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negli spedali, per poterli così consolare della fucilata toccata loro sul prato del Tiro a segno, è cosa giusta e umana, domandiamo noi, accrescere il numero di quegli infelici maestri comunali, i quali, in grazia dei loro stipendi diafani e impalpabili come l’aria, sono condannati da un anno altro a mangiare tutti i giorni una colazione in miniatura, un pranzo dipinto all’acquerello e una modestissima cena in fotografia?

E se finisse qui, pazienza: ma c’è da sciogliere un quesito tremendo: il quesito, cioè, se quest’obbligo in tutti di sapere almeno leggere e scrivere sia veramente un bene o un male.

Non ci facciamo illusioni: il saper leggere è una vanità che ha pur troppo i suoi pericoli, e la storia è là per provarlo. Basti, fra tanti esempj, quello di Francesca da Rimini e del suo cognato, i quali, come racconta il poeta, s’innamorarono perdutamente, mentre stavano leggendo insieme!


Noi leggevamo un giorno per diletto....


Se Francesca e Paolo fossero stati due analfabeti, chi lo sa che l’adulterio non avesse fatto un corso più benigno, e che quel povero diavolo di Lanciotto non fosse riuscito a risparmiami, in faccia alla posterità, il titolo di marito, nel significato affettivo e patologico della parola.

E lo scrivere? Anche l’arte dello scrivere, Eccellenza, è un’arte insidiosa, la quale, volere o no, ha riempito il mondo di eresie, di spropo-