Francesco Gnecchi

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Numi plumbei Intestazione 8 settembre 2023 100% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1892
Questo testo fa parte della serie Appunti di numismatica romana
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XXIII.

NUMI PLUMBEI.


Fra i numismatici della fine del secolo scorso e del principio del presente, s’è fatto un gran battagliare per decidere se veramente l’antichità abbia avuto o no una vera moneta di piombo.

I grammatici frugarono le biblioteche, citarono passi d’antichi autori e principalmente alcuni di Plauto e di Marziale, in cui figurano questi numi plumbei: e chi sosteneva doversi l’aggettivo plumbeus intendere in senso proprio, chi invece in senso allegorico.

Non ripeterò qui, perchè sono già ripetute in troppi altri luoghi, nè le citazioni di Plauto e di Marziale, nè il successivo rimbeccarsi del Giulio Lipsio, del Pigoria, del Molinet, del Baudelot, del Bimard e finalmente del Ficoroni e del Garrucci. La conclusione della lunga battaglia si fu — come a noi ora pare naturalissimo — che le citazioni degli autori latini dovessero prendersi in senso allegorico, che il numus plumbeus dei romani non indicasse una speciale e reale moneta: ma tosse semplicemente un modo di dire, press’a poco equivalente all’espressione vile moneta dei nostri giorni: e che quindi vera moneta di piombo non abbia mai esistito nel mondo romano, quantunque di tali monete abbiano dimostrato l’esistenza nell’antico Egitto, nelle Gallie, in Numidia e forse a Siracusa, il Longpérier1, il [p. 166 modifica]Lenormant2, il Garrucci3, il Müller4, il Six5, il Ponton d’Amécourt6, il Feuardent7 e altri ancora.

Fin qui nulla di notevole, se non un soverchio spargimento d’inchiostro per una questione, che si sarebbe potuta sciogliere assai più brevemente; ma lo strano sta in questo, che tutta la battaglia venne impegnata e combattuta a proposito di quei piombi romani numerosissimi, nei quali sono così marcati i caratteri di tessere, che nessuno oggi penserebbe a supporre che abbiano mai potuto servire di moneta. Di quei veri numi-plumbei, o piombi-monete, che io ho inteso indicare col titolo del presente Appunto, neppure uno mi pare fosse conosciuto dagli autori citati. Per non parlare che dei due, che si occuparono per gli ultimi specialmente dei piombi romani, il Ficoroni8 e il Garrucci9, ambedue descrivono qualche migliaio di piombi, ma in tutta quella congerie non ne trovo uno solo, che esca dalla categoria dei sigilli o delle tessere. La quistione si aggirò dunque per circa un secolo intorno ad una vana ombra; mentre avrebbe appena avuto ragione di essere quando avesse preso in considerazione i piombi di cui intendo oggi discorrere, i quali sono ben differenti dalle tessere e dai sigilli; e ad essi si propriamente si può [p. 167 modifica]applicare l’appellativo di numi plumbei, salvo vedere poi in qual senso tale denominazione sia da intendersi. Certo sono più rari degli altri, e forse non vennero in luce che in questi ultimi tempi. I grandi scavi di Roma e, più che altro, i lavori per la sistemazione del Tevere ne hanno portato recentemente in luce una grande quantità, e in questi ultimi anni ne ho potuto mettere insieme alcune centinaia; mentre, come essi furono completamente sconosciuti agli autori, che finora si occuparono di piombi antichi, mancano in tutte le vecchie collezioni.

Questi piombi sono imitazioni o, più propriamente, riproduzioni di antiche monete e specialmente di denari della Repubblica romana, senza riguardo ad epoca10: ma ve n’ha anche buon numero che riproduce monete d’argento, e alcuna anche di bronzo dell’impero11, cosicchè a loro si conviene veramente il titolo fin qui usato a torto di numi plumbei.

Si presentano in generale anneriti dal tempo, ma perfettamente conservati, se provenienti dal Tevere, mentre invece sono coperti di polvere bianca d’ossido e più o meno ossidati e scomposti anche all’interno, se provenienti dalla terra12. In molti casi la decomposizione è giunta a tal punto da rendere quasi irreconoscibile la loro essenza metallica, e l’ossido li ha talmente penetrati, raggiungendone le parti più interne, che al semplice toccarli vanno in [p. 168 modifica]frantumi o si riducono in polvere, come fossero di fragile argilla. — Perciò la quasi totalità di tali piombi provenienti dalla terra va perduta, e questo è uno dei motivi per cui tanto più numerosi appajono quelli provenienti dal fiume in confronto ai primi.

L’interesse della questione sta nel determinare la destinazione originaria di questi piombi-monete, e mi pare non si possa uscire dalle seguenti categorie, fra le quali procederemo per via d’eliminazione:


a) Prove di zecca.
b) Tessere.
c) Monete genuine.
d) Anime di monete falsificate.
e) Monete false.


a) Da parecchi numismatici li ho intesi classificare per provo di zecca. A me pare che si potevano forse ritenere per tali quando il loro numero era tanto esiguo: ma ora che tanti ne vennero in luce, davvero mi sembra che il loro numero sia una seria obbiezione a tale classificazione. Può darsi, anzi avviene sempre, che qualche prova di zecca venga smarrita e quindi conservata alla posterità; ma queste prove costituiscono sempre un genere molto raro e quasi eccezionale, e non saprei assolutamente spiegarmi la troppo grande abbondanza di prove riproducenti monete così antiche come i primi denari della repubblica romana. Data la possibilità e anzi la probabilità che le prove dei conii nelle zecche ufficiali di Roma si facessero in piombo, questo non spiegherebbe perchè tali prove si buttassero poi nel fiume. Era troppo naturale che il medesimo piombo si dovesse conservare o per altre prove successive o per altri usi. E se non si può ammettere [p. 169 modifica]che tali prove venissero ufficialmente gettate nel fiume, chi avrebbe avuto interesse a gettarvele?

Nè questa è la sola ragione per negare che fossero prove di zecca. Altra fortissima ne troviamo esaminando i piombi. Tra quelli da me raccolti ne posseggo uno riproducente il denaro di Giuba II battuto in Mauritania, e un altro riproducente un Medaglione asiatico di M. Antonio. Ambedue sono dati nella tavola.

Se qualcheduno vorrà ritenere battuto a Roma il denaro di Giuba II, il quale, pel tipo della moneta, potrebbe forse attribuirsi piuttosto alla zecca di Roma che non a una zecca africana, tale ragione non vale assolutamente pel Medaglione di M. Antonio: il quale, dato che fosse prova di zecca, come mai avrebbe potuto finire nel Tevere? Il viaggio sarebbe stato decisamente troppo lungo, e se pel commercio potevano venire a Roma le monete dell’Asia, non si vede proprio come ci potesse venire una prova di nessun valore. Certo non può essere esclusa la possibilità di un tale viaggio, perchè nelle vicissitudini umane tutto è possibile ciò che non urta coll’assurdo; ma, conveniamone, ciò non è affatto naturale, e dove si deve procedere per induzione, non è permesso ammettere simili casi straordinari ed eccezionali.


b) Come Tessere, è troppo ovvio che lo Stato non avrebbe mai permesso di fabbricarne coi conii delle monete correnti. Vi sono, e in numero grandissimo, piombi romani che devono aver avuto l’ufficio di tessere. Tali sono appunto quelli raccolti e descritti dai citati Ficoroni e Garrucci: ma questi sono di una fabbrica e di un tipo all’atto differente da quelli di cui ci occupiamo. Rotonde, quadrate o d’altre forme diverse portano lettere, parole, numeri, simboli o rappresentazioni che nulla hanno a che fare colle [p. 170 modifica]monete; ed oltre alla varietà delle forme, hanno pesi e dimensioni svariatissime, e, in una parola, è impossibile che vengano confuse colle monete, nè quindi coi piombi-monete di cui ci occupiamo, a quella stessa guisa che le tessere medioevali e moderne hanno un carattere affatto dissimile dalle monete contemporanee, il che del resto è troppo naturale perchè ci sia bisogno d’essere spiegato, e d’insistervi più lungamente.


c) Lo stesso ragionamento vale per escludere l’ipotesi che i piombi in discorso fossero monete genuine. Prima di tutto monete genuine di piombo non ne conosciamo nè nel fatto nè nel diritto, ossia nè ci rimasero di cotali monete — provato che siano tali — nè sappiamo d’alcuna legge che mai le avesse autorizzate. E poi, dato anche e non concesso che vere monete di piombo avessero mai esistito a Roma, è ovvio che sarebbero state confezionate con conii differenti da quelli usati per gli altri metalli e segnatamente da quelli usati per l’argento, con cui potevano più facilmente confondersi.


d) Di anime di monete falsificate ne conosciamo di ferro e più specialmente di rame, sulle quali era applicata una sottile lastrina d’argento, formando così le cosidette monete foderate o suberate, comunissime nella serie romana più che in qualunque altra e segnatamente nella serie repubblicana.

Ma, oltrechè l’anima non riceveva mai l’impronta del conio così esatta come la vediamo in questi piombi (motivo per cui ritengo veri piccoli bronzi quelli che incominciando dall’epoca di Antonino Pio si estendono fino a quella di Alessandro Severo, riproducendo esattamente i denari d’argento13), non [p. 171 modifica]abbiamo alcun esempio di denari foderati di piombo, probabilmente, perchè il piombo, per essere troppo molle, non si prestava a tale ufficio.

Dato poi anche, per quanto sembri poco probabile, che ci fossero state falsificazioni coll’anima di piombo, ce ne sarebbero rimaste in tutti gli stadii di conservazione, ossia con tutta la lamina d’argento, oppure con una sola parte di essa; ma non è assolutamente ammissibile che ci siano state conservate unicamente le anime completamente spoglie.

E poi, non sono i soli denari d’argento che riproducono questi piombi, bensì anche monete repubblicane e imperiali di bronzo, e qui la teoria non reggerebbe più in nessun modo.

Avendo escluso una dopo l’altra quattro delle categorie, non ci rimano che fermarci alla quinta, quella delle monete false, la quale sembra essere l’unica che ne spieghi razionalmente l’esistenza.

Nuove, le monete di piombo simulavano benissimo le monete nuove d’argento; ossidate — e il piombo si ossida presto — assumevano quel colore neutro, che moltissimo assomiglia all’argento usato, e potevano anche confondersi colle varie tinte del bronzo in circolazione.

Il piombo poi è il metallo che meglio si prestava alla falsificazione pel suo grave peso, e poteva allettare molto i falsificatori per la facilità sia di stamparvi le impronta con un conio di poca durezza formato sulle monete correnti, o anche per essere fuso in forme preparate colle stesse. Ci sono rimaste abbastanza numerose le forme in argilla di monete del III secolo (io ne posseggo alcune di Massimino Daza, Costantino Magno, Costantino II, Crispo, etc.) nella quale o falsificatori privati o fors’anche qualche officina monetaria, a risparmio di tempo, colava il bronzo, per farne monete, che entravano poi in [p. 172 modifica]circolazione. Ora l’operazione riesciva molto più facile col piombo.

Esaminando attentamente le monete di piombo, pare veramente di poter concludere che, se una buona parte di esse furono coniate, altre furono prodotte colla fusione; e nulla osta a che si adoperassero i due sistemi. Quello però che si rileva certamente è che i conii o gli stampi adoperati per l’una o per l’altra operazione non erano fabbricati ex novo, e non erano incisi appositamente; ma semplicemente riprodotti sulle monete in corso, che capitavano alla mano14 e quindi d’ogni conservazione. Alcuni si vedono improntati su monete nuove a fior di conio, altri invece su pezzi di mediocre o cattiva conservazione. Nè si può ammettere che la corrosione di molti piombi, possa essere la conseguenza della lunga circolazione. Prima di tutto perchè non possono averne avuta una molta lunga, e dal momento che venivano riconosciuti falsi, erano buttati via, e poi perchè il loro stato presente lascia abbastanza chiaramente trasparire il loro stato originario, come un’impronta d’una moneta, in qualunque modo fatta, lascia vedere lo stato della moneta da cui fu tolta. In altre parole molti piombi sono per sè stessi di buonissima conservazione, sono cioè a un dipresso allo stato in cui furono originariamente prodotti, ma evidentemente il conio originario non riproduceva che un’impronta molto stanca. E di questo si può avere un’idea abbastanza chiara, osservando la tav. IV, in cui è riprodotto un certo numero di piombi a diversi gradi di conservazione. [p. 173 modifica]

Di più — e questo è un argomento assai valido — sono parecchi i piombi che, riproducendo un denaro repubblicano, riproducono colla medesima fedeltà alcuni di quei contrassegni, che troviamo tanto frequentemente sui denari d’argento, e tali contrassegni sono sempre più numerosi sui piombi riproducenti monete sciupate, che non su quelli stampati su monete a fior di conio, precisamente come avviene colle monete genuine. Ora chi vorrà asserire che i contrassegni di garanzia potessero essere apposti alle monete di piombo? Se alcuna di queste fosse capitata fra le mani di un controllore, questi se ne sarebbe subito accorto e l’avrebbe immediatamente scartata.

I piombi contrassegnati sono dunque la prova definitiva che essi non potevano essere altro che monete false, riprodotte sulle genuine.

Una certa maggiore difficoltà s’incontra a spiegare piombi riproducenti monete di bronzo; ma la difficoltà non è insormontabile, se si considera che grande era la differenza di valore fra il bronzo e il piombo, e grande la facilità di fabbricare tali contraffazioni, mentre il piombo presto ossidato prende quella tinta neutra o nerastra, che può benissimo confondersi colle variate tinte delle monete di bronzo da lungo tempo in circolazione.

Concludendo dunque, tutti i piombi antichi riproducenti monete non si possono considerare altrimenti che come monete false.

Francesco Gnecchi


[p. Tav. IV modifica]


Note

  1. Revue Numismatique, 1861, pag. 253 e seg. e pag. 407 e seg.
  2. La Monnaie dans l’antiquité, Vol. I, pag. 207 e seg.
  3. Revue Numismatique, 1862, pag. 412 e seg.
  4. Numismatique de l’ancienne Afrique, Tomo III, pag. 19 e 31.
  5. Numismatic Chronicle n. s., Tomo XV, pag. 38 e seg.
  6. Revue Numismatique, 1853, pag. 81 e 1862, pag. 167. — Annuaire de la Société française de Numismatique, 1873-74, pag. 118.
  7. Collection Demetrio, Égypte ancienne, pag. 333-335.
  8. Piombi antichi. — Opera di Francesco de Ficoroni dedicata alla santità di Nostro Signore Papa Benedetto XIV. Roma, mdccxl.
  9. I Piombi antichi raccolti dall’Eminentissimo Principe Il Cardinale Ludovico Altieri, ordinati e descritti da Raffaele Garrucci D. C. D. G., Roma, 1847.
  10. Ve ne sono che riproducono i più antichi denari repubblicani venendo giù fino all’epoca d’Augusto.
  11. Quelli da me ritrovati si estendono da Angusto fino alla fine del terzo secolo.
  12. I piombi riprodotti sulla tavola IV, unita a questa memoria, sono tutti provenienti dal fiume, eccettuati i due medii bronzi repubblicani, i quali rappresentano quanto di meglio conservato si trova fra i piombi provenienti dalla terra.
  13. Vedi Appunti N. IX. — Rivista Italiana di Numismatica, 1888.
  14. Ed è per tale considerazione che non mi sono curato di dare un elenco specificato di tutti i pezzi ritrovati, non parendomi potesse presentare alcun interesse.