Novelle (Bandello, 1910)/Parte IV/Novella IX
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IL BANDELLO
al magnifico ed eccellente dottore
di leggi pontificie e cesaree
messer
lodovico dante alighieri
salute
Era il clarissimo signore Giovanni Delfino, podestá di questa inclita cittá, avendo in compagnia lo splendidissimo e valoroso signor Cesare Fregoso, generale de li cavalli de l’illustrissima Signoria di Venezia capitano, con molti altri gentiluomini, ito a diportarsi a le amene, chiarissime, fresche e piscose fontane del celebrato nel Filocopo da messer Giovanni Boccaccio, piacevole e facondo scrittore, il castello di Montorio. Quivi facendosi pescare e prendendosi molte trutelle, temoli, gamba ri e quei delicati pesciolini dal capo grosso, che in diversi luoghi hanno sortiti diversi nomi e voi veronesi chiamate «mangeroni», voi sovra veniste, che eravate fora de la cittá al vostro podere colá vicino. In quello, essendosi preso giá del pesce assai e facendo gran caldo, il signore podestá con la compagnia si retirò al giardino del palazzo, ove in diversi luoghi a le fresche ombre degli arbori e pergolati si assisero sopra la minuta e verde erbetta. E ragionandosi, ove era il signore podestá, di varie cose, fu chi mise in campo le molte moglieri del re de la Inghilterra, parte repudiate e parte ancise, essendo venuta la nova che poco avanti avea repudiata la sorella del duca di Clèves. Parve a tutti molto di strano che Enrico ottavo di questo nome re inglese, che era stato si grande e continovo difensore de la Chiesa e che cosí catolicamente contra la perfidissima eresia di Lutero avea uno dottissimo libro composto, si fosse, perché papa Clemente non aveva voluto consentire né i;o PARTE QUARTA approvare lo illecitissimo repudio de la reina Catarina di Ragona sua legittima moglie, si sceleratamente cambiato e scopertosi cosi acerrimo nemico de la catolica e romana Chiesa; di cui, oltra che era cristiano, era ancora giurato tributario per obli- gazioni autentiche de li precedenti regi. Si disse anco di alcuni uomini per dottrina e santità di vita riguardevoli e eccellenti, che crudelissimamente avea come scelerati ladroni e assassini fatti decapitare. Né si tacque come fora de l’isola avea con impietà grandissima cacciati tutti li religiosi, frati mendicanti, monaci e altri servi di messer Domenedio, e roinati tanti monisteri, e distribuite tutte le intrate de li luoghi sacri a chi più de li suoi complici gli era ne l'animo caduto. Egli con sacrilegio inaudito si scriveva « pontefice » del suo regno; avea le sante reliquie e le ossa de li martiri e altri santi gettate a’cani, e dirubati i sacri donari per avanti da li regi e altre persone divote per voti a le chiese consecrati, e proibito sotto gravissime pene che messe e divini uffici più non si celebrassero. Donava a chi più li piaceva li vescovati di sua propria autorità, né più si ricercava alcuna autorità papale, non permettendo che a la corte romana più per veruna cosa si avesse ricorso. Tutti questi sacrilegi, tanto spargimento di sangue umano, la diradicazione de la maggior parte de la nobilità de l’isola, e si crudele e nefanda tirannide da altro procedute non sono che da la insaziabile libidine e disregolatissimo suo appetito di esso Enrico; il quale, gettatasi dopo le spalle la moderatrice de le azioni umane giusta ragione, a sciolte redini a lo sfrenato e concupiscibile senso si era totalemente dato in preda, di modo che, fieramente acciecato, correva ogni ora di male in peggio. Ora di lui tutto questo e altre cose assai in detestazione sua dicendosi, il gentile e dotto messer Geronimo Verità, quando vide che in altri ragionamenti si cominciava a travalicare, con mano accennò che si tacesse, e a proposito del repudiare de le moglieri narrò una breve istorietta, che molto a li circostanti piacque udire. E poi che egli si fu deliberato de la sua narrazione, il gentilissimo e costumato giovane messer Francesco da la Torre, che vicino a voi sedeva, a me rivolto, sorridendo NOVELLA IX (X) 171 disse: — Né questa, Bandello mio, starà male tra le novelle tue, che questi di mi mostrasti, quando il nostro piacevolissimo messer Francesco Berna ed io col non mai a pieno lodato signor Cesare Fregoso disinassemo a poi si retirassemo ne la tua camera. — Voi allora diceste che io questa novelletta devea descrivere; il che io vi promisi. Onde, avendola descritta, mi è paruto convenevole al nome vostro dedicarla e farvepe dono, ancora che sia picciolissimo e voi per le rare vostre doti di vie maggior degno siate, non tralignando punto da l’autore de la onorata vostra famiglia in Verona, che fu il dottissimo gran filosofo, teologo e poeta messer Dante Alighieri, del quale voi per diritta linea mascolina séte procriato, perciò che egli molti anni qui, sotto l’ombra de li signori Scaligeri, abitò, e vi lasciò uno legittimo figliuolo, dal quale è discesa la nobile vostra stirpe. E chi sarà di cosi rintuzzato ingegno, che stato sia a Ravenna e abbia visto il sepolcro di esso Dante, dove è sculta la marmorea statua rappresentante la vera e nativa sua effigie, che, veggendo voi e il dotto in greco e latino messer Pietro vostro fratello, non dica che in viso portate la vera sembianza di esso Dante? Accettate dunque il mio picciolo dono, e in quello pigliate l’animo mio, che di molto maggior cosa desidera di onorarvi, acciò che in parte potesse sodisfare a le cortesi dimostrazioni vostre, che sempre verso me in molte cose mostrate avete. State sano. NOVELLA IX (X) Alfonso decimo re di Spagna repudia la moglie, non polendo aver figliuoli, e sposa una altra. Ma avanti le nozze la prima moglie si trova gravida, onde Alfonso ripiglia la prima e marita questa seconda nel proprio di lui fratello. Questi repudi, dal re inglese impíamente fatti, sono il più de le volte cagione di grandissimi mali. E per l’ordinario si costumano fare da' grandi signori ; da quelli, dico, che non ¡stimano le umane leggi e meno le divine, pur che possano li disonesti e illiciti loro ingordi e libidinosissimi appetiti adempire. Ora, venendo a la mia istorietta né uscendo in tutto de la materia 172 PARTE QUARTA de li repudi, vi dico che Alfonso di questo nome decimo re di Spagna fu figliuolo di Ferdinando quarto. Egli in la sua giovanezza prese per mogliere Violante, figliuola di Giacomo re di Ragona, che fu quello che levò di mano a li sarraceni risole Baleari, cioè la Maiorica e la Minorca. Era Violante bellissima, e di grazia e belli costumi ornatissima. Alfonso sommamente l’amava e di lei sommamente appagato si teneva. Ma essendo stato con lei alcuni anni e veggendo che ella non portava figliuoli, de li quali egli fora di misura desideroso era, ancora che forte l’amasse e grandemente lasciarla li dolesse, deliberò come sterile repudiarla. E facendo fare per via de la ragione il processo, le diede il libello del repudio. Poi per mezzo di ambasciatori tenne prattica col re de la Dacia o sia Dania, e prese Cristierna, di quello figliuola, e per moglie la sposò. Era anco questa Cristierna oltra misura bella, e fu con grandissima pompa e compagnia di baroni accompagnata in Ispagna a Siviglia. Quivi con la sua comitiva, alquanto da la lunghezza del camino stracca, si fermò per riposare e ristorarsi. Ma ecco che fore di ogni speranza, mentre che questa a Siviglia soggiorna e con desiderio grandissimo è dal re aspettata, la prima moglie Violante si scoperse gravida. A questo aviso si trovò il re Alfonso insiememente lieto e dolente. Allegro era che Violante fosse gravida, perché molto l’amava; di estrema poi doglia trafitto si sentiva e pieno di travaglio e noiosi pensieri, non sapendo come buonamente con questa altra governarsi. Cosi, trovandosi da diversi pensieri combattuto e non veggendo il modo di risolversi, stava molto maninconico. Aveva esso Alfonso uno fratello nominato Filippo, il quale era abbate de la abbadia de la Valle Solida ed eletto vescovo de la città di Siviglia. Filippo, veggendo il mordace affanno che il re Alfonso suo fratello affliggeva e conoscendo la vera cagione di quello, e non li piacendo forse troppo portar il rocchetto e la chierica in capo, si offerse prendere Cristierna per moglie, perché ancora non aveva ordine sacro alcuno. Onde con lo consentimento del re de la Dacia sposò per legittima sposa Cristierna, avendo prima rinonziato tutti li benefici suoi ecclesiastici. Si fecero le NOVELLA IX (X) 173 nozze con grandissima solennità, e il re donò in dote a là sposa una città con molte castella, oltra la dote che il re suo padre data le aveva. A Filippo poi donò uno bellissimo stato di alcune città, e lo fece il primo e più ricco e gran barone di tutti li suoi regni. Indi riprese là sua cara moglie Violante, con la quale ebbe molti figliuoli e anco figliuole. Il primo figliuolo che Violante partorì, fu nominato Sanzio quarto, che poi fu al padre empio, crudele e ingratissimo, come intenderete. Questo Alfonso decimo, per dirvene ancora diece parole, fu uomo studiosissimo e di gran fama cerca le scienze matematiche, e massimamente riportò infinita lode ne la astrologia, di modo che communemente da tutti per eccellenzia si dimandava « l'astrologo ». In questa scienzia astrologica compose egli de li movimenti de li cieli e de le stelle una bellissima opera, che si dimanda dagli studiosi di quella arte Li canoni o siano le tavole alfornine. Scrisse anco l’istorie de le cose fatte dal principio del mondo sino a li suoi tempi, che gli spagnuoli appellano l’Istoria generale. Scrisse anco sette libri, insegnando il modo del vivere a li suoi popoli, acciò che ciascuno sapesse come civilemente e religiosamente governarsi. Liberò il regno di Murcia da le mani de li sarraceni, e vi introdusse molte colonie di cristiani. Fu Alfonso eletto dagli elettori de l’imperio re de’ romani, o sia iinperadore, per opponerlo a Riccardo re di Inghilterra, che con forza di denari avea corrotti alcuni elettori de l’imperio e si sforzava per forza farsi imperadore. Alfonso, intendendo la dissensione che era tra li prencipi germani, essendoli portata la elezione, stette assai sospeso; ma intendendo Riccardo essere morto, lasciò il regno a Sanzio suo figliuolo e si trasferì in Lamagna. Ove ritrovando esser il tutto in tumulto, perché Rodolfo conte di Habspurg per opera del vescovo magontino era stato eletto re de’ romani e da molti di quelli baroni germani favorito, persuaso da molti, deliberò, per non mettere sossopra la Germania ed essere cagione di spargere tanto sangue cristiano, ritornarsene in Ispagna. Onde il buono Alfonso, che trovato avea gli stranieri benevoli e amici e che onorato l’avevano eliggendolo imperadore, trovò Sanzio suo figliuol o •74 PARTE QUARTA avversario e nemico, perché non li volle a patto nessuno restituire il regno. Del che egli oltra modo smarrito e dolente, conoscendo la estrema perfidia e ingratitudine del proprio figliuolo, in Siviglia vivendo privatamente se ne stette; e non possendo ricevere consolazione alcuna, intrò in tanta maninconia che in breve, da gravissima infermità oppresso, se ne morio.