Novelle (Sercambi)/Novella XXXVIII

Novella XXXVIII

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Novella XXXVII Novella XXXVIIII
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XXXVIII


L>a dilettevole novella ditta ha molto consolato la brigata, e pertanto il preposto comandato a l’altore che una bella novella dica fine che a Viterbo seranno andati, al quale l’altore disse: «Poi che io hoe sentito nomare Viterbo, vi prego che li spenditori e quelli che ordinare denno la cena faccino di fuori apparecchiar per buona cagione». Il preposto ciò udendo disse li piacea e così coloro che servir doveano fenno. E voltosi l’altore alla brigata parlò dicendo:


DE MALITIA IN JUVENE

Di una compagnia fatta per un milanese et un fiorentino in Viterbo, e di Daniello loro fattore.


N>el tempo che la corte di Roma si tenea a Viterbo — là dove stasera dobiamo dimorare — , si contrasse in Milano una compagnia, tra uno milanese nomato Angiolino et uno fiorentino nomato Nardo, di molte mercantie. E fatto tale compagnia, dispuosero li ditti che a Viterbo si vendesse, e a ciò elessero uno giovano fiorentino parente di Nardo nomato Daniello, e mandato a Viterbo con uno conto di migliaia di fiorini di merce.

Il quale Daniello prese la bottega; e cominciato a vendere di quelle merce e pigliar domestichezza con prelati e mercadanti, in poco tempo quel fondaco fue di nome lo magior di Viterbo. E come mancavano delle mercantie, così per li suoi maestri a Daniello ve n’erano mandate. E a questo modo stenno più tempo, avendo molta robba mandata né mai Daniello denaio non avea [p. 177 modifica]rimisso a’ suoi maestri. Multiplicandoli la robba e’ denari tra le mani, cominciò a fare del maestro vestendo onorevilemente. E per più stare agiato prese, oltra la bottega che avea, una bella casa et agiata, non guardando pregio né pigione, facendo ogni di desnari e cene a prelati et a baroni et alcuna volta a mercadanti stranieri. E per alcune feste il giovano avea seco a cena et albergo alcune fanciulle di xvi in xx anni, e per stare più caldo volea sempre fussero ii o più; e vedendo alle volte delle casarecce, con imbasciate talora n’avea una a suo piacere con far loro doni. E simile con certi compagni alcuna volta giucando prendeano spasso, et io ancora con leuti et alcuni cantarelli et alcuna volta una fanciulla vestita a modo di uno giovano, di notte andavano cantando. Et era tanto il piacere che Daniello si dava che li pareva aver meglio che ’l papa. E tutte queste cose si faceano con grande spesa, ma il guadagno grande che la bottega facea lo portava leggieri.

Sentendo i suoi maestri il gran guadagno che a Viterbo si facea et anco sentendo la spesa che Daniello tenea, più volte li scrisseno che il conto mandasse a Milano. Lui che sempre in sul piacere si dava buon tempo, dava indugio a tal conto. Daniello indugiando, e più volte essendoli scritto di questo conto a nulla rispondea, divenne che uno giorno, riceuto lettera da’ suoi maestri che se il conto non mandasse che loro manderebeno uno fante fine a Viterbo a contare seco, Daniello che vedea la lettera, il guadagno multiplicare non istante la spesa, si dava buon tempo dicendo: «Vegna a che ora vuole che io posso buon conto mostrare»; e pur non risponde.

Li maestri, avendo aspettato alquanti mesi, diliberonno di scrivere a Daniello una lettera innella quale contenea che lor voleano mandare là uno garzone nomato Princivali; e che metta in ordine tutte mercantie <e’> denari ditti sì ch’e’ non perda tempo quando là giungerà. Daniello, che cognosce Princivalli, pensa: «Per certo costui potrà venire in suo luogo. A me mi conviene tenere modo che la stanzia non li piaccia». E pensò fare una camera sotterra storiata e dipinta e fornita d’un bellissimo letto e di tutto ciò che a camera s’apartiene. E tal camera ordinò in tal maniera che se tutto ’l mondo fusse presente e gridasse, in [p. 178 modifica]quella alcuna cosa udir si potea, né simile di dì neuno lume in quella si vedea quando una finestrella nascosa stava chiusa.

E ordinato e fatto la ditta camera, riscosso e messo in ordine riscuotere et avere quanti denari potea e tutta mercantia bene in assetto che a una veduta d’occhio si potea comprendere quello che in tal bottega potea essere; e per questo modo dimorato, Princivali, che i maestri suoi li avevano comandato che andasse a Viterbo a vedere il conto con Daniello, si partì a di iiii magio e caminò con lettera tanto che un sabbato mattina a dì xv magio giunse a Viterbo. E subito alla bottega di Daniello se n’andòe et a lui diede lettera di quello dovea fare, dicendo: «Daniello, io sono venuto per voler vedere il conto e quello mostrar a’ nostri maestri». Daniello aperto una cassa mostrò molti fiorini contanti in gran quantità, e poi disse: «Vedi come la bottega è fornita? E dè’ pensare che molti denari ho arieto per li libri». Princivali dice: «Io penso che tu arai fatto grande guadagno a quello veggo, però che io so quanto hai avuto dal fondaco di Milano; e però è bene che cominciamo a fare il conto». Disse Daniello: «E’ mi piace, ma prima che altro facciamo vo’ andare alla beccaria e comprare della carne per domattina».

Et uscito di bottega lui e Princivalli, et alla taverna n’andarono. Daniello comprato una coda di castrone e quella a casa portata, Princivali disse: «Cominciamo?» Disse Daniello: «Ell’è oggi sabbato e molti verranno a comprare et a darci denari; io credo sia meglio che domattina col nome di Dio facciamo conto». Princivali disse che li piacea.

La sera, essendo notte et avendo cenato cose da sabbato, Daniello menò Princivali innella camera fatta e quine in sun una mensa fe’ mettere pane e formaggio e vino. Disse Princivali: «Daniello, che vuol dir questo?» Lui disse: «Se avessi volontà di mangiare e di bere, vo’ che possi». Princivale risponde; «Io non mangio di notte». Disse Daniello: «Le notti sono magiori qui che a Milano». Risponde Princivale: «Siano grandi quanto si voglino». Apresso li mostrò i’ luogo comune e poi disse: «Prendi: ecco la lampana acesa; come manca l’olio n’ha in questo vagello». Princivali disse: «Non penso bisogna». Daniello dice: «Fà come vuoi». [p. 179 modifica]

E partitosi di camera e chiuso l’uscio per modo che aprire di dentro non si puote, Princivali dorme fino alla mattina e niente vede né ode. E levatosi a suo agio fare, messo dell’olio innella lampana e tornato a dormire, tanto ch’è più di nona passata e niente vede et innel letto si sta e dorme fine passato vespro. Et allora li vien voglia di mangiare, dicendo: «Daniello ha ditto il vero che le notti ci sono più grandi che a Milano». E mangiò e bevé e poi tornò a dormire tanto che più di tre ore di notte fu venuta. Daniello venendo alla camera dice: «O Princivali, che fai?» Princivali disse: «È anco dì?» Daniello dice: «No». «Or che vuol dire che anco non sia dì?» Disse Daniello: «I’ ho voglia di mangiare, lèvati e mangeremo». E menatolo in sala, Princivali riguarda all’arie e disse: «Quanto tempo potrà esser della notte?» Daniello dice: «Non è anco primo sonno». Princivali e Daniello mangionno d’uno soffritto e poi Princivali se ne va a letto; e tanto dorme che più di du’ dì passò, avendosi alcuna volta levato e mangiato.

La terza notte Daniello lo condusse in sala. Princivali, che li pareva esser schioppato tanto avea dormito, disse: «Quando serà dì?» Disse Daniello: «Di vero ti dico ser l’uso di Viterbo; e’ non è anco mezzanotte». «Diaule!» disse Princivali, «come non ci si crepa?» Daniello dice: «E però ci si fà sì grandi guadagni, in però che in una notte lavora tanto un uomo che se ne può pascere un mese». E mangiato, Princivali se va a dormire. E per questo modo quella settimana Daniello lo fece dormire.

Venuta la domenica mattina et avendo Daniello comprato una coda di castrone, aperse la finestrella e uno lucore di di innella camera fu intrato. Princivali ciò vedendo ringraziò Dio dicendo: «Io non pensai che mai fusse dì». Daniello lieto venne alla camera e disse: «Princivali, leva su che l’è dì, et andiamo a udir messa e poi conteremo». Princivali vestitosi, et iti alla chiesa e veduto Nostro Signore, menandolo Daniello per parole tanto che fu terza, dice Princivali: «Andiamo a far il conto?» Daniello dice: «Desniamo». E posti a taula, disse Daniello: «Pàrti che a Viterbo ci siano belle carni, come quella che comprammo ieri?» Princivali disse: «Sì, ma e’ ci sono sì grandi le notti che ogni cosa guasta». [p. 180 modifica]

Desnato, disse Princivali: «Contiamo?» Disse Daniello: «Tu non fusti mai a Viterbo: io vo’ che tu lo vegghi oggi e col nome d’Idio domane faremo il conto che oggi ch’è domenica non farei nulla». Princivali dice: «Se io ci stesse un’altra notte io morrei. E poi che non ti piace di fare oggi il conto, io me ne vo’ andare, e riferirò a’ nostri maestri come la bottega è ben fornita et <ha> di molti contanti». Daniello lieto dice: «Et io son contento e vo’ che dichi a’ nostri maestri che mi mandino paia mille di sproni, però che sento n’hanno assai et io hoe il modo di spacciarli».

E datoli la lettera, Princivali se ne va e torna a Milano. Li maestri diceno: «Ch’hai fatto tanto? U’ è il conto?» Princivali disse: «Io non l’ho potuto fare però ch’e’ noi volse fare la domenica né ’l sabbato che io vi giunsi, ma ben vi dico che la bottega è fornita et ha di molti denari». Li maestri dissero: «U’ tu se’ stato <tanto> tempo?» Disse Princivali: «Io non albergai in Viterbo se non una notte et xi dì sono posto a tornare, et a di xv magio giunsi». Disseno li maestri: «Or dimanda quanti dì n’abbiamo del mese e di che mese siamo». Princivali domanda del mese e trova esser di giugno, a dì vi. Allora cognove esser stato a dormire viii dì! Isvergognato, mostrò loro la lettera che Daniello l’avea dato. Li maestri vedendo che chiede sproni, avendone gran quantità disseno: «A noi ha mostrato la notte per lo dì, e noi mandiamo a lui li sproni tutti d’un piè, e converrà prenderne altanti se quelli sproni <spacciare> vorrà».

E così seguìo, che se Daniello volse li sproni spacciare convenne mandare per mille paia da l’altro piè.

Ex.º xxxviii.