Novelle (Sercambi)/Novella LXXV
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LXXV
U>dita la piacevole novella, li stormenti cominciarono a sonare e le danze fatte fine che vennero le confezioni. E rinfrescati, il preposto a l’altore disse <che una moralità dicesse> e poi seguisse una novella intanto che serà l’ora della cena. L’altore rivolto disse:
«A tutte cose aver misura e modo
e Dio temere sopr’ogni cosa lodo.
Procura ch’a ragion tuoi fatti guidi
sì che dolendo doppo que’, non gridi.
Misura e modo a tutte cose pone
chi ’l suo voler somette alla ragione.
Acciò che de’ tuoi fatti sempre godi,
oserva il tempo e non passar i modi.
Non vasta a far tuoi fatti pur ragione
se ’l tempo in alcun modo vi s’oppuone.
Tuttor ch’a quelli il tempo non s’oppogna,
misura e modo sempre vi bisogna».
E questo ditto, disse:
DE COMPETENTE MISURA
Di Turello, che andò a stare a Pisa.
A>l tempo della morìa del xlviii uno giovano lucchese nomato Turello andò a stare a Pisa per fare l’arte del ferro e prese una bottega e casa di quelle de’ Gambacorti al tempo che loro signoregiavan Pisa, presso al Ponte Vecchio. E quine esercitando l’arte, avenne che la morìa cominciò in Pisa; di che il ditto Turello, vedendosi solo e dubitando della morte, pensò volere prendere una fantesca che in casa lo servisse se caso di malatia o d’altro li sopravenisse.
E stando un giorno presso alla loggia del Ponte Vecchio, là u’ molti gentili omini si riduceano e massimamente Franceschino Gambacorta di cui era la casa che Turello preso avea, il preditto Turello, vedendo una fantesca passare, disse se con lui volea stare a salario. La fantesca dice di sì, ma che volea sapere quello che dar li vuole. Turello disse di dareli quello li parea che sia condocevole. La fante dice che vuole xl lire l’anno et a ragione d’anno. Turello, che non era ben pratico della moneta, disse di che lire. La fante disse: «Pelle pisane, a ragion di lire iii, soldi x per fiorino». Turello dice esser troppo. La fante fa vista di partirsi. Turello la chiama, dicendo che era contento. Franceschino Gambacorta, che ode che Turello ha proferto xl lire, dice: «Come, è ben matto, che <non> si suole dare più che x lire e ch’e’ n’ha proferte xl!» E pensò dirli una gran villania che lui voglia le fanti mettere a tal pregio.
E mentre che in tal parole stanno, avendo fermo il patto delle lire xl, Turello dice che in casa ne vada. La fantesca dice: «Et anco voglio che tutta la semmola che uscirà del pane ch’io farò voglio che sia mia». Turello dice: «Io sono contento». Franceschino tutto ode e pensa vituperarlo. Fatto il secondo patto, la fantesca li dice: «E simile voglio tutta l’accia che io filo sia mia». Turello dice: «Fà l’altre cose et io sto per contento che l’accia che fili sia tua». Franceschino più si meraviglia. E Turello dice alla fante che in casa ne vada. La fante disse: «Et anco vi dico, se faceste alcuno convito, o veramente di tutti i polli che in casa si coceranno voglio le penne e l’enterame». Turello dice: «Io son contento che tutti quelli ugelli a chi onterame si trae di corpo siano tuoi, e le penne. Or vanne in casa».
Franceschino rivoltòsi a quelli che innella loggia erano e disse: «Or si pare che Turello è di quelli anziani di Santa Zita da Lucca, a dire che una feminuccia l’abia collato a passo a passo et anco non s’è mossa». E mentre che Franceschino dicea, la fante disse a Turello come avea nome. Turello il nome li dice. La fante dice: «O Turello, se volete che io vi serva, io voglio ancora tutta la cenere». Turello dice: «Cotesto non ti voglio dare però che io ho alquanto difetto, che ’l medico me l’ha molto lodata; e però non vo’ avere a comprare la cosa che io avesse». La fante a questo steo contenta e in casa n’andò.
Franceschino, che ha udito della cenere, rivoltosi a’ compagni dice: «Udite savio omo che s’è sottigliato alla cenere e non a l’altre cose!» E subito chiamò Turello. Turello andò a lui cavandosi il cappuccio, dicendo: «Che comandate?» Franceschino dice: «Or bene cognosco che tu se’ di quelli strappazucca da Lucca a dire che se’ stato stamane ugellato da una femminella e che hai proferto di darle xl lire de’ pisani, et hai messo male asemplo, che altro che x lire non s’usa di dare; e con questo hai promesso l’accia la semmola le penne l’enteriuoli, et <a> la cenere ti se’ sottigliato, matto tristo». Turello dice: «Messer, se mi volete concedere ch’io dica il perché ho fatto questo, forsi non mi terete matto». Franceschino dice che dica ciò che vuole.
Turello dice: «Io cognosco il pregio delle lire xl esser ingordo, ma io vedendo che la morìa comincia et io amalato volendo una servente, in quel caso mi gosterè’ ogni dì xl soldi e verrei a papagare in xx dì quello che in uno anno. E se caso aviene che io non abia male e la morìa cessi, io la manderò via e non la terrò più. E questa è la cagione che tanto l’ho promesso». Franceschino dice: «Io veggo che a questa parte hai ragione; or mi dice dell’altre cose». Turello risponde: «Io compro ogni dì il pan fatto, né mai semmola da me la fante aver non può. Apresso, lino non compro; e come potrà filare quello che non ha? E se pur lei lo comprasse, faccendo i miei fatti, non mi curo di ciò ch’ella si filerà». Franceschino dice: «Ben hai ditto delle tre parte: or mi dì dell’enterame e delle penne». Risponde Turello: «Io non uso far conviti; e se pur alcuno venisse a cena meco, mando al cuoco per un pollastro cotto. E quando compro tordi o ugelletti so che di quelli niuna cosa aver può».
Franceschino ben consente, ma ben si meraviglia della cenere che non volse l’avesse. Turello disse: «Io non posso fare senza fuoco: la fante, per aver molta cenere, a diletto mi consumerè’ le legna e potrè’mi disfare, ma non avendo la cenere non farà magior fuoco che bisogni. Et a voi, Franceschino, dico:
Sia l’uomo esperto e savio quanto vuole,
che sappia come sa il matto ove li duole».
Franceschino, che ha udite le belle ragioni, disse: «Omai ti terrò per savio, che hai rimediato alla malizia della fante». Né più a Turello disse di cosa facesse.
Ex.º lxxv.