Novelle (Sercambi)/Novella XXXVIIII

Novella XXXVIIII

../Novella XXXVIII ../Novella XL IncludiIntestazione 19 aprile 2023 75% Da definire

Novella XXXVIII Novella XL
[p. 181 modifica]

XXXVIIII


L>a dilettevole novella ditta della notte da Viterbo fe’ la brigata e ’l preposto consolare, e massimamente essendo la notte di fuori di Viterbo dimorati. E voltosi il preposto a l’altore comandandoli che una novella dicesse per lo camino che hanno a fare verso Roma, faccendone ii giornate per visitare la chiesa di san Paulo: «E quine fia la prima nostra riposata; ma ben vo’ che qualche novella dica prima»; l’altore ubidendo disse che tutto farè’. E voltosi alla brigata parlando disse:

«Io son Superbia cornuta et armata,
che cui io posso superchiar, dolente,
ma Umiltà isconfige la mia gente».

E dapoi volendo ubidire il preposto disse:


DE SUPERBIA ET PAUCO BONO

Di un conte ladrone: stava a Bruscola in quel di Bologna,
si salvò per una Avemaria dicea la mattina e la sera.


F>u un conte di quelli da Bruscola del contado e giurisdizione di Bologna, il quale possedea alcune terre e fortezze innella montagna, nomato lo conte Sparaleone, omo di gran superbia e crudeltà e d’ogni mala condizione. E non stante che lui fusse malvagio e reo, ancora a’ suoi famigli comandava che ogni male facessero. E pur non era però tanto malvagio, ché almeno questo poco di bene facea: che ogni dì, la mattina quando si levava, per lo dì [p. 182 modifica]dicea una avemaria, e la sera ne dicea per la notte un’altra. E questo era tutto lo bene che questo conte facea, né mai altro bene si disse che lui facesse.

Avea questo conte molti maliscalzoni e ladroncelli e d’ogni cattiva condizione, ai quali avea comandato che ogni di facessero o furto o rubaria o micidio; e più, che a tutti, sotto grave pena ditto loro che mai persona che trovassero innel suo terreno che a lui per neuno modo si presentasse, ma che rubato che fusse quello uccidessero. E ogni cosa crudele li piacea più che le pietose. E per questo modo moltissimi prelati, mercadanti et altre buone persone, oltra le rubarie a loro fatte, erano stati morti. E la sera tornavano i ladroni e diceano: «Messere, oggi abiamo ucciso tre preti e du’ mercadanti et alcuno povero che andava acattando; e tutti spogliati e rubati e loro innel bosco alle fiere i corpi abiamo lassati, e la robba loro v’abbiamo arecato». Lo conte ciò vedendo et udendo dicea: «Bene avete fatto»; e dato loro la parte della robba e l’avanzo per sé tenendo, dicendo loro: «Così fate sempre, che sia che si vuole, morto e rubato sia».

Lo dimonio vedendo questo conte tanto mal disposto pensò volerlo in anima et in corpo possedere. E gittatosi in forma d’uno cuoco, per certo modo comparto a casa del conte dicendoli se avea bisogno d’un buono cuoco che lui lo servirà volentieri. Lo conte, che d’uno avea bisogno, disse che sì. E fattolo suo cuoco, lo dimonio fa alcune vivande finissime: al conte piace il suo servigio.

E non molti dì fu stato che una sera essendo adormentato il conte, lo dimonio <lo volea> la notte in dormendo portare a lo ’nferno. E come sei volse puonere a dosso, subito aparìo la Vergine Maria in forma di una donzella dicendo: «Satanas, che vuoi fare?» Lui disse: «Vo’ne portare questo diaule a l’inferno, che mai non fece altro che male». La Vergine Maria disse: «Questo non farai tu al presente, né mentre che lui dirà per mio amore quello ha ditto sempre». Lo dimonio dice: «O che ha ditto che io non nel possa menare?» La Vergine Maria dice: «Ha ditto per lo dì una avemaria e per la notte un’altra, e tanto quanto questo dirà non vorrò che tu nel porti; e non vo’, il dì quando l’ha ditta, abbi potenzia sopra di lui tutto quel dì, e simile quando da sera [p. 183 modifica]dirà una avemaria, com’ha cominciato, per tutto quella notte non li porrai nuocere. Ma quando fallisse, per li suoi peccati merita che di lui facci tua volontà». E sparita, lo dimonio, non potendo fare altro, tornò alla cucina spettando che questa avemaria fallisca.

Lo conte perseverando innel male e da tal male non volersi partire, più anni tenne quello stile né mai mancò che l’avemaria fallisse di dire, stando sempre il dimonio presto et atento per condurlo alle pene dello ’nferno.

Vedendo la divina Bontà che questo conte innel malfare perseverava e il dimonio apparecchiato a prenderlo, volse verso di tal peccatore il viso della misericordia, e di presente a uno angelo spirò che in forma d’uno pellegrino passasse per lo terreno del conte con dimostrare l’errore del conte e con dirli quello che campato l’avea.

Spirato l’angelo dalla divina Potenzia, in forma di pellegrino innel terreno del conte Sparaleone arrivò tra quelle genti ladre: armati venuti d’intorno per rubarlo e per ucciderlo stretti stavano. L’angelo disse: «Io penso che voi siate in questi luoghi per rubare chi passa, e questo faite perché il conte e voi divegnate ricchi e non altra cagione credo che sia». Disseno i ladri: «Tu dici il vero, e però vogliamo quel po’ che hai e le tuoi carni dare a’ lupi come abiamo fatto de li altri». Disse l’angelo: «E se il conte e voi desiderate d’esser ricchi, vi dico: se mi menate al conte io lo farò lo più ricco conte che sia in Italia, e simile voi farò ricchissimi che non bisognerà più che alle strade a rubare <andiate>». Coloro, che intendeno quello che il pellegrino ha ditto, disseno: «Meniallo al conte, e se non farà quello ci ha promesso, in presenzia del conte lo taglieremo per pezzi». E così condusseno al conte il pellegrino.

Lo conte, come vidde costoro menare il pellegrino < . . . . . . . . . > avea loro ditto che lo farè’ più ricco conte di Italia. Lo conte che ode questo disse: «Fà tosto quello hai ditto, se non io ti farò tagliare a pezzi». L’angelo disse: «Prima che io ti faccia ricco, vo’ che ’l cuoco c’hai facci venire dinanti da me, e allora ti farò più che ricco». Lo conte, per esser ricco, mandò per [p. 184 modifica]lo cuoco comandandoli che venisse a lui. Lo cuoco dice: «Dì al conte che io non posso venire alla presenzia di quel pellegrino». Lo famiglio torna e narra l’ambasciata al conte, dicendo: «Lo cuoco dice che non può venire dinanti alla presenzia di quel pellegrino». Lo pellegrino disse: «Và e dilli che io li comando che a me vegna». Lo famiglio andò al cuoco e disse: «Lo pellegrino ti comanda che a lui vegni». Lo cuoco non potendo altro fare fu venuto. Lo conte disse al pellegrino: «Ora mi fà ricco».

Lo pellegrino, rivoltosi al cuoco, disse: «Io ti comando dalla parte d’Idio che subito innella presenza del conte e di tutti li altri che qui sono, tu debbi manifestare loro chi tu se’ in forma vera e non simulata, narrando tutto ciò che dovei fare e la cagione, e ’l perché non l’hai fatto; comandandoti ancora che a neuno di costoro debbia fare alcuna violenza. E a voi dico che non abiate alcuna paura di cosa che udiste o vedesse». E fatto tali comandamenti, subito il cuoco dimonio messe uno strido tanto terribile che se non che l’angelo avea securato il conte e gli altri serenno morti caduti. E dato lo strido, è venuto in forma propria di dimonio, tanto orribile che il conte disse al pellegrino: «Per Dio mandalo via». L’angelo disse: «Non abiate paura». Lo dimonio cominciò a dire ch’elli era venuto per portarlo in inferno in corpo e in anima: «E per una avemaria ditta lo dì e la notte, la Vergine Maria non me lo lassò mai portare»; et era disposto, se c anni ci dovesse esser stato, portarnelo. L’angelo disse: «Maladetto da Dio, io ti comando che incontenente te n’entri in inferno, et in segno di ciò voe che aprendi il fuoco innel bosco, là dove costoro stavano a rubare, e tutto quel bosco arde». Lo dimonio, auto lo comandamento, subito arse quel bosco presente il conte e li altri, et in inferno tornò.

Lo conte e li altri stupefatti e quasi morti, niente diceano. L’angelo disse: «O conte e voi altri, io sono l’angelo mandato da Dio per salvarvi, e pertanto vi comando se non volete esser minestrati dal dimonio che subito ve n’andiate a Roma al papa, e quine tutti li vostri peccati racontate e narrate questo fatto, e lui vi darà la penetenzia; e faccendo bene sarete salvi». E questo ditto, l’angelo si sparìo, lassando quine una dolcezza che il conte [p. 185 modifica]disse: «Or che stanza dé esser in paradiso!» E subito si mosse < . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . > et al papa narrano tutto. Lo papa dato loro la penetenzia, la qual fermo volentieri, e finiron bene la lor vita.

Lo papa per lo miracolo dell’avemaria fe’ comandare a tutte chiese che l’avemaria da sera e da mane sonasse, acciò che si ricordi dire chi quella volesse dire.

Ex.º xxxviiii.