezza del pensare, la dolcezza del verseggiare, e la naturalezza della rima, che in lui si ammirano, devono far insuperbire la Nazione Illirica, e specialmente la Patria sua di aver prodotto il suo Omero anch’essa. I più colti Dalmatini di oggi giorno non si degnano d’impiegar il proprio talento nel poetar natio, e pel timore di essere considerati barbari, dicono taluni (scioccamente credendolo un pregio) d’ignorar persino la lingua.
. . . . . Omnia Græce
Cum sit turpe magis nostris nescire Latine
Si potrebbe dir di loro, come Giuvenale de’ Romani.
- ↑ Non è delle più felici, nè delle migliori Canzoni Morlacche quella, che il Fortis tradusse, e ripose nel suo primo Volume, dopo aver parlato de’ loro costumi; nullaostante egli vi trova „un altra specie di merito, ricordante la semplicità de’ tempi Omerici, e relativo ai costumi della Nazione.“ In essa però vi sono de’ termini, degeneranti dall’antica purità, e de’ versi, che alterano la giusta misura. Ma si può dir perciò, che questo difetto sia dovuto al Poeta? No certamente. Le molte mani, per cui passano le Poesie scritte sono le sole cause di tutti gli errori, che vi potessero essere. In fatti nella sopracitata Canzone per tre volte si legge questo termine grede, che vuol dir cammina, che non è dell’antica purità. Uno che sappia la pretta lingua Illirica, per dinotar che taluno cammina, dirà sempre igie, o ide, ma non mai grede ch’è termine proprio degli abitanti del litorale, e degli Isolani, che parlan corrottamente, come si sa, la lingua nostra. L’armonia della Poesia Slava permette, che le vocali si elidano, o no a capriccio del Poeta. L’orecchio mi avvertì di questa verità; l’osservazione me la confermò. Eccone una prova
- Ni u dvoru, ni u rodu momu.
- On boluie v ranamì gliutimì;
- Uech gnu daie Imoskomu Kadii.
- On boluie u ranam gliutimi;
- Uech gnu daie Imoskom Kadii.
- Odieliti nikako ne mogla
- Odjelitse nikako ne mogla,
- ↑ Viaggiando, e particolarmente di notte quasi sempre ogni Morlacco canta, ma quando sono molti in compagnia cantano per lo più alternativamente. Anche i Romani pare, che così facessero, come comparisce da Virgilio in una delle sue egloghe.
- Et cantare pares, & respondere parati.