Novelle (Sercambi)/Novella CIII

Novella CIII

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CIII


L>o preposto e la brigata giunseno a Fano senza alcuno disagio, là u’ la sera stenno con piacere fine a l’altra mattina che ’l preposto a l’altore comandò che una novella dica fine che giunti seranno a Pesale, ma prima dica <una> canzone. Il quale ubidendo disse:

«Le dilizie qua giù a voi mondani
tendon molti lacciuoli
ai qual’i peccatori rimagnon presi.
Tu vedi giù scender se tu sali;
se scendi, a che ti duoli?
E ognuno a questa legge atener dési:
che monta aver anni più che mesi
poi che rimagnon co’ corpi morti?
Al povor, canzon, fà che si conforti».

E ditta, disse: «A voi, omini ricchi che l’avarizia vi tiene stretti intanto che quello che di necessità tener dovete, per tal vizio fugite per la spesa non tenere, ad exemplo dirò una novella in questo modo, cioè:

DE AVARITIA MAGNA

Di maestro Pace medico in Pisa, avarissimo.

A>l tempo che la guerra era tra Firenza e Pisa, fu innella città di Pisa uno medico fisico nomato maestro Pace, di Barbaricina nato, per natura tanto avaro che spessisime volte non [p. 451 modifica]mangiava per non ispendere; e simile la donna sua e l’altra famiglia avea sì amaestrata in avarizia che quasi come lui erano avari diventati.

E infra l’altre avarizie che il ditto maestro Pace facea, si era che non tenea fante neuno. E più volte essendo da’ suoi amici ripreso della avarizia che in lui regnava, e massimamente di non tenere — uno suo pari — uno o du’ cavalli con uno fante almeno, lui rispondendo che non potrè’ cavallo tenere che più di fiorini xxx l’anno non gostasse, e il fante, senza le spese, di salario almeno fiorini xv converè’ pagare, si che più di c fiorini ogn’anno spender li converrè’; dicendo che cavallo non bisognava, però che quando bisogno fusse che ad altri convenisse fuori di Pisa andare, che tale per bisogno il cavallo e ’l fante li presterè’, e per Pisa pogo si curava di cavalli né di fante però che sempre il garzone dello speziale non li verrè’ meno: «E meglio è che io mi guadagni l’anno quello che i cavalli e ’l fante consumassero, che tristamente spender li fiorini c l’anno, per serbarli a chi bisogno n’arà». Li amici, che odeno quello che maestro Pace dice, cognoveno di vero che l’avarizia lo movea a tenere tali modi; diliberonno più di tali cose non ragionarne, lassandoli fare denari a suo modo. E tanto creve il guadagno del ditto maestro Pace che più migliaia di fiorini guadagnati ebbe. E crescendoli i denari li crescea l’avarizia, intanto che per tutto Toscana era sparto la novella che maestro Pace era ricco a fondo et era avaro più che Mida, che del suo vedere sì potea ma non toccare.

E dimorando per questo modo, certi omini atti a rubare, del contado di Raganato, soldati del comune di Firenza, avendo sentito quanto maestro Pace da Pisa era ricco et avaro, diliberonno con un bel modo gran parte della sua robba avere. E dato tra loro ordine del modo, come merendanti si vestiron e per la via di Siena a Pisa cavalcaron onore vilmente vestiti <come> omini d’un medesmo luogo nati. E giunti in Pisa et allogiati all’abergo del Cappello a l’Aia, quine u’ a l’oste disseno che li facesse star bene ad agio, dando suono d’esser mercadanti di molte mercantie, l’oste, che onorevili e con buoni cavalli li ha veduti, e per lo buono pagamento, li facea ben godere. [p. 452 modifica]

E dimorati alquanti dìe, l’uno di loro somigliante di magrezza a maestro Pace, maliziosamente si fece infermo. Li compagni disseno all’oste che di un buon medico arenno bisogno per la malatia del lor compagno. L’oste disse maestro Pace esser buono. Coloro, che altro non curavano, dissero all’oste che con loro andasse tanto che sapessero il camino. L’oste li condusse a casa et a bottega di maestro Pace, dove trovandolo, al compagno lo menorono mostrandosi molto malato. Maestro Pace tastandoli il polso dicea: «Pogo male mi pare che abbi». Lo ’nfermo dicea: «Per certo, maestro, se voi di tal malatia quale io hoe non mi guarite, non so chi guarir mi debbia né possa». Li compagni diceno: «Deh, maestro Pace, studiate bene in Galieno et in Avicenna, in Mesué e in Ipocras; non si dimentichi che è innelli altri libri, si che il nostro compagno per voi sia guarito. Et acciò che inne’ ditti libri possiate studiare, tenete al presente questi x fiorini acciò che tosto ce ne facciate lieti». Maestro Pace, che vede fiorini x, ralegrato disse: «Per certo io diceva male da prima, però che a me pare avale abbi quel male che dici»; dicendo: «Io ordinerò di buone cose si che colla grazia di Dio tosto ve l’arò dato guarito».

E partitosi, alla bottega se n’andò ordinando di molti confetti. Li compagni tutto pagando, dicendo a maestro Pace che spesso solliciti di visitare lo infermo, lo medico così fa. Et era tanto assegurato maestro Pace ad andarvi a ogni ora, per li fiorini che ogni dì toccava, che più di xxv fiorini avea auti forsi in 8 dì e lo speziale più di x e l’ostieri più di xx, che costoro non arenno saputo chieder cosa che non l’avesseno avuta.

Vedendo un giorno li compagnoni che un bel tempo s’era messo, dissero al maestro Pace che a loro parea che ’l malato si potesse omai contentare et in cataletto portarlo potere. E lo medico dice: «E’ così pare anco a me». Di che ellino diceno all’abergatore che faccia conto di ciò che avuto aveano. E pagato lui e ’l medico e lo speziale, mettendo in ordine uno cataletto per lo dì seguente, pregando il medico che li piaccia prima venirlo a vedere per dare ordine della vita ordinando alcuno confetto ristolatorio, e così si seguìo. [p. 453 modifica]

Messo in asetto ogni cosa e venuto lo dìe seguente, li compagnoni fatti sellare li cavalli et una bara legata in su du’ cavalli per modo forte, con uno matrassino e piumacci aconcio che dentro vi si possa agiato stare, con una coverta di sopra — salvo un pogo donde la testa sta era senza copertura — ; e come tutto fu in asetto, uno di loro andò per maestro Pace dicendoli che vegna a vedere lo ’nfermo. Lo maestro, che non avea fante neuno, con quello compagnone a l’abergo se n’andòe. E come li altri viddeno venire il medico, disseno all’oste che con l’uno di loro andasse allo speziale per confetti, avendo informato colui che con lui andò che tanto lo tenesse a bada che loro avessino fornito la loro faccenda. E così l’oste allo speziale se n’andò con uno compagnone.

Maestro Pace guidato innella camera dove persona non era se non di quelli compagnoni, e giunto che quine fu, subito cacciandoli la mano alla gola l’abavagliarono, con legarli le mani e’ piedi. E involto in uno piliccione e in uno lenzuolo in iscambio di colui che ’nfermo s’era fatto, e giù per la scala lo portonno, innella bara lo missero. E coperto molto bene che neuno vedere lo potesse, montati a cavallo, intanto l’oste con quello compagnone venuti dallo speziale co’ confetti, prendendo cumiato dalla famiglia dell’oste, pregando l’oste che con loro andasse fine alla porta acciò che la via insegni loro, l’oste disse: «Volentieri». E mossi dall’abergo, verso Porta San Marco se n’andarono; e come alla porta funno giunti, l’oste disse a’ guardiani che quello era uno malato, e passò via. Et uno di quelli compagnoni, mettendosi mano alla scarsella, ne trasse ii fiorini dicendo: «Uno di questi fiorini sia tuo per uno paio di calze, e l’altro darai a maestro Pace che se ne compri un altro paio». E racomandati a Dio, caminoro verso Marti.

E quando funno presso a Casteldelbosco, dove si teneano securi avendo quasi passato il terreno di Pisa, dislegaro il maestro Pace et in su uno cavallo lo misero senza levarli <’l> bavaglioro e condusenlo indel Valdarno, là u’ quine lo dislegarono; e faccendoli onore assai acciò che denari facesse assai venire, lo teneano a buona guarda.

L’oste, ch’è ritornato dentro in Pisa, andato a richiedere [p. 454 modifica]maestro Pace per darli quello fiorino, lassando allo speziale l’ambasciata che se tornasse li avea dare uno fiorino, e così tutto ’l dì passò.

Venuta la notte, maestro Pace non tornando a casa, la sua famiglia stimando fusse alla bottega, lo speziale che molti che aveano il maestro richiesto mandava a casa per sapere quello che di maestro Pace fusse, e’ non trovandosi, n’andaron all’abergo, dove l’oste <disse> che quine non era stato se non quando lo ’nfermo si partìo. E non potendosene sapere nulla, la notte ne stenno in grande pensiero.

Maestro Pace, che si vede esser mal condotto, prega quelli che preso l’hanno che la persona li salvino e che de’ denari darà loro tanti che riccamente potranno ad agio stare, dicendo: «Io per avarizia non ho voluto tener fante, et io come fante sono stato trappato». Li compagnoni, che sapeano che maestro Pace potrà agiatamente pagare fiorini v mila, dissero: «Noi siamo vi e però vogliamo subito per ciascuno fiorini m». Lo maestro, che avea desiderio d’uscire loro delle mani per ritornare a Pisa, <dicendo> ch’era contento, e fatto una léttora che in Firenze tali denari fusseno pagati e mandata a Pisa alla famiglia e a’ parenti suoi, prestamente li denari pagati funno.

E maestro Pace tornato a Pisa, per la novella contata dispuose poi di volere di continuo tener ii famigli acciò che seco in ogni lato andassero, per non poter più a forza esser ritenuto. E così doppo il perdimento dell’asino la stalla chiuse.

Ex.º ciii.