Novelle (Sercambi)/Novella XL

Novella XL

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Novella XXXVIIII Novella XLI
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XL


U>dito il preposto la bella novella e devota, giunti alla chiesa di San Paulo, rivoltòsi a l’autore dicendoli che per lo dì seguente debbia ordinare bella novella al camino da Roma, e simile comandò a quelli che aparecchiar denno, notificando che in Roma dovea la brigata almeno x dì dimorare: «Li quali ciaschiduno s’aparecchi a ubidire, ma ben vo’ che l’altore dica in presente qualche moralità». Lui presto disse:

«Tanto di santa fiamma il cuor è aceso
che parte ne do suso al cielo a Dio,
e parte giuso al prossimo mio».

E dapoi voltosi l’altore alla brigata parlò dicendo:


DE VERA AMICITIA ET CARITATE

Di ii fanciulli di due signori auti per orazioni fatte a Dio:
li portono tutti e due a battegiare a Roma.


N>el tempo del re Pipino di Francia fu un gentile uomo nomato Tobbia, lo quale era della provincia di Borgogna, e uno conte tedesco nomato conte Ricciardo, li quali devotissimi erano di Dio; e neuno de’ preditti avea figliuolo né figliuola. Avendo ciascuno di loro donna giovana, ciascuno de’ preditti fenno voto che se Idio desse loro grazia d’aver figliuolo delle lor donne, quelli portare a Roma acciò che per le mani del santo padre fusseno battegiati con offerire alla chiesa di Roma alquanto tesoro. [p. 187 modifica]

E fatto tale voto, fue di piacer di Dio i loro voti esaldire, che non molto tempo passò che ciascuna delle preditte donne del suo marito ingravidò, e doppo il portato di nove mesi le donne parturinno ciascuna un fanciullo maschio. Di che li padri e le madri contentissimi li preditti fanciulli deliberonno a Roma condurre per far ciascuno il suo cristiano per mano del papa. E col nome di Dio Tobia cavalieri con buona compagnia di Borgogna col figliuolo si mosse per andare a Roma, essendo già il fanciullo di ii anni.

Il conte Ricciardo tedesco, avendo veduto che Idio li avea prestato uno figliuolo, dispuose il voto volere oservare: e della Magna si mosse, avendo il figliuolo circa mesi xxviii.

E ciascuno caminando, fu piacer di Dio che uno giorno innella città nostra di Lucca si trovonno in uno medesmo albergo insieme. Narrando il cavalieri Tobia al conte Ricciardo perché quine era et u’ andar dovea, e mostrato il fanciullo che per voto Idio li avea prestato, lo conte Ricciardo, che per simile atto di casa sua mosso s’era, e mostrato il suo fanciullo, diliberonno insieme andare.

Or che diremo della potenzia di Dio? Ché i fanciulli di ii anni, come si videro esser insieme, mai non volsero mangiar né bere né dormire se non che quello che facea l’uno l’altro seguia; e più volte provati dal padre, trovonno così era, intanto che fu di necessità che l’uno e l’altro in uno medesimo letto dormissero e innel camino in uno lettuccio fusseno portati. E più, che convenia che in una medesma tazza mangiassero e bevessero, e d’una medesima vivanda: e sopra l’altre meraviglie che il padre di ciascuno avea li parea questa. E così caminarono a Roma.

E fatto noto al santo padre che a lui voleano parlare, il santo padre dando loro audienza davanti a sé li fe’ venire dicendo loro quello voleano. Lo conte e ’l cavalieri disseno che per certo credeano lui esser in terra vicario di Dio: «A noi è di bisogno che quello che Idio ci ha prestato tu lo facci di grazia ripieno; cioè che ti piaccia du’ nostri figliuoli battegiare acciò che possano la gloria celeste possedere e per la santa fé combattere». Il papa vuole sapere la cagione e perché si sono mossi. Loro tutto contonno. Lo papa, udendo, disse che a lui piacea, e comandò che [p. 188 modifica]fusse aparecchiato il libro e l’altre cose da battesmo. E così fu fatto, presente i cardinali e altri baroni, ai quali il papa impuose che quelli fanciulli tenessero al battismo; e così fenno. Il papa, facendoli cristiani, puose nome al figliuolo del cavalieri Amico, et a quello del conte tedesco li puose nome Amelio; e battegiati, donò loro a ciascuno una tazza, o vero schivo di legno, con guarnimento d’argento e d’una medesma tenuta, e benedettoli, li racomandò a Dio dicendo: «Questo dono sia per memoria che voi sete battegiati innella chiesa di Roma dal papa».

Ritornati ciascuno de’ preditti alla loro patria col dono che ’l papa avea lor fatto, e crescendo Amico in molta sapienzia fine a l’etá di xxx anni, lo padre amalando amonio il figliuolo suo dicendo: «Amico, figliuol mio, io ti comando che tu ami Idio; apresso, sii misericordioso a tutte persone e difensore delle vedoe e pupilli; e sopra ogni cosa terrena abi in reverenza il figliuol del conte Ricciardo tedesco nomato Amelio, però che in uno dì fuste dal sommo pastore a Roma battegiati et a te et a lui donò uno schifo d’una medesma fazione e grandezza. E simile ti dico che Amelio, tuo fratello a battesmo, è d’una statura e fazione come tu e non è alcuno divario da te a lui; e però in ogni cosa l’ama et a lui ricorre». E ditte queste parole morìo.

E non molto tempo steo che certi invidiosi tutte castelle e terre li tolseno, per la qual cosa il ditto Amico fue costretto a doversi asentare. E pensò ad andare ad Amelio conte sperando da lui aver qualche aiuto, e prese ii serventi et arnesi, e disse: «In caso che quine non possiamo aver nostra stanza, anderemo alla reina Legoriade, donna di Carlo re di Francia, la quale tutti li scacciati riceve». E così si mosseno per andare a’ luogo ditto.

Amelio conte, avendo sentito la morte del cavalieri Tobia padre di Amico, pensò di visitarlo, e mossesi con certa compagnia per andare là. Ora caminano l’uno e l’altro: Amico, che non trova a casa Amelio, non resta di caminare; Amelio, che trova che Amico è stato cacciato delle sue terre e noi trova, dispuone non tornare in suo paese fine che non trova Amico scacciato.

Amico, che va cercando sua ventura, una sera fu arrivato a uno albergatore ricchissimo, con suoi compagni. L’albergatore [p. 189 modifica]disse a Mico che se volea la figliuola per moglie li farà tutti ricchi. Amico consigliato, la donna presente, e fanno le nozze.

E passato uno anno e mezzo, disse Amico a’ servi suoi: «Io fo quello non debbo: Amelio mi va cercando et io vo cercando lui, e stiamo qui». E lassato ii de’ suoi servi, collo schifo caminano verso Parigi.

Amelio, che già du’ anni avea cercato l’amico, andando verso Parigi trovò uno pellegrino: domandandolo, come solea far li altri, se li sapesse insegnare Amico cavalieri, colui rispose che mai non l’avea veduto. Amelio li diè un vestimento e disse: «Prega Idio che mi dia grazia di trovarlo». Et andato il pellegrino fine a vespro, trovò Amico il quale disse: «O pellegrino, saprestimi tu dire u’ è Amelio conte?» Lo pellegrino disse: «Tu mi ugelli, che stamane mi desti una gonnela et io pregassi Idio che ti lassasse trovare Amico cavalieri. E tu se’ Amelio, ma non so se tu hai mutato veste armatura e cavalli». Amico disse: «Io sono quello Amico che Amelio va cercando». E dato al pellegrino limosina, disse: «Prega Idio che io lo ritrovi». Lo pellegrino disse: «Camina tosto verso Parigi: io penso lo troverai».

Et essendosi di Parigi partito Amelio, et apresso a uno fiume in uno prato fiorito mangiavano, Amico armato venendo vidde que’ cavalieri armati mangiar’e disse a’ suoi: «Siate valenti che questa battaglia vinchiamo, et andremo in corte e saremo li bene ricevuti». E messe baste in punto, Amelio, che vede costoro atti a combattere, montato a cavallo lui e’ suoi, e percossensi insieme e ciascuno fu valente.

Idio ch’all’affanno di costoro volse puonere fine <..> E parlando Amico disse: «Doh, perché volete voi uccidere lo cavalieri Amico co’ suoi compagni?» Amelio conte, ciò udendo, stupefatto cognove Amico, che mai veduto non l’avea se non quando erano di ii anni, e abracciandosi insieme ferno gran festa. E fatto ciascuno di loro <promessa> con sacramento che sempre staranno insieme come veri amici, alla corte de’ re di Francia si presentarono. Lo re fa Amico tesorieri et Amelio scudieri d’onore.

E stato per ispazio di iii anni che Amico dalla donna sua s’era [p. 190 modifica]partito, disse ad Amelio: «Io vo’ andare a vedere la mia donna, e tu rimarai in corte, ma guarti che tu non abbi a fare colla figliuola de’ re, che veggo che t’ama, e sopratutto ti dico che ti guardi dal pessimo Arderigo, il quale ci ha portato sempre invidia». Amelio disse: «Et io così farò».

Amico si parte, Amelio rimane. E non molto tempo ristéo che colla figliuola de’ re ebbe a fare. E di tal fatto Arderigo per sentire, disse a Amelio: «Amico se n’è ito col tesoro e non tornerà mai, e però io voglio esser tuo compagno». E impalmegiatisi insieme, Amelio, credendo poterli dire a securtà, lo suo secreto della figliuola de’ re li disse. E stando uno giorno Amelio dinanti a’ re per darli l’acqua alle mani, Arderigo disse: «Santa corona, non prendete acqua da Amelio, conciosiacosa che sia degno di morte però che la verginità della tua figliuola ha tolto». Amelio, come udìo tal cosa, stupefatto tremando cadde in terra. Lo re benignamente lo prese per la mano dicendo: «Sta su, non aver paura ma vigorosamente ti difende». E diede loro termine a dovere in battaglia provare della veritàe. Prendendo Arderigo un conte gagliardo e savio per suo consiglio, Amelio, che solo era, non avea persona che per lui fusse. La reina, sentendo che Amelio non avea neuno che per lui fusse, li fe’ acrescere il termine fine che Amico fusse tornato.

<Tornato> Amico, Amelio li narrò tutto com’era seguito. Spirato Amico di sapienzia, disse ad Amelio: «Cambiàno le vesti e le armi: e tu te ne andrai a casa della donna mia e io combatterò per te, e prenderò la battaglia e colla speranza di Dio n’aremo vittoria». Amelio dice: «Come mi cognoscerà la tua donna, che mai non la viddi?» Amico disse: «Và e domanda di lei. Ma guarda che con lei non usassi!»

Amelio si parte e giunse a casa di Amico. La donna, credendo fusse il marito, lo volse abracciare e baciare. Amelio disse: «Donna, non mi toccare, però che poi mi partì, io ho avute molte aversitadi et anco n’ho; e pertanto non ti curi di toccarmi». E la notte quando indei letto entrò, misse la spada nuda innel letto, dicendo: «Donna, se passi questa spada, io t’ucciderò». E per questo modo steo tutto il tempo del termino.

La reina, che amava Amelio, avea malanconia però che sapea [p. 191 modifica]che Arderigo era valente. Arderigo, che vede favoregiare Amelio alla reina, dicea che ella non era degna d’entrare in corte poi che avea lassato violare la figliuola. Venuto Amico dinanti da’ re per difendere la infamia data alla reina et alla figliuola et a sé in forma d’Amelio (Amelio sta in fonila d’Amico a casa), e messo le cose in ordine, — la reina con moltitudine di donne, lo re co’ reali — , e del populo alla presenzia Amico dice: «O conte Arderigo, se vuoi desdire quello hai detto, sempre serò tuo servidore». Arderigo dice: «Io desdico la tua testa e non <vo’> la tua amistà».

E giura, presente lo re, lui aver violata la figliuola del re. Amico dice che ne mente. Lo re dice: «O Amelio», — credendo che lui sia, — «francamente ti difende, che se vinci, io ti darò Brisedia mia figliuola per moglie». E combattendo bene tre ore, ultimamente Arderigo fu vinto et Amico li tagliò la testa.

Lo re, che vedea della infamia levata la figliuola e la reina, diliberò di maritare la giovana a Amelio. Amico (in figura d’Amelio) la prese e senza altro fare, Amico tornò a casa della sua donna <là u’> trovò Amelio. Amelio, credendo che Amico avesse perduto, vedendolo ebbe grande allegrezza. <Amico> narrandoli come Arderigo era morto e come avea presa la figliuola de’ re per moglie per lui, dicendoli: «Và in corte e quella prendi, et io mi rimarrò colla donna qui»; Amelio, tornato in corte, colla figliuola de’ re si steo, avendoli dato lo re in dota una città lungo il mare e molto terreno.

E dimorando Amico colla sua donna, sopravenendoli alcuna malatia, di lebra il ditto Amico fu ripieno intanto che tutta la casa li puzzava. E non che la donna sua li volesse aitare, ma più volte cercò d’afogarlo. E vedendo Amico che la moglie lo volea uccidere, disse a’ servi suoi: «Per Dio io vi prego che prendiate quello si può e lo scifo, e levatemi dinanti da questa malvagia femina e caminiamo innelle terre del conte Amelio». Li servi così feceno e condussenlo alle terre del conte Amelio. Li servi del conte dimandando chi era, lui disse: «Io sono Amico fratello di fonte del conte Amelio e vegno per stare qui, ch’e’ mi faccia le spese». Li servi d’Amelio disero che tosto si partisero, dando loro di buone bastonate. Amico, vedendosi così scacciare, pregò li servi suoi [p. 192 modifica]che almeno a Roma lo conducessero. E così fenno. E quine era lor fatto molto bene.

E venendo alquante genti ad assediare Roma, essendovi gran fame, li famigli d’Amico disseno: «Noi periamo di fame: se più ci stiamo moriremo». Amico, che ciò ode, disse: «O figliuoli miei, sempre m’avete ubidito: io vi prego che qui non mi lassiate, ma menatemi innella città d’Amelio». Li famigli disero che l’ubidiranno, e condussenlo in Francia innella città dov’era Amelio conte.

E fattosi condurre innella piazza dinanti al palagio d’Amelio domandando carità, Amelio fa impiere lo scifo di vino che ’l papa innel battismo l’avea dato; e ditto a uno famiglio che al povero lo portasse, Amico tratto fuori lo suo scifo e fatto voitare lo vino che dato li era, rendendo grazie a chi lil mandava, lo famiglio, tornato, disse al conte: «Per certo, se non che voi avete lo vostro scifo, io direi che uno che n’hae quello lebroso fusse il vostro, però ch’egli è d’una grandezza e d’una fazione». Udito il conte Amelio quello che ’l famiglio dicea, disse: «Andate e menatemi colui».

E menato, disse: «Unde hai auto questo scifo?»; e d’onde era, e chi era. Amico narrò tutto ciò che incontrato li era, dicendo: «Io sono Amico, e questo scifo ebbi a Roma quando mi battegiò il papa». Amelio, cognoscendolo, subito l’abracciò basciandolo e mettendo guai per la malatia ch’e’ avea. La moglie d’Amelio ode che Amico il quale vinse la battaglia d’Arderigo era lo ’nfermo: scapigliata piangendo, colle lagrime bagnava Amico. Et era tale il duolo che Amelio e la moglie faceano, ch’era una tenerezza a vederli. E subito li fe’ apparecchiare una camera fornita di ciò che bisognava e con ii suoi servi rimasti, dicendo Amelio ad Amico: «Ogni cosa che ci è, è tua come nostra: comanda e serai ubidito».

E stando per tal modo alquanto tempo, e sempre in quella camera et in uno letto Amelio dormia con lui, una notte venne l’angelo Gabriello e disse: «Amico, dormi?» Amico, che credea che fusse Amelio, disse: «Fratello, no». L’angelo disse: «Ben hai ditto, però che ti se’ fatto fratello della celestra gloria; e però sappi ch’io sono l’angelo Gabriello, e dìcoti che tu dichi a Melio che uccida li ii suo’ figliuoli e di quel sangue ti lavi, e sarai guarito». [p. 193 modifica]Amico disse: «O angelo di Dio, non sia questo, però che per la mia salute non vo’ che i figliuoli d’Amelio muoiano». L’angelo disse: «E così vuole Idio»; e partìsi.

Amelio, che ha udito molto parlare e tutto ha udito dire, dice: «O Amico, chi era colui con cui parlavi?» Amico dice: «Neuno, ma io dicea miei orazioni». Amelio dice: «Altri era: dimelo». Et uscito del letto e cercato l’uscio della camera, quello trovò chiuso; e disse: «Piacciati dirmi chi era quello che ti parlava». Amico, che vede che pur li conviene dire, con lagrime grandi tutto disse. Amelio, ben che avesse udito, dà più fede a Mico che al suo udire, e disse: «Deh, dimmi se l’angelo fu o se altri tel disse». Amico disse: «Cosi sia io oggi guarito della lebra come l’angelo fu, ma ben ti prego che in questa parte tale atto non facci, che io sono assai contento così stare».

Levatosi la mattina Amelio, e la donna andata alla chiesa — ch’era domenica — lassati li fanciulli innel letto, doppo molte lagrime gittate Amelio sopra li figliuoli, con uno coltello le vene della gola segò loro et in un vaso quel sangue ricolse et a Mico n’andò. E lavato, subito fu mondo da ogni lebra.

Vedendo Amelio guarito Amico, subito lo fe’ vestire a suo pari et alla chiesa n’andarono insieme. Et intrati in chiesa, la donna li vede e non sa qual sia suo marito. Subito mossa, disse: «Qual di voi è mio marito Amelio e chi è l’altro?» Amelio disse: «Io sono lo tuo sposo, e questo è Amico nostro fratello, il quale Idio l’ha stamane libero della lebra; e però godiamo e rendiamo laide a Dio che ha liberato lo nostro fratello». La donna allegrissima dalla chiesa si parte.

Et a casa tornata dando ordine di fare grande festa, e posti a taula, disse la donna: «Deh, leviamo i nostri figliuoli che siano alla festa di Amico nostro». Amelio, che ciò ode e sa quello ha fatto, disse: «Lassali posare, e noi prendiamo piacere». La donna disse: «Per certo ellino denno sentire della allegrezza che noi sentiamo». Amelio, di tenerezza per non piangere si leva da taula mostrando andare per alcuna faccenda. Et intrato in camera, trovò li figliuoli in su’ letto che ballavano, avendo intorno al collo una sega come fusse un corallo rosso. Amelio gridò dicendo: «Venite qua, amici e [p. 194 modifica]parenti, a fare allegrezza, ché Dio ha dimostrato oggi du’ così evidenti miracoli, l’uno di Amico e l’altro de’ miei figliuoli». La donna corse et Amico; disse la donna: «Che ci è?» Amelio disse che i figliuoli erano resussitati, e però che lui li avea morti per lavare Amico col sangue loro. Rispuose la donna e disse: «O Amelio pogo amore m’hai dimostrato! E perché non mi chiamasti quando volei uccidere li nostri figliuoli, che io avesse tenuto lo vaso per riparare il sangue, acciò che Amico fusse guarito?» Amelio disse: «Donna, lodiamo Idio e facciamo bene però che ci ha dimostrato così che noi siamo suoi servidori». E restato tali parole, intesero a mangiare.

E non molto tempo steo che a Amico venne novella come la donna sua dal dimonio fu strangolata. Per la qual cosa, doppo molti beni che faceano. Amico et Amelio visseno lungamente, e quasi in un tempo morirono e funno soppelliti in uno avello in San Piero a Roma, là ove noi quello potremo vedere.

Ex.º xl.