Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella XVIII
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IL BANDELLO
a l’illustre e valorosa signora
la signora
gioanna sanseverina e casttgliona
salute
Quanto errino alcuni buoni uomini privi di ogni buono e sano giudicio, li quali non vogliono che in modo veruno le donne siano atte a le lettere e a Tarmi, è tanto facile a provare che soverchio parmi il volervisi affaticare; perché leggendo le istorie antiche e moderne, di quale lingua si sia, si troveranno molte donne in l’una e l’altra facoltá degne di onorata e immortale memoria. E certamente se li padri volessero permettere alcune de le figliuole darsi agli studi litterali e anco a Tarmi, molte riusceriano eccellentissime, come fu per lo passato. Ma per non discorrere per l’Europa, non usciremo per ora fora di Milano, lasciando Pentesilea, Camilla, Tomiri, Ippolita, Zenobia, Saffo, Temistoclea, Proba, Polla, Argentaria e molte altre dotte e bellicose, e diremo solamente de la mirabile eroina la signora Ippolita Sforza e Bendvoglia, che tutto il di si vede di passi reconditi de la lingua latina dottamente disputare. Ma come posso tacere la moderna Saffo, la signora Cecilia Gallerana contessa Bergamina, che, oltra la lingua latina, cosí leggiadramente versi in idioma italiano compone? Chi oramai non conosce la signora Camilla Scalampa e Guidobuona, le cui colte rime sono in tanto prezzo? Queste tre sono pure in Milano. Ci è ancora la nobile e valorosa signora Luzia Stanga, che con la spada in mano fa paura a molti bravi. Ci è anco la figliuola del giardinero de l’umanissimo signor Alessandro Bentivoglio, che questi di nel gran borgo de la Porta Comasca contra dui sbirri, 230 PARTE QUARTA che volevano prendere il fratello di lei che senza arme era, dato mano a una spada, uno di quei sergenti animosamente assali e l'ammazzò, e l’altro di una stoccata feri e fece fuggire. Ora questi di, ne l’orto de li nostri signori Attellani ragionandosi in una buona compagnia del valore di molte donne, vi si ritrovò messer Bartolomeo Bozuomo, che era stato quaranta anni schiavo di turchi, il quale a proposito di quello di cui si ragionava, narrò una singolare prodezza fatta contra turchi da una giovanetta greca, la quale animosamente a uno gran numero di turchi, che la patria sua assediavano, si oppose. Avendola poi descritta, al vostro nome, per segno de la mia servitù e vostra infinita cortesia, quella consacrai. E cosi ve la mando e dono. State sana. NOVELLA XVIII (XIX) Prodezza mirabile di una giovanetta in servare la patria contra turchi, da la Signoria di Venezia magnificamente rimeritata. A la signora Gioanna Sanseverina e Ca- stigliona messer Bartolomeo Bozuomo. Per essere io stato più di quaranta anni schiavo ne le mani de li turchi, fui più volte condutto in vari luoghi di essi turchi, e massimamente per Grecia, ove sono di bellissimi paesi e molte fruttifere isole sotto l’obedienza loro. E al proposito di quello che ora voi ragionavate del valore di alcune donne, vi dico, signori miei, che avendo l'armata turchesca, per quanto intesi da uomini turchi che si erano trovati a l’assedio di Coc- cino, terra ne l’isola di Lenno, assalita essa isola nel mare Egeo e posta l'ossidione attorno a Coccino, dopo l’avere indarno combattuto Lepanto, cominciarono con artegliaria a battere le mura di Coccino e fieramente danneggiarle; di modo che in più battiture con cannoni fatte gettarono per terra una de le porte, per la quale i turchi facevano ogni sforzo per intrar dentro. Li soldati veneziani, insieme con gli uomini e donne del luogo, facevano gran resistenza; ma nessuno era che più valorosamente e con maggiore animo combattesse contra turchi di quello che faceva uno compagno de la terra, chiamato NOVELLA XVIII (XIX) 231 Demetrio. Egli innanzi a tutti sovra l’intrata de la porta faceva prova da uno paladino, avendo di già di propria mano assai di quei turchi ancisi, e tuttavia, esortava i suoi cittadini a la difesa. E già fatto si avea quasi uno bastione di turchi da lui ammazzati per di ogni intorno. A la fine dal numeroso saetta- mento turchesco in mille parti del corpo ferito, avendo gran sangue perduto, in mezzo de li morti nemici, in terra si lasciò cadere e mori. Era non lunge da lui una sua figliuola, vergine di anni cerca diciotto in diecenove, de la persona assai ben disposta e più grande di quello che era la sua età, che Marulla si chiamava. Ella era molto bella, forte e animosa. Come Marulla vide il caro padre caduto in terra e morto, senza perder tempo né mettersi con feminili ululati a piagnere, prese la spada e la rotella del padre, ed esortando i suoi popolari che la de- vessero animosamente seguitare, come una furiosa leonessa e famelica quando ne l'Africa assale uno branco di vitelli, si cacciò tra turchi e quivi, a destra e a sinistra ferendo, con la morte di quei cani vendicò quella del padre. Né contenta di questo, da li suoi coccinesi seguitata, fece tanta e si forte impressione ne li nemici, che li pose in tale disordine che gli sforzò fuggire al mare e levarsi fora de l’isola. Quei che non furono presti a montare su le galere, tutti furono messi a filo di spada morti in terra, di modo che Cocchio e tutta l'isola di Lenno rimase libera da l'assedio. Soviemmi ora che Morsbecco, che era capo di que' turchi, uomo ¡sperimentato in varie imprese e ¡stimato molto prode e di gran core, essendo a Costantinopoli e narrando la cosa come era seguita, disse che quando vide Marulla cacciarsi tra' turchi, che li parve che in lui ogni forza e ardire li mancasse, e che, vinto da la paura, fu astretto a fuggire; cosa che non gli era in tanti pericoli de la battaglia, come si era trovato, avenuta già mai. Liberata adunque l'isola, come poi si intese, venne Antonio Loredano, che allora per veneziani era generale di mare, e sentendo la fortezza e valore de la vergine Marulla, ordinò che se gli appresentasse, accompagnata onestamente, innanzi a lui. Condotta che li fu la vergine greca, cominciò parlar con lei, e di liggiero conobbe essere in 232 PARTE QUARTA quella uno animo generoso e virile e forse più grande che a fanciulla non si conveniva. Diede a la presenza cosi de li soldati come de li coccinesi a la vertù de la giovane quelle vere lodi, che ella valorosamente combattendo meritate aveva; poi le fece alcuni ricchi presenti di danari e altre robe, acciò che onestamente maritare si potesse. A imitazione del loro generale i padroni de le galere e gli altri officiali le diedero tutti qualche denaro o altri doni. Il generale poi si le disse: — Figliuola mia, affine che tu conosca che la nostra serenissima Signoria di Venezia ama e onora la vertù in qualunque sesso si sia, e che è gratissima riconoscitrice di ogni servigio che fatto le sia, sta’ di buono animo e fermamente spera che come quelli nostri giustissimi senatori intendano, il che particolarmente e caldamente 10 gli scriverò, il tuo valore e quanto per salvezza di questa isola tu ti sei affaticata; sta’, dico, di buonissimo core, ché da loro sarai bene riconosciuta e largamente rimeritata. Fra questo mezzo, se ti pare di eleggere per marito tuo uno di questi prodi uomini che teco la patria hanno difesa, o quale altro più ti diletta, io ti aiuterò a fartelo avere, e ti prometto che da li nostri signori sarai del publico dotata. — Ella, ringraziando 11 generale, di questa maniera gli rispose: che bisognava non solamente ne l’uomo la fortezza e valore del corpo, ma che più importava investigare con somma diligenzia la qualità de la vita e de li costumi e bontà di quello, perché la fortezza corporale senza il buono e nobile ingegno e vertuoso nulla valeva. Veramente questa risposta mostrò più chiara la bontà e prodezza di quella valorosa giovane, che meritava essere agguagliata a qualunque altra donna di quelle che più famose furono, cosi de le greche come latine. Onde il generale remise il tutto a l’arbitrio de la serenissima Signoria, che poi, del tutto informata, quella de li danari del publico onoratamente maritò, donandole molte esenzioni e rari privilegi da le pubbliche gravezze, che si sogliono per conservazione de lo stato a li sudditi com- munemente imporre.