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grande de’ classici scrittori, e desideroso d’emularli. Arricchì egli tosto l’animo delle filosofiche e filologiche cognizioni, necessarie a chi aspiri al vanto d’esimio poeta. Datosi di poi alla poesia lirica ed alla buccolica, andò di buon ora per la strada dell’ottimo. A venti anni aveva già composta l’insigne Egloga intitolata l’Incantesimo; ed il celebre Cardinale Cornelio Bentivoglio gli scriveva di Ravenna, nel dì 13 d’Ottobre l’anno 1725; che in quell’Egloga gli sembrava tutto mirabile: l’invenzione, lo stile, il modo di pensare, la proprietà nello esprimersi, e l’erudizione in osservare i riti delle antiche Incantazioni. Quattro Egloghe compose egli che non temono il paragone delle greche, nè delle latine classiche, le vincono nella decenza del costume, le agguagliano nell’amenità delle immagini e nella gentilezza e semplicità dello stile; e non peccano di certa stentata arguzia ed affettata filosofia, onde vanno macchiate l’Egloghe moderne. Incoraggiato da’ suoi primi successi coltivò parecchi anni con ardore la lirica, la filosofica e la berniesca poesia, e formò in tutti questi generi uno stile terso e leggiadro. Volle anco tentare nella sua prima gioventù l’arte tragica, e fece la bozza del Demetrio.
Versato nello studio della Bibbia, e zelatore della religione, ebbe ognora un inclinazione singolare alla sacra poesia. La sua canzone in lode di Maria Vergine, e l’altra nella Risurrezione di Cristo ne sono eccellenti modelli. Ma la Provvidenza, cantica in