Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella XIX

Novella XIX - Prodezza mirabile di una giovanetta in servar la patria contra i Turchi, dalla signoria di Venezia magnificamente rimeritata
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IL BANDELLO

a la cristianissima prencipessa

sorella unica di Francesco re cristianissimo

margarita regina di navarra

duchessa di Alenzon e di Berri

salute


La troppo umana lettera vostra, serenissima reina, che in risposta de la mia, che vi mandai con la mia Ecuba, ora voi mi fate, rende verissimo testimonio che di ciò che scrissi de le vere e rare vostre vertuti io punto non mento, anzi appar piú che chiaro che io la menomissima parte non toccai. Pertanto, veggendo quanto con umane e onorate parole voi mi ringraziate che essa Ecuba al glorioso nome vostro abbia consacrata, e altresí leggendo quello che di me scrivete al magnanimo vostro cavaliero il signor Cesare Fregoso mio signore, ini fa veramente credere che voi in ogni secolo siate donna incomparabile, e che tante vostre divine doti si possano piú tosto riverire e ammirare che lodare a pieno. Ora, cercando io tutto il di mostrarvimi quello divoto servitore che vi sono, avendo l’origine de la casa nobilissima di Savoia, secondo che qui in Pinaruolo narrò il signor Tristano di Monino, descritta, quella vi mando, persuadendomi quella devervi essere cara, si perché madama Aloisa vostra onorata madre da la stirpe di Savoia è discesa, e altresi avendola narrata monsignor Monino vostro criato. Egli a la presenza di molti signori quella disse, quando io per commissione de l’illustrissimo signor conte Guido Rangone, luogotenente del re cristianissimo in Italia, a esso monsignor di Monino feci il privilegio de la terra di Vigone. Essa adunque Origine a Io reale nome vostro dedicata vi mando e dono; e dopo con ogni umiliti essermi a la vostra buona grazia raccomandato, vi bacio le reali mani. Feliciti nostro signore Iddio ogni vostro desire. [p. 234 modifica]234 PARTE QUARTA NOVELLA XIX (XX) La origine de la nobilissima casa di Savoia, che da stirpe imperiale discese. Narrano le antiche cronache de la nobilissima casa de li prencipi de la Sassonia e de le genealogie di quelli che da essa sono discesi, come tenendo la monarchia de l’imperio occidentale Ottone, di questo nome terzo imperadore, il cui padre e avolo furono imperadori, che egli ebbe uno fratello chiamato Ugo, al quale donò il ducato de la Sassonia. Prese Ugo moglie, de la quale in breve tempo ebbe tre figliuoli mascoli, Federico, Ulrico e Beraldo, li quali essendo ancora fanciulli, il padre loro passò di questa vita a l’altra. Il perché li tre figliuoli rimasero sotto l’amministrazione e cura de l’imperadore, loro amorevole zio; il quale non solamente con diligenzia li fece nodrire, ma creato Federico, il primogenito, duca di Sassonia, attese con mirabile cura a fargli imparare lettere e tutti quegli onesti esercizi e mestieri de l’armi che a ogni bono e generoso principe convengono. E perché egli de la sua mogliere non aveva figliuoli, teneva cotesti tre suoi nipoti e li trattava come suoi propri figliuoli carissimi. Si facevano ogni di li giovanetti prat- tichi in quegli esercizi che loro erano insegnati, e con grandissimo piacere de l’imperadore andavano di bene in meglio. Ma sopra tutti Beraldo era quello che in ogni cosa avanzava li suoi fratelli e reusciva meravigliosamente pieno di ogni buono costume, ammaestrato e dotto in varie scienze e in ogni altra bella e onorata dote, conveniente a qual si possa dipignere più perfetto e vero prencipe, di modo che l’imperadore suo zio sommamente l’amava e se lo teneva fora di misura caro. Onde cominciò mettergli in mano gli affari importantissimi de l’imperio e nulla espedire senza il savio consiglio di esso prencipe Beraldo, il quale prence vie più di giorno in giorno dimostrava la prontezza e acutezza del suo felice ingegno, con una modestia e destrezza in ordinare ed eseguire le cose, che tutti li prencipi e vassalli de l'imperio l’amavano, lo riverivano e temevano, conoscendolo di maniera giusto che tutto l’oro del mondo non [p. 235 modifica]NOVELLA XIX (XX) 235 l’arebbe corrotto a fare una cosa mala e ingiusta. Aveva Ottone imperadore presa per moglie madama Maria, figliuola del conte Ramerò Aragonese, gran prencipe in Spagna, la quale fu donna molto impudica e che vie più desiderava gli uomini che da loro desiderata non era; e con molti si era carnalmente congiunta, non rispettando il grado ove era e a chi si vituperosa ingiuria faceva. E perché, come si dice, il marito è cora- munemente sempre l’ultimo a sapere gli adultèri de la moglie, Timperadore niente ne sapeva, essendone però qualche sospetto. E anco se ne buccinava appo molti, ma nessuno ardiva farne motto a l’imperadore. Fu nondimeno da uno e da dui avertito il prence Beraldo di tanta disonesta vita de l’imperadrice, dove senza fine restò stordito e tanto di mala voglia quanto pensar si possa. Nondimeno, come savio e prudente che era, dissimulava l’ira e lo sdegno che di dentro conceputo aveva; e deliberò, secondo che dire si costuma, prendere la lepre col carro. Metteva adunque mente e diligentemente spiava tutto ciò che l’imperadrice faceva, onde di liggiero si accorse che uno barone, maestro di casa de l'imperadore, era lo adultero. Il perché tra sé deliberò aspettare opportuna occasione e prendere de l’uno e l’altra quella vendetta che la sceleraggine loro giudicava che meritasse. Ora avenne che l’imperadore si parti dal luoco de la residenza sua consueta per andare a vedere alcuni luoghi imperiali vicini al fiume del Reno; e di già essendo una giornata dilungato, li sovenne che si aveva dimenticate alcune sante reliquie legate in oro che egli era solito portare al collo, e le avea lasciate sotto il piumazzo del suo letto. Onde, chiamato a sé il prence Beraldo, non volendo che altra persona le reliquie maneggiasse, cosi a quello disse: — Nipote, io mi sono scordato le mie reliquie al capo del mio letto, e perciò vorrei che tu andassi per esse e me le recassi. — Il prence, udita la volontà del zio, disse che vi anderebbe, e cosi in camino si mise, seguitato da alcuni de li suoi. E andando, si imaginò che per essere l’imperadore assente, che di liggiero potria trovare la imperadrice con il suo drudo in letto. Arrivato che egli fu al luoco, se ne andò di lungo a la camera de l’imperadore, ove erano duo letti, in uno [p. 236 modifica]2$6 PARTE QUARTA de’ quali soleva per l’ordinario Pimperadrice giacersi. E volendo il prence picchiar, trovò che l’uscio non era fermato, per tra- scuraggine o de l’imperadrice o de la cameriera. Onde intrato dentro e trovato che gli innamorati, stracchi per lo soverchio macinare, altamente dormivano, si approssimò al letto; e ardendo in camera uno torchietto, vide li dui innamorati l’uno in braccio a l’altro. Onde, pieno di male talento e intrato in còlerà grandissima per la manifesta e vituperosa ingiuria che vedeva fare a l’imperadore suo zio, dal quale tanti beni e tanto di onore giornalmente ricevea, cacciata mano a la spada, di banda in banda passò tutti dui gli sfortunati adulteri, che subito, cosi abbracciati, se ne morirono. Prese poi le sante reliquie che al capo de l’altro letto erano, e a l’imperadore se ne ritornò. Diedeli le reliquie, e poi a quello puntalmente narrò quanto degli adulteri era successo. A cosi fiero e tanto vituperoso an- nonzio l’imperadore quasi stordito restò, ché per buono spazio di tempo non potè formar parola. Sparsesi la nova per la corte de la morte de li due adulteri, e da tutti era lodato il prencipe Beraldo. Indi vennero molti baroni, prencipi e cavalieri dimestici de l’imperadore, e con evidenti ragioni li dimostrarono che il peccato, che cosi disonesta donna avea commesso, meritava molto maggior gastigo e vie più acerba morte di quella che sofferta avea. Era allora l'imperadore in Cologna, tutto pieno di fastidio cosi per l’onta che fatta gli avea la impudica moglie, come anco perché il suo caro nipote era stato l’omicida, parendoli che egli la devea de l’adulterio accusare, acciò che per via de la giustizia fosse publicamente stata punita. Pure altro non si fece. Ora, venuta la nova al conte Rainero, padre de la morta imperadrice, esso conte si pensò di dolore morire, non si potendo persuadere che sua figliuola fosse di tale qualità che carnalemente si fosse sottomessa mai a altro uomo che a l’imperadore. E vinto da l’amore paterno, si imaginò che il prencipe Beraldo fosse stato mortale nemico di essa imperadrice, dubitando forse che ella non li procurasse la disgrazia de l'imperadore, e per questo non l’avesse ancisa, non potendo verificare l’adulterio. Simile pensiero il conte tenendo per buono [p. 237 modifica]NOVELLA XIX (XX) 237 e da se stesso giustificando la figliuola, accecato da la sua propria passione, fece venire a sé quattro figliuoli che avea, uomini prodi de la persona ed esercitati ne Tarme, e a quelli espressamente commandò che tutti quattro insieme devessero andare a la corte de T imperadore e in publica udienza dimandargli giustizia de la morte de la loro sorella contra il prence Beraldo. Partirono li quattro fratelli, deliberati di ubedire il padre loro con si gran core, come egli con estrema còlerà imposto gli avea e commandato. Il primo di essi fratelli si nominava Terigi, il secondo Enrico, il terzo Corrado e l’ultimo Lodovico. Arrivati che furono questi quattro baroni a la corte, proposero la loro querela a l'imperadore, e menacciavano fieramente il prence Beraldo come assassino de l’imperatrice. L’imperadore grandemente si turbò, parendoli che la morte de la moglie mai non si poteva rammemorare senza vituperio e vergogna di lui. Onde dopo molti proposti e parlamenti, l’imperadore li rispose che non ci era uomo al mondo che in cotale caso de la morte de la lor sorella avesse più interesse che egli, ma che bisognava aver pazienza e non ne far più motto, perciò che quanto più la cosa si moveva tanto più putiva, non si potendo parlar di quella che di più in più non si discoprisse la disonesta e malvagia vita de la lor sorella. Ma per giustificazione del suo nipote il prence Beraldo, che bastava la impudica femina essere stata morta in uno letto ne le braccia del suo adultero; però che non accadeva andare più cercando altra prova. A questa risposta li quattro fratelli, pieni d’ira e di còlerà, crollando il capo e non possendo o non sapendo moderare l’indignazione che gli affocava e commovea for di modo, ¡ratamente risposero che poi che vedevano l’imperadore non li volere fare giustizia, che si metteriano ad ogni rischio per prendere la debita vendetta, non li parendo ragionevole che il prence Beraldo devesse avere si buono mercato del loro sangue. Il conte Rainero, intendendo che l’imperadore non era per fare altro, persuadendosi la figliuola essere a torto ancisa, deliberò per via de la forza vendicarsi, e congregato assai buono numero di cavallaria e fanteria, mandò li quattro suoi figliuoli a guastare il paese de la Sassonia. [p. 238 modifica]23« PARTE QUARTA Questo intendendo, Beraldo supplicò l’imperadore che degnasse soccorrerlo. Il che Ottone con prestezza fece, esso Beraldo criando capitano generale de l’imperio, con uno espresso commandamento a tutti li soggetti e vassalli imperiali che a quello ubedissero come a la sua persona propria, e subito con danari e soldati lo inviò a la difesa de la patria. In quello mezzo avevano già li nemici col ferro, fuoco e sangue fatto gran danno, guastando quanto più potevano il paese. Passò con l’armata sua Beraldo a bandiere spiegate il Reno, disposto ovunque ritrovava li nemici combattergli. E caminando ebbe da una spia aviso come li nemici erano alloggiati molto disordinatamente cerca diece picciole miglia lontani da lui. Non credevano li nemici che cosi tosto il prence Beraldo devesse mettersi in punto, e meno sapevano che fosse loro tanto vicino; perciò alloggiavano a la sicura, con pochissimo ordine e senza téma alcuna. Giunse adunque Beraldo a le spalle de li nemici e cominciò valorosamente combatterli, di modo che, non avendo tempo di armarsi e ridursi in ordinanza, furono per la più parte rotti e morti. Corrado e Lodovico, li dui menori fratelli, amando meglio morire con Tarme in mano che vilmente fuggire, dopo Tessersi in mille maniere affaticati di mettere i loro soldati insieme, restarono amendui occisi. Intendendo il conte Rainero li suoi essere disfatti e li dui suoi figliuoli morti, di còlerà e di soverchio dolore tutto pieno, arrabbiava di modo che pareva forsennato né sapeva che si fare. A la fine, in sé ritornato, ricominciò la guerra più crudele che mai contra sassoni, avendo grande aita dei suoi parenti e amici. Durò questa guerra con gran danno de I’una e l'altra parte assai tempo; onde, andando le cose di male in peggio, alcuni prencipi e baroni vi si interposero per mettere pace tra li guerreggianti. Ottone imperatore assai vi si affaticò, ma non li puoté mai mettere accordio, non volendo il conte Rainero e li suoi aderenti che il prencipe Beraldo si comprendesse ne lo trattato de la pace. A la fine, dopo molti trattati, la pace si fece, con questi capitoli tra loro: che a patto nessuno il prencipe Beraldo si intendesse essere messo né compreso in la pace, anzi restasse per diece anni bandito [p. 239 modifica]NOVELLA XIX (XX) 239 di tutta Lamagna e in quello tempo non potesse portare le insegne o siano arme di Sassonia. E cosi rimasero, quelli che guerreggiato aveano, in tranquilla pace. L’imperadore, cui senza fine despiaceva il partire del prence Beraldo, ma per acquetar li tumulti germanici vedeva essere dr bisogno che si partisse, dopo molti ragionamenti: — Io — disse, — nipote mio carissimo, voglio che da ora innanzi la insegna tua sia uno scudo d’oro con una aquila negra dentro, che abbia il becco e le gambe rosse. Questa arma ti servirà d’insegna e ornamento in le imprese tue per te e la tua posterità. — Accettò con lieto core Beraldo il dono de l'imperadore, e da molti de li suoi vassalli ben accompagnato, dopo l’aver rese al zio le debite grazie, se ne parti, e con lui, al partir di Lamagna, molti soldati del paese, li quali di quello il gran valore ne la milizia sapevano, si congiunsero. Pervenne con li suoi commilitoni ne la Borgogna. che allora era reame, e vi regnava il re Bozzone, che molto volontieri e con allegro viso abbracciò il prencipe Beraldo, sperando col mezzo di quello ricuperare alcune sue castella, che certi uomini di malvagia e pessima vita gli aveano rubato, e non lassavano passare viandanti e mercatanti che essi non dispogliassero e sovente anco ammazzassero. Narrata adunque la cosa a Beraldo, quello pregò che volesse essere seco a ga- stigare que’ assassini; il che Beraldo gli promise di fare. Ove in breve tempo cosi valorosamente si diportò, che furono quelli ribaldi messi a filo di spada e le castella ricuperate. Ma se io rni vorrò mettere a contare tutte le imprese che Beraldo fece, il mio ragionamento saria troppo lungo. Bastivi dire che Beraldo e li suoi successori acquistarono la Savoia, il contato di Morienna, il marchesato di Susa, Turino col Piemonte e altri luoghi, e furono prima chiamati conti di Savoia, dapoi da l’imperatore furono criati duchi di Savoia. Fecero molto belle imprese in Oriente in favore de li regi di Gierusalem contra infedeli, e cose altre assai, degne di eterna memoria, che sparse per le istorie si trovano.