Occhi e nasi/Gli ultimi fiorentini/Il Granduca e le feste fiorentine

Il Granduca e le feste fiorentine

../(Copia conforme all'originale) ../Il palio dei cocchi e la corsa de’ fantini IncludiIntestazione 7 dicembre 2016 100%

Il Granduca e le feste fiorentine
Gli ultimi fiorentini - (Copia conforme all'originale) Gli ultimi fiorentini - Il palio dei cocchi e la corsa de’ fantini


[p. 197 modifica]

Il Granduca e le feste fiorentine.


Ritratto dell’ultimo Granduca, veduto di dietro: — Due ginocchi ripiegati, che uscivano di sotto a un soprabito nero, e sul bavero del soprabito una testa che ciondolava di qua e di là, come se fosse una testa da potersi levare e rimettere a piacere.

In quei tempi preistorici, il Granduca era la salsa e il condimento di tutti i divertimenti pubblici; e la salsa e il condimento, pare incredibile, [p. 198 modifica]si divertivano anche loro. Misteri della cucina tedesca!

Palio dei cocchi col Granduca,

Corse dei fantini, col Granduca,

Corse dei barberi, col Granduca,

Fuochi artificiali, col Granduca,

Concerti musicali, col Granduca, e

Servizj di Chiesa, col Granduca.

Il «Servizio di Chiesa» per chi non lo sapesse, era una specie di solennità melo-mimo-religiosa, in cui si vedeva il buon Granduca, che nella sua qualità di primo Ministro di Dio in Toscana, andava con grande scialo a rendere pubblico omaggio al suo Principale, esposto sull’altar maggiore della chiesa, intanto che i soldati, schierati in piazza sotto la pioggia o sotto i colpi di sole, pur di far qualcosa, bestemmiavano tranquillamente il principale e il Ministro.

Quando poi nel giorno successivo, la Gazzetta officiale di Firenze parlava del Granduca intervenuto a questa solennità, lo dipingeva sempre «circondato dall’amore de’ suoi buoni sudditi» frase appetitosa, perchè, per una certa analogia di suono, rammentava ai buoni sudditi l’immagine del bove arrosto circondato dalle sue patatine.

I Fiorentini d’una volta erano appassionatissimi per le feste e per i divertimenti pubblici: ma dopo l’arrivo della capitale provvisoria, pensarono bene di prendere a nolo un po’ di serietà posticcia; e se qualche volta avevano proprio voglia di ridere e di stare allegri, lo facevano in pelle in pelle tanto dia non svegliare la generosa [p. 199 modifica]bile de’ loro nuovi ospiti, che per prosopopea teatrale e per burbanzosa severità di sopracciglio, potevano misurarsi coi migliori artisti drammatici della scuola di Morrocchesi e di Domeniconi.

Che peccato! Quanti padri nobili e quanti tiranni da teatro diurno, rapiti senza pietà al palcoscenico, e seppelliti irreparabilmente nelle alte sfere politiche e governative!

Fra tutte le feste pubbliche fiorentine, la più bella e la più famosa era quella di San Giovanni.

Oramai sta scritto nei Calendarj ecclesiastici e civili d’ogni lingua, che San Giovanni Battista è il Santo patrono della città di Firenze; o almeno così se lo figurano i fiorentini, comecchè il Battista non siasi ancora degnato di far conoscere ufficialmente se abbia accettato o no il nobile e delicato ufficio.

Che cosa sono i santi patroni? Stando allo cronache del Paradiso, i santi patroni farebbero presso il trono dell’altissimo a pro de’ loro protetti, quello che su per giù fanno i nostri deputati per i loro elettori, presso il governo centrale.

C’è peraltro una differenza.

I santi per quel poco o per quel molto che fanno, si contentano di un vespro o di una messa cantata: mentre fra i deputati ce n’è qualcuno, che, oltre la messa e il vespro, gradisce volentieri anche una candela di cera fine. Mio Dio! si sa bene che in questo mondo non c’è sacerdozio senza i piccoli incerti di sagrestia.

Nelle grandi feste del San Giovanni, i divertimenti più belli erano i fuochi artificiali sul [p. 200 modifica]ponte alla Carraia, e la corsa dei Cocchi e dei Fantini, sulla piazza di Santa Maria Novella.

Tutti i contadini dei dintorni e della provincia, per godersi bene lo spettacolo dei razzi e delle girandole, entravano in città alle prime ore della mattina, e non volendo perder tempo, pigliavano subito il loro posto lungo le spallette del Fiume. E in tutta la giornata non si muovevano più di lì. La sferza spietata del sole canicolare per dodici ore continue li scottava, li cuoceva, li abbrostoliva; ma loro, duri!

Che cos’era a quei tempi la fede e segnatamente la fede dei contadini nelle promesse gioie dei razzi e delle girandole a colori!

Venuta intanto la sera, quegli ostinati credenti, meni arrostiti e mezzi morti dal caldo, dal sole o dalla sete, cadevano appisolati per terra, e se la dormivano saporitamente, durante tutto lo spettacolo dei fuochi artificiali. Finito poi lo spettacolo, qualche volta si svegliavano: e dopo aver dato, sbadigliando, un’occhiata alle nuvole di fumo rimaste per aria, tutti contenti come pasque, si rimettevano in viaggio per tornare allo loro case lontane.