Opere scelte di Alfonso Varano/Notizie intorno alla vita di Alfonso Varano
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NOTIZIE
INTORNO
ALLA VITA
DI
ALFONSO VARANO.
Alfonso Varano, degli antichi duchi di Camerino, nacque il giorno 13 di Dicembre dell’anno 1705 in Ferrara, di Giulio Cesare Varano, e d’Ippolita Brasatola, anch’essa d’antica stirpe e gentile1. Giovanetto entrò nel collegio de’ Nobili di Modena, e vi fu accuratamente instrutto alle liberali discipline e spezialmente alla poetica, dal valoroso poeta e solenne precettore Girolamo Tagliazucchi. Uscitone verso il diciannovesimo anno dell’età sua, ritornò in patria pieno del bello e del grande de’ classici scrittori, e desideroso d’emularli. Arricchì egli tosto l’animo delle filosofiche e filologiche cognizioni, necessarie a chi aspiri al vanto d’esimio poeta. Datosi di poi alla poesia lirica ed alla buccolica, andò di buon ora per la strada dell’ottimo. A venti anni aveva già composta l’insigne Egloga intitolata l’Incantesimo; ed il celebre Cardinale Cornelio Bentivoglio gli scriveva di Ravenna, nel dì 13 d’Ottobre l’anno 1725; che in quell’Egloga gli sembrava tutto mirabile: l’invenzione, lo stile, il modo di pensare, la proprietà nello esprimersi, e l’erudizione in osservare i riti delle antiche Incantazioni. Quattro Egloghe compose egli che non temono il paragone delle greche, nè delle latine classiche, le vincono nella decenza del costume, le agguagliano nell’amenità delle immagini e nella gentilezza e semplicità dello stile; e non peccano di certa stentata arguzia ed affettata filosofia, onde vanno macchiate l’Egloghe moderne. Incoraggiato da’ suoi primi successi coltivò parecchi anni con ardore la lirica, la filosofica e la berniesca poesia, e formò in tutti questi generi uno stile terso e leggiadro. Volle anco tentare nella sua prima gioventù l’arte tragica, e fece la bozza del Demetrio.
Versato nello studio della Bibbia, e zelatore della religione, ebbe ognora un inclinazione singolare alla sacra poesia. La sua canzone in lode di Maria Vergine, e l’altra nella Risurrezione di Cristo ne sono eccellenti modelli. Ma la Provvidenza, cantica in terza rima di Gaspero Leonarducci impressa in parte nell’anno 1739 in Venezia, fu quella che gli eccitò idee novissime di sacro poetare. Da quel punto andò pensando come crear si potesse un genere di poesia interamente spoglio dell’idee della mitologia pagana, il che non venne fatto tampoco, nella grande trattazione delle cose sacre, nè all’Alighieri nè al Sannazaro nè al Vida nè al Tasso nè al Leonarducci medesimo. Il Varano tentò rigorosamente il primo di sbandire dalla italiana poesia la mitologia pagana, mezzo secolo innanzi che la setta volgarmente appellata romantica sorgesse in Europa. Fondò egli il nuovo genere di poesia sul vero della natura e della cristiana religione; l’eseguì nelle sue maravigliose Visioni ed in molte poesíe liriche; e raccolse le principali idee del suo sistema in un discorso, che prepose alle Visioni, e che noi porremo in fronte di questo Volume. Intese l’autore, da gran poeta e filosofo qual era, che, per isbandire la vaghissima mitologia pagana, conveniva farne prova sopra il genere più immaginoso del poetare, com’è quello delle Visioni, onde avvolgere la severa e misteriosa sublimità della cristiana religione, e la sua filosofia, fredda reggitrice delle passioni, per entro alle immagini più ardite ed energiche della natura e della volgare opinione. Volevasi quindi una cotal aversione dalla terrena felicità e dall’esercizio delle dolci passioni naturalmente guaste e corruttrici, un’arida malinconía, un contento della sola rigida soprannaturale virtù: poi l’infinita e necessaria schiera de’ mali, ond’è afflitto il mondo, e tremuoti e peste e morte e rovine d’ogni maniera, ed angeli sterminatori e spettri e demonj, e la tonante fiamma del cielo e la mugghiante ira dell’oceano tempestoso; cose in complesso atte a scuotere violentemente, indi a stringer l’anima di gelato orrore, anzi che agitarla gradevolmente e condurla per lo sentiero della grazia, della compassione, del terrore e della vaghezza all’utile ed al diletto. Accortosi il Varano della disparità de’ mezzi, con cui tentava la sua riforma, seppe essere importante pel corredo della naturale filosofia, che trattò con la maestría di Lucrezio e di Dante, e si attenne strettamente alle regole del bello poetico. Unità nella composizione verità e scelta nell’imitazione, indole di stile vigorosamente appropriata al soggetto sono qualità specialissime delle sue Visioni. Ma tante sue cure valsero elleno sempre ad allontanare da quelle sublimi Visioni un certo qual senso d’increscimento e di ribrezzo proprio di quel genere di poesía? Alquante idee non riescono necessariamente oscure, ed altre bisognose della cristiana credenza, ond’essere reputate degne del decoro poetico, benchè ornate di nobile locuzione? Non ci accorgiamo forse alquante volte, che quel sacro vero mal può altramente esprimersi che con aspra gravità, e destramente celarsi che sotto il velame delli versi strani, come confessa, citando Dante, lo stesso Varano nel mentovato discorso? Potrebb’altri per avventura attribuire al nostro autore que’ difetti che sono proprj del genere; ma perchè incolpare d’oscurità, d’asprezza e di monotonía uno scrittore che ne fu immune nella buccolica, nella lirica, nella scherzevole e nella tragica poesía? Sono però tali e tante le insigni bellezze delle Visioni, spezialmente per la sublimità delle immagini, e per la verità e grandezza delle descrizioni dall’ultima natura fino a Dio, che ne sembra tempo perduto il rammentarle, per non incontrare la taccia data a quel pedante, che segnando le bellezze d’Omero non s’era accorto d’averlo interamente segnato. Ne basti il dire, che, se le Visioni cedono nell’evidenza e nella rapidità dello stile a quello di Dante, e nella dolcezza e leggiadria a quello del Petrarca, hanno però un carattere proprio di grandezza, gravità e splendore di stile, che non aveva ancora l’eguale la terza rima italiana.
La falsa opinione degli stranieri, che la lingua italiana mal sapesse trattare la tragedia, eccitò il Varano a darle opera. Rivide egli con ostinato studio il suo Demetrio, disapprovando l’edizione fattane dal Berno in Verona l’anno 1745, e corretto lo fece imprimere l’anno 1749 nel Seminario di Padova. Il Voltaire ne commendò assai l’autore del Demetrio. Quella tragedia è da taluno ripresa per l’ostinazione di Artamene a non palesarsi per Demetrio innanzi che le cose andassero all’estremo, nè sembragli tale ostinazione necessaria, bella e degna della tragedia, se non quando Demetrio, noto alla madre, tace eroicamente, per non recarle onta e nocumento. La tragedia però move da un punto, in cui Demetrio e pel timore che ha palesandosi di non placare Arsinoe, e per la sicura conoscenza del materno odio invincibile, è astretto verosimilmente al silenzio. E se il soggetto non è forse capace della massima compassione, l’autore seppe dargli tanto calore, tant’importanza, tanta dignità e magnificenza, che ne illude gradevolmente, e ne comprende spesso di maraviglia. Regolare, crescente, ben condotta si è la favola, propri e ben coloriti i caratteri, naturale e concitato il dialogo, nobile ed elegante lo stile, grandiosi i Cori introdotti nell’intervallo degli Atti.
Questi pregi sono in gran parte comuni alla tragedia del Giovanni di Giscala tiranno del Tempio di Gerusalemme, che il Varano dedicò al Pontefice Benedetto XIV e impresse splendidamente in Venezia l’anno 1754 per Pietro Valvasense, ornata in ogni Atto di medaglie battute dai Romani ad onore di Vespasiano e di Tito. La feroce grandezza d’animo del Giscala campeggia in più scene vigorose e commoventi, e spezialmente nella IV dell’Atto III, in cui s’intenerisce all’aspetto del figlio prigioniero, inviatogli da Tito per la resa del Tempio, indi lo rimanda con isdegno al preparato supplizio; e nell’ultima dell’Atto V, in cui muore il tiranno. I Cori di questa tragedia sono ricchi di pensieri sublimi, e vengono spesso imitati da valorosi poeti.
Due altre tragedie compose il Varano nella sua vecchiezza, ancor piene di buona poesía, di vigore e di filosofia cristiana: l’Agnese tratta dalla storia giapponese, e dall’indiana la Saeba. Pubblicò egli l’Agnese nell’anno 1783 in Parma pel Bodoni, dedicandola al Pontefice Pio VI, e lasciò postuma la Saeba. Il pubblico giudizio, dopo la bella sperienza del Polieuto, ricusa i martirj lungamente narrati su la scena come nell’Agnese, o le repentine conversioni, come nella Saeba; e generalmente risguarda la trattazione delle sovrumane virtù qual soggetto poco atto alla tragedia, che diletta ed ammaestra col vigoroso maneggio delle grandiose umane passioni.
Il Varano cedè negli ultimi anni di vita alle istanze degli amici, che desideravano di veder raccolte e pubblicate le sue poesie; e le fece imprimere in Parma dal Bodoni in 3 volumi, usciti a luce nell’anno 1789. Non vide l’Autore che il I. volume, e si dolse della sua scorrezione. Accurata vie più si è l’edizione fatta sui MS. originali dal Palese in Venezia l’anno 1805 in 4 volumi per le cure di Venanzio Varano cugino dell’Autore, ed arricchita di notizie intorno alla Vita di lui, della Saeba, e del dramma intitolato i Fratelli nemici tratto dalla storia delle discordie de’ figli di Severo Imperadore, e nobilmente verseggiato. Seguimmo per lo più quest’edizione anco nell’ortografia speziale dell’Autore, ove ne parve necessaria.
Benchè il Varano reputasse assai le sue Visioni ed il suo nuovo metodo di poetare, fu ben lungi dallo sprezzare la poesía fondata su la pagana mitología; tenne anzi in gran conto le sue poesie buccoliche, parecchie delle liriche, ed il Demetrio, scritti in quel genere; persuaso della prestanza loro, e della gloria che gliene derivava
Costumatissimo il Varano dalla prima giovinezza, e piacevole, allettava gli animi col suo conversare. Aveva molta conoscenza del mondo ed accortezza; ma non versò mai nel maneggio delle pubbliche faccende, e si prese poca briga delle sue domestiche. Invitato d’andarsene, dopo la morte del Conte Nigrelli, Ambasciadore della Patria a Roma, disse, che l’avrebbe accettato, se non gliene fossero spiaciute le condizioni. Divise il tempo sino all’estrema vecchiaja fra lo studio e l’esercizio della cristiana filosofia, che illustrò con pietà e carità singolare. Nè il frequente ricordarsi dell’antica e signorile sua stirpe moveva in lui da orgoglio, ma da semplice e piacevole ingenuità. Robusto di complessione e sobrio visse sano fino alla tarda vecchiaja, nè ebbe incomodo che la sordità. Contrasse solo nell’estremo della vita una languidezza di tutta la persona, restía ad ogni prova della natura e dell’arte. Si resse egli alcuni mesi, temperando con la cristiana filosofía i gravi suoi patimenti, e recitando spesso i più bei tratti delle sue Visioni: morì in Ferrara il 13 Giugno dell’anno 1788 con animo fermo e sereno. Non menò moglie, e in lui si spense il ramo ferrarese della casa Varano. La modesta pompa de’ funerali di lui venne decorata dall’intervento dell’Accademia degl’Intrepidi. Fu pubblicamente lodato dall’Abate Luigi Campi nel Duomo, ove si deposero le sue spoglie mortali coperte di bella lapide con la seguente inscrizione dell’Abate Gaetano Migliore:
HEIC . SITVS . EST
ALPHONSVS . VARANVS
AB . DYNASTIS
CAMERTIVM . PROGNATVS
CVIVS . PIETAS . ET DOCTRINA
CLARITATEM . MAIORVM
SVPERGRESSA . EST
VIXIT . ANNOS . LXXXIII
DECESSIT . A . MDCCLXXXVIII
RODVLPHVS . VARANVS
GENTILI . SVO
P. C .
Seguendo il proposto divisamento scegliemmo col giudizio di gravissime persone quelle fra le opere del Varano che sono riputate classiche dall’Italia: le Visioni, il Demetrio, il Giovanni di Giscala, le Egloghe, e tre Canzoni, le due sacre in lode di Maria Vergine, e nella Risurrezione di Cristo, e l’Anacreontica per le nozze del Rangone con la Terzi. Commendevoli sono le altre opere dell’Autore, e sparse di ragguardevoli bellezze, ma non tali da vincere i secoli, nè da proporsi a modello classico ed originale.
Note
- ↑ Queste Notizie furono, o narrate allo scrittore delle medesime dagli amici del Varano o tratte dalla opere di lui, dalle Memorie storiche degli Scrittori Ferraresi, dalla Storia critica de’ Teatri del Napoli-Signorelli, dall’Elogio del Varano detto in Camerino l’anno 1790 dal Professore d’eloquenza Emidio Panelli, e da altre opere.