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spesso dovrebbono soggiacere; a motivo della loro miserabile situazione. Alcune delle loro composizioni ànno un no so che dell’Orientale. Per esprimere la ferocia di Marco Kraglicvich, ch’è quel Campione, di cui più di ogni altro si sente risuonar il nome fra essi, ò udito cantare

          Jasce Kogna Marco Kraglievichiu:
          S’iednom smiom Kogna zauzdaie,
          A drughamu za Kanciu slusci.
          
          Marco de’ Re’ sul suo destrier cavalca:
          Una vipera in man per briglia tiene,
          L’altra di spron gli serve.

Più antiche, che sono le loro Poesie tradizionali, più le pizziccano di questo gusto.

È cosa certa già, che il poetare è un particolar dono della Natura, ma sembra che questo dono non sia dato ugualmente a tutte le lingue. I Morlacchi di giorno in giorno, e di mano in mano, che succede qualche fatto memorabile, formano le loro canzoni colla giusta misura del verso, senza saper cosa il verso sia. Un Istorico giudizioso potrebbe raccoglier dalle loro Poesie moltissime notizie, appartenenti alla Storia della Nazione. La lingua nostra armoniosa per natura dovrebbe produr degli eccellenti Poeti, se sapessero unirvi anche l’arte, ed una volta i più colti si esercitavano ne’ metri Illirici, quali bene intesi niente invidiano le più perfette Poesie degl’Italiani. Lunga cosa sarebbe tesser ora il catalogo de’ nostri Poeti, ma non si può a meno di non nominare il rinomato, e per sempre immortale Giovanni Gondola da Ragusi. Il suo poema di Osman Secondo, meriterebbe ben di veder la luce, se l’invi-