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VIII

La tragedia però move da un punto, in cui Demetrio e pel timore che ha palesandosi di non placare Arsinoe, e per la sicura conoscenza del materno odio invincibile, è astretto verosimilmente al silenzio. E se il soggetto non è forse capace della massima compassione, l’autore seppe dargli tanto calore, tant’importanza, tanta dignità e magnificenza, che ne illude gradevolmente, e ne comprende spesso di maraviglia. Regolare, crescente, ben condotta si è la favola, propri e ben coloriti i caratteri, naturale e concitato il dialogo, nobile ed elegante lo stile, grandiosi i Cori introdotti nell’intervallo degli Atti.

Questi pregi sono in gran parte comuni alla tragedia del Giovanni di Giscala tiranno del Tempio di Gerusalemme, che il Varano dedicò al Pontefice Benedetto XIV e impresse splendidamente in Venezia l’anno 1754 per Pietro Valvasense, ornata in ogni Atto di medaglie battute dai Romani ad onore di Vespasiano e di Tito. La feroce grandezza d’animo del Giscala campeggia in più scene vigorose e commoventi, e spezialmente nella IV dell’Atto III, in cui s’intenerisce all’aspetto del figlio prigioniero, inviatogli da Tito per la resa del Tempio, indi lo rimanda con isdegno al preparato supplizio; e nell’ultima dell’Atto V, in cui muore il tiranno. I Cori di questa tragedia sono ricchi di pensieri sublimi, e vengono spesso imitati da valorosi poeti.

Due altre tragedie compose il Varano nella sua vecchiezza, ancor piene di buona poesía, di vigore e di filosofia cristiana: l’Agnese