Operette morali (Leopardi - Donati)/Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi
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PROPOSTA DI PREMI
FATTA DALL’ACCADEMIA DEI SILLOGRAFI
L’Accademia dei Sillografi attendendo di continuo, secondo il suo principale instituto, a procurare con ogni suo sforzo l’utilitá comune, e stimando niuna cosa essere piú conforme a questo proposito che aiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni
del fortunato secolo in cui siamo,
come dice un poeta illustre, ha tolto a considerare diligentemente le qualitá e l’indole del nostro tempo; e dopo lungo e maturo esame si è risoluta di poterlo chiamare l’etá delle macchine, non solo perché gli uomini di oggidí procedono e vivono forse piú meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate, o che si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e cosí vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita. Del che la detta accademia prende sommo piacere, non tanto per le comoditá manifeste che ne risultano, quanto per due considerazioni che ella giudica essere importantissime, quantunque comunemente non avvertite. L’una si è che ella confida dovere in successo di tempo gli uffici e gli usi delle macchine venire a comprendere oltre le cose materiali, anche le spirituali; onde nella guisa che, per virtú di esse macchine, siamo giá liberi e sicuri dalle offese dei fulmini e delle grandini e da molti simili mali e spaventi, cosí di mano in mano si abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e facciasi grazia alla novitá dei nomi), qualche parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia o parafrodi, qualche filo di salute o altro ingegno che ci scampi dall’egoismo, dal predominio della mediocritá, dalla prospera fortuna degl’insensati, de’ ribaldi e de’ vili, dall’universale noncuranza e dalla miseria de’ saggi, de’ costumati e de’ magnanimi, e dagli altri sí fatti incomodi, i quali da parecchi secoli in qua sono meno possibili a distornare che giá non furono gli effetti dei fulmini e delle grandini. L’altra cagione e la principale si è che, disperando la miglior parte dei filosofi di potersi mai curare i difetti del genere umano, i quali, come si crede, sono assai maggiori e in piú numero che le virtú; e tenendosi per certo che sia piuttosto possibile di rifarlo del tutto in una nuova stampa, o di sostituire in suo luogo un altro, che di emendarlo; perciò l’Accademia dei Sillografi reputa essere espedientissimo che gli uomini si rimuovano dai negozi della vita il piú che si possa, e che a poco a poco dieno luogo, sottentrando le macchine in loro scambio. E deliberata di concorrere con ogni suo potere al progresso di questo nuovo ordine delle cose, propone per ora tre premi a quelli che troveranno le tre macchine infrascritte.
L’intento della prima sará di fare le parti e la persona di un amico, il quale non biasimi e non motteggi l’amico assente; non lasci di sostenerlo quando l’oda riprendere o porre in giuoco; non anteponga la fama di acuto e di mordace, e l’ottenere il riso degli uomini, al debito dell’amicizia; non divulghi, o per altro effetto o per aver materia da favellare o da ostentarsi, il segreto commessogli; non si prevalga della familiaritá e della confidenza dell’amico a soppiantarlo e soprammontarlo piú facilmente; non porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e di ovviare o di riparare a’ suoi danni, e sia pronto alle sue domande e a’ suoi bisogni, altrimenti che in parole. Circa le altre cose, nel comporre questo automato, si avrá l’occhio ai trattati di Cicerone e della marchesa di Lambert sopra l’amicizia. L’Accademia pensa che l’invenzione di questa cosí fatta macchina non debba esser giudicata né impossibile né anche oltre modo difficile, atteso che, lasciando da parte gli automati del Regiomontano, del Vaucanson e di altri, e quello che in Londra disegnava figure e ritratti, e scriveva quanto gli era dettato da chiunque si fosse; piú d’una macchina si è veduta che giocava agli scacchi per se medesima. Ora, a giudizio di molti savi, la vita umana è un giuoco; ed alcuni affermano che ella è cosa ancora piú lieve, e che tra le altre, la forma del giuoco degli scacchi è piú secondo ragione, e i casi piú prudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita. La quale oltre a ciò, per detto di Pindaro, non essendo cosa di piú sostanza che un sogno di un’ombra, ben debbe esserne capace la veglia di un automato. Quanto alla favella, pare non si possa volgere in dubbio che gli uomini abbiano facoltá di comunicarla alle macchine che essi formano, conoscendosi questa cosa da vari esempi, e in particolare da ciò che si legge della statua di Mennone e della testa fabbricata da Alberto magno, la quale era si loquace, che perciò san Tommaso di Aquino, venutagli in odio, la ruppe. E se il pappagallo di Nevers1, con tutto che fosse una bestiolina, sapeva rispondere e favellare a proposito, quanto maggiormente è da credere che possa fare questi medesimi effetti una macchina immaginata dalla mente dell’uomo e construtta dalle sue mani; la quale giá non debbe essere cosí linguacciuta come il pappagallo di Nevers ed altri simili che si veggono e odono tutto giorno, né come la testa fatta da Alberto magno, non le convenendo infastidire l’amico e muoverlo a fracassarla. L’inventore di questa macchina riporterá in premio una medaglia d’oro di quattrocento zecchini di peso, la quale da una banda rappresenterá le immagini di Pilade e di Oreste, dall’altra il nome del premiato col titolo: primo verificatore delle favole antiche.
La seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare opere virtuose e magnanime. L’Accademia reputa che i vapori, poiché altro mezzo non pare che si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente e indirizzarlo agli esercizi della virtú e della gloria. Quegli che intraprenderá di fare questa macchina, vegga i poemi e i romanzi, secondo i quali si dovrá governare circa le qualitá e le operazioni che si richieggono a questo automato. Il premio sará una medaglia d’oro di quattrocento cinquanta zecchini di peso, stampatavi in sul ritto qualche immaginazione significativa della etá d’oro e in sul rovescio il nome dell’inventore della macchina, con questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio: quo ferrea primum desinet ac toto surget gens aurea mundo.
La terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassar Castiglione, il quale descrisse il suo concetto nel libro del Cortegiano, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, come eziandio quello del conte. Né anche l’invenzione di questa macchina dovrá parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, quando pensino che Pigmalione, in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze, si potè fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi all’autore di questa macchina una medaglia d’oro in peso di cinquecento zecchini, in sulla quale sará figurata da una faccia l’araba fenice del Metastasio, posata sopra una pianta di specie europea, dall’altra parte sará scritto il nome del premiato col titolo: inventore delle donne fedeli e della felicitá coniugale.
L’Accademia ha decretato che alle spese che occorreranno per questi premi, suppliscasi con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogene, stato segretario di essa Accademia, o con uno dei tre asini d’oro che furono di tre accademici sillografi, cioè a dire di Apuleio, del Firenzuola e del Machiavelli; tutte le quali robe pervennero ai Sillografi per testamento dei suddetti, come si legge nella storia dell’Accademia.
Note
- ↑ [p. 230 modifica]Pag. 30, l. 26: Il pappagallo di Nevers... Vedi il Vert-vert del Gresset.