Occhi e nasi/Gli ultimi fiorentini/(Copia conforme all'originale)
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- Signor Michele
Appena letto sui giornali che l’E. V. aveva fissato il chiodo a voler presentare alla Camera una legge sull’Istruzione obbligatoria, il nostro primo pensiero fu quello di correre a Roma, per parlarne a voce con lei. Ma poi si credè bene di non farne nulla; perchè venendo costà, bisognava presentarsi a codesto Ministero secondo l’ultima edizione del galateo, cioè in abito nero e cravatta bianca: e noi fiorentini, fin da ragazzi, abbiamo avuto sempre per l’abito nero una repugnanza invincibile. Che vuol che si dica, Eccellenza? Ogni volta che noi vediamo un uomo in pantaloni neri, cravatta bianca e giubba a coda di rondine, e ripensiamo che quel coso lì è creato a immagine e similitudine d’Iddio, ci cascano subito le braccia e ci si patisce per il Creatore, proprio come se il Creatore fosse una persona della nostra famiglia.
Del resto, quest’affare dell’Istruzione obbligatoria ha tutta la fisonomia di un affare serio, ed ecco perchè ne ragioniamo volentieri con lei, competentissimo per ogni rispetto nella materia.
Che lei sia un uomo, lo dicono tutti. Si figuri che lo dicono anche gli stessi suoi amici: e questo ci pare un gran fatto, perchè la più atroce violenza che si possa fare al cuore umano, è appunto quella di costringere l’amico a dover dir bene dell’amico.
Che lei poi sia un uomo giusto, basta a farne fede, fra le altre cose, il suo nome di battesimo. Quando un uomo si chiama Michele è segno manifesto che la Provvidenza Divina lo ha voluto mettere sotto le ali di quell’Arcangelo che inventò le bilancie e che viene meritamente considerato come il capo divisione di tutti i verificatori di pesi e misure.
Eccellenza! Se qui non mettiamo un tappo alla rotta dell’argine, con tutto questo straripamento continuo di leggi obbligatorie, finiremo un giorno o l’altro coll’affogare la nostra vantata libertà, quella libertà che ci costa tanti quattrini e che ancora, Dio ci liberi tutti! non è finita di pagare.
Guardi che litania prolissa! Obbligatorio il far da giurati, obbligatorio il servizio militare, obbligatorio il pagamento delle tasse, obbligatorio il far da membro (frase indecorosa e quasi avvilitiva) nelle Commissioni di sindacato, e per giunta obbligatoria anche l’istruzione elementare. Che si celia! In mezzo a tutta questa farragine d’obblighi, è grazia di Dio se al libero cittadino rimangono appena cinque minuti di tempo, tanto per fare una gita alpinistica sul Monte di Pietà in cerca di un orologio allo stato fossile e di un paio di lenzuoli cristallizzati.
Eppoi ci sia lecito domandare: perchè usare questa prepotenza sui poveri analfabeti! Gli analfabeti, tempo fa, si contarono, e l’abbaco della statistica governativa fece vedere che raggiungevano la rispettabile cifra di diciassette milioni. Tanto valeva aver dimostrato che le persone istruite rappresentavano in tutto il Regno appena appena un terzo dell’intera popolazione.
Com’è dunque che i meno pretendono di tiranneggiare e d’imporre la loro volontà ai più?
Rammentiamoci, Eccellenza, che il principio universalmente accettato del rispetto dovuto alle maggioranze è la pietra angolare sulla quale riposa tutto l’ingegnoso meccanismo di quelle istituzioni che, per chiamarle in qualche modo, si chiamano liberali.
C’è poi da pensare a un fatto gravissimo. Volendo applicare la legge sulla istruzione obbligatoria in tutte le province del Regno, ne viene di santa ragione che bisogna aumentare all’infinito il numero dei maestri elementari.
Ora, l'Eccellenza Vostra, sa che il maestro elementare in Italia è una specie di conte Ugolino del secolo decimonono: un conte, se vogliamo, senza contea, senza Gaddi, senza Anselmucci e senza arcivescovi Ruggeri, che gli mangino il capo di retro guasto; ma in compenso la natura, sempre burlona, gli ha regalato uno stomaco così digiuno, da divorare magaraddio anche le panche di quella scuola,
La qual per lui ha il titol della fame,
come canta, a questo proposito, il divino Alighieri.
Mettiamoci dunque una mano da quella parte del panciotto, dove i comici suppongono che stia di casa la coscienza, e ragioniamola fra noi.
In tempi di carità universale come i nostri o in mezzo a questa generazione così sensibile, filantropica e pietosa, che almanacca giorno e notte comitati e società protettrici a favore delle bestie: che difende a viso aperto il povero ladro perseguitato dalle angherie del galantuomo, e che manda i defunti piccioni a farsi cucinare negli spedali, per poterli così consolare della fucilata toccata loro sul prato del Tiro a segno, è cosa giusta e umana, domandiamo noi, accrescere il numero di quegli infelici maestri comunali, i quali, in grazia dei loro stipendi diafani e impalpabili come l’aria, sono condannati da un anno altro a mangiare tutti i giorni una colazione in miniatura, un pranzo dipinto all’acquerello e una modestissima cena in fotografia?
E se finisse qui, pazienza: ma c’è da sciogliere un quesito tremendo: il quesito, cioè, se quest’obbligo in tutti di sapere almeno leggere e scrivere sia veramente un bene o un male.
Non ci facciamo illusioni: il saper leggere è una vanità che ha pur troppo i suoi pericoli, e la storia è là per provarlo. Basti, fra tanti esempj, quello di Francesca da Rimini e del suo cognato, i quali, come racconta il poeta, s’innamorarono perdutamente, mentre stavano leggendo insieme!
Noi leggevamo un giorno per diletto....
Se Francesca e Paolo fossero stati due analfabeti, chi lo sa che l’adulterio non avesse fatto un corso più benigno, e che quel povero diavolo di Lanciotto non fosse riuscito a risparmiami, in faccia alla posterità, il titolo di marito, nel significato affettivo e patologico della parola.
E lo scrivere? Anche l’arte dello scrivere, Eccellenza, è un’arte insidiosa, la quale, volere o no, ha riempito il mondo di eresie, di spropositi e di libri noiosi. L’uomo che sa scrivere è già incamminato su quel lubrico sentiero, che mena alle alterazioni in documenti pubblici, alle cambiali false e alle commedie in cinque atti e in versi martelliani.
È appunto per questi e per molti altri motivi, che sarebbe bene gridare fin d’ora: rispettiamo gli analfabeti!
L’analfabeta, con una splendida similitudine, venne paragonato a un candido foglio, vergine e puro da ogni macchia d'inchiostro e da ogni lettera dell’alfabeto: sicchè dunque, a conti fatti, l’Italia può vantarsi presentemente di possedere diciassette milioni di fogli candidi come la neve. Signor Ministro! Un po’ di carità per tutte queste risme di carta bianca!...
Devotissimi |