Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte IV/Novella XX
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di questa isola tu ti sei affaticata; sta, dico, di buonissimo core, chè da loro sarai bene riconosciuta e largamente rimeritata. Fra questo mezzo, se ti pare di eleggere per marito tuo uno di questi prodi uomini che teco la patria hanno difesa, o quale altro più ti diletta, io ti aiuterò a fartelo avere, e ti prometto che da li nostri signori sarai del publico dotata. – Ella, ringraziando il generale, di questa maniera gli rispose: che bisognava non solamente ne l’uomo la fortezza e valore del corpo, ma che più importava investigare con somma diligenzia la qualità de la vita e de li costumi e bontà di quello, perchè la fortezza corporale senza il buono e nobile ingegno e vertuoso nulla valeva. Veramente questa risposta mostrò più chiara la bontà e prodezza di quella valorosa giovane, che meritava essere aguagliata a qualunque altra donna di quelle che più famose furono, così de le greche come latine. Onde il generale remise il tutto a l’arbitrio de la Serenissima Signoria, che poi, del tutto informata, quella de li danari del publico onoratamente maritò, donandole molte esenzioni e rari privilegi da le pubbliche gravezze, che si sogliono per conservazione de lo stato a li sudditi communemente imporre.
Il Bandello a l a cristianissima prencipessa sorella unica
di Francesco re cristianissimo Margarita regina di Navarra
duchessa di Alenzon e di Berri salute
La troppo umana lettera vostra, serenissima reina, che in risposta de la mia, che vi mandai con la mia Ecuba, ora voi mi fate, rende verissimo testimonio che di ciò che scrissi de le vere e rare vostre vertuti io punto non mento, anzi appar più che chiaro che io la menomissima parte non toccai. Pertanto, veggendo quanto con umane e onorate parole voi mi ringraziate che essa Ecuba al glorioso nome vostro abbia consacrata, e altresì leggendo quello che di me scrivete al magnanimo vostro cavallero il signor Cesare Fregoso mio signore, mi fa veramente credere che voi in ogni secolo siate donna incomparabile, e che tante vostre divine doti si possano più tosto riverire e ammirare che lodare a pieno. Ora, cercando io tutto il dì mostrarvimi quello divoto servitore che vi sono, avendo l’origine de la casa nobilissima di Savoia, secondo che qui in Pinaruolo narrò il signor Tristano di Monino, descritta, quella vi mando, persuadendomi quella devervi esservi cara, sì perchè madama Aloisa vostra onorata madre da la stirpe di Savoia è discesa, e altresì avendola narrata monsignor Monino vostro criato. Egli a la presenza di molti signori quella disse, quando io per commissione de l’illustrissimo signor conte Guido Rangone, luogotenente del re cristianissimo in Italia, a esso monsignor di Monino feci il privilegio de la terra di Vigone. Essa adunque Origine a lo reale nome vostro dedicata vi mando e dono; e dopo con ogni umilità essermi a la vostra buona grazia raccomandato, vi baccio le reali mani. Feliciti nostro signore Iddio ogni vostro desire.
NOVELLA XIX
La origine de la nobilissima casa di Savoia, che da stirpe imperiale discese.
Narrano le antiche cronache de la nobilissima casa de li prencipi de la Sassonia e de le genealogie di quelli che da essa sono discesi, come tenendo la monarchia de l’imperio occidentale Ottone, di questo nome terzo imperadore, il cui padre e avolo furono imperadori, che egli ebbe uno fratello chiamato Ugo, al quale donò il ducato de la Sassonia. Prese Ugo moglie, de la quale in breve tempo ebbe tre figliuoli mascoli, Federico, Ulrico e Beraldo, li quali essendo ancora fanciulli, il padre loro passò di questa vita a l’altra. Il perchè li tre figliuoli rimasero sotto l’amministrazione e cura de l’imperadore, loro amorevole zio; il quale non solamente con diligenzia li fece nodrire, ma creato Federico, il primogenito, duca di Sassonia, attese con mirabile cura a fargli imparare lettere e tutti quegli onesti esercizii e mestieri de l’armi che a ogni bono e generoso principe convengono. E perchè egli de la sua mogliere non aveva figliuoli, teneva cotesti tre suoi nipoti e li trattava come suoi proprii figliuoli carissimi. Si facevano ogni dì li giovanetti prattichi in quegli esercizii che loro erano insegnati, e con grandissimo piacere de l’imperadore andavano di bene in meglio. Ma sopra tutti Beraldo era quello che in ogni cosa avanzava li suoi fratelli, e reusciva meravigliosamente pieno di ogni buono costume, ammaestrato e dotto in varie scienze e in ogni altra bella e onorata dote, conveniente a qual si possa dipignere più perfetto e vero prencipe, di modo che l’imperadore suo zio sommamente l’amava e se lo teneva fora di misura caro. Onde cominciò mettergli in mano gli affari importantissimi de l’imperio e nulla espedire senza il savio consiglio di esso prencipe Beraldo, il quale prence vie più di giorno in giorno dimostrava la prontezza e acutezza del suo felice ingegno, con una modestia e destrezza in ordinare ed eseguire le cose, che tutti li prencipi e vassalli de l’imperio l’amavano, lo riverivano e temevano, conoscendolo di maniera giusto che tutto l’oro del mondo non l’arebbe corrotto a fare una cosa mala e ingiusta. Aveva Ottone imperadore presa per moglie madama Maria, figliuola del conte Rainero Aragonese, gran prencipe in Spagna, la quale fu donna molto impudica e che vie più desiderava gli uomini che da loro desiderata non era; e con molti si era carnalmente congiunta, non rispettando il grado ove era e a chi sì vituperosa ingiuria faceva. E perchè, come si dice, il marito è communemente sempre l’ultimo a sapere gli adulterii de la moglie, l’imperadore niente ne sapeva, essendone però qualche sospetto. E anco se ne buccinava appo molti, ma nessuno ardiva farne motto a l’imperadore. Fu nondimeno da uno e da dui avertito il prence Beraldo di tanta disonesta vita de l’imperadrice, dove senza fine restò stordito e tanto di mala voglia quanto pensar si possa. Nondimeno, come savio e prudente che era, dissimulava l’ira e lo sdegno che di dentro conceputo aveva; e deliberò, secondo che dire si costuma, prendere la lepre col carro. Metteva adunque mente e diligentemente spiava tutto ciò che l’imperadrice faceva, onde di liggiero si accorse che uno barone, maestro di casa de l’imperadore, era lo adultero. Il perchè tra sè deliberò aspettare opportuna occasione e prendere de l’uno e l’altra quella vendetta che la sceleraggine loro giudicava che meritasse. Ora avenne che l’imperadore si partì dal luoco de la residenza sua consueta per andare a vedere alcuni luoghi imperiali vicini al fiume del Reno; e di già essendo una giornata dilungato, li sovenne che si aveva dimenticate alcune sante reliquie legate in oro che egli era solito portare al collo, e le avea lasciate sotto il piumazzo del suo letto. Onde, chiamato a sè il prence Beraldo, non volendo che altra persona le reliquie manegiasse, così a quello disse: – Nipote, io mi sono scordato le mie reliquie al capo del mio letto, e perciò vorrei che tu andassi per esse e me le recassi. – Il prence, udita la volontà del zio, disse che vi anderebbe, e così in camino si mise, seguitato da alcuni de li suoi. E andando, si imaginò che per essere l’imperadore assente, che di liggiero potria trovare la imperadrice con il suo drudo in letto. Arrivato che egli fu al luoco, se ne andò di lungo a la camera de l’imperadore, ove erano duo letti, in uno de’ quali soleva per l’ordinario l’imperadrice giacersi. E volendo il prence picchiar, trovò che l’uscio non era fermato, per trascuraggine o de la imperadrice o de la cameriera. Onde, intrato dentro e trovato che gli innamorati, stracchi per lo soverchio macinare, altamente dormivano, si approssimò al letto; e ardendo in camera uno torchietto, vide li dui innamorati l’uno in braccio a l’altro. Onde, pieno di male talento e intrato in còlera grandissima per la manifesta e vituperosa ingiuria che vedeva fare a l’imperadore suo zio, dal quale tanti beni e tanto di onore giornalmente ricevea, cacciata mano a la spada, di banda in banda passò tutti dui gli sfortunati adulteri, che subito, così abbracciati, se ne morirono. Prese poi le sante reliquie che al capo de l’altro letto erano, e a l’imperadore se ne ritornò. Diedeli le reliquie, e poi a quello puntalmente narrò quanto degli adulteri era successo. A così fiero e tanto vituperoso annonzio, l’imperadore quasi stordito ristò, chè per buono spazio di tempo non potè formar parola. Sparsesi la nova per la corte de la morte de li due adulteri, e da tutti era lodato il prencipe Beraldo. Indi vennero molti baroni, prencipi e cavalieri dimestici de l’imperadore, e con evidenti ragioni li dimostrarono che il peccato, che così disonesta donna avea commesso, meritava molto maggior gastigo e vie più acerba morte di quella che sofferta avea. Era allora l’imperadore in Cologna, tutto pieno di fastidio, così per l’onta che fatta gli avea la impudica moglie, come anco perchè il suo caro nipote era stato l’omicida, parendoli che egli la devea de l’adulterio accusare, acciò che per via de la giusticia fosse publicamente stata punita. Pure altro non si fece. Ora, venuta la nova al conte Rainero, padre de la morta imperadrice, esso conte si pensò di dolore morire, non si potendo persuadere che sua figliuola fosse di tale qualità che carnalemente si fosse sottomessa mai a altro uomo che a l’imperadore. E vinto da l’amore paterno, si imaginò che il prencipe Beraldo fosse stato mortale nemico di essa imperadrice, dubitando forse che ella non li procurasse la disgrazia de l’imperadore, e per questo non l’avesse ancisa, non potendo verificare l’adulterio. Simile pensiero il conte tenendo per buono e da se stesso giustificando la figliuola, accecato da la sua propria passione, fece venire a sè quattro figliuoli che avea, uomini prodi de la persona ed esercitati ne l’arme, e a quelli espressamente commandò che tutti quattro insieme devessero andare a la corte de l’imperadore e in publica udienza dimandargli giusticia de la morte de la loro sorella contra il prence Beraldo. Partirono li quattro fratelli, deliberati di ubedire il padre loro con sì gran core, come egli con estrema còlera imposto gli avea e commandato. Il primo di essi fratelli si nominava Terigi, il secondo Enrico, il terzo Corrado e l’ultimo Lodovico. Arrivati che furono questi quattro baroni a la corte, proposero la loro querela a l’imperadore, e menacciavano fieramente il prence Beraldo come assassino de l’imperatrice. L’imperadore grandemente si turbò, parendoli che la morte de la moglie mai non si poteva rammemorare senza vituperio e vergogna di lui. Onde, doppo molti propositi e parlamenti, l’imperadore li rispose che non <nowiki>ci era uomo al mondo che in cotale caso de la morte de la lor sorella avesse più interesse che egli, ma che bisognava aver pacienzia e non ne far più motto, perciò che quanto più la cosa si moveva tanto più putiva, non si potendo parlar di quella che di più in più non si discoprisse la disonesta e malvagia vita de la lor sorella. Ma per giustificazione del suo nipote il prence Beraldo, che bastava la impudica femina essere stata morta in uno letto ne le braccia del suo adultero; però che non accadeva andare più cercando altra prova. A questa risposta li quattro fratelli, pieni d’ira e di còlera, crollando il capo e non possendo o non sapendo moderare l’indignazione che gli affocava e commovea for di modo, iratamente risposero che poi che vedevano l’imperadore non li volere fare giustizia, che si metteriano ad ogni rischio per prendere la debita vendetta, non li parendo ragionevole che il prence Beraldo devesse avere sì buono mercato del loro sangue. Il conte Rainero, intendendo che l’imperadore non era per fare altro, persuadendosi la figliuola essere a torto ancisa, deliberò per via de la forza vendicarsi, e, congregato assai buono numero di cavalleria e fanteria, mandò li quattro suoi figliuoli a guastare il paese de la Sassonia. Questo intendendo, Beraldo supplicò l’imperadore che degnasse soccorrerlo. Il che Ottone con prestezza fece, esso Beraldo criando capitano generale de l’imperio, con uno espresso commandamento a tutti li soggietti e vassalli imperiali che a quello ubedissero come a la sua persona propria, e subito con denari e soldati lo inviò a la difesa de la patria. In quello mezzo avevano già li nemici col ferro, fuoco e sangue fatto gran danno, guastando quanto più potevano il paese. Passò con l’armata sua Beraldo a bandiere spiegate il Reno, disposto ovunque ritrovava li nemici combattergli. E caminando ebbe da una spia aviso come li nemici erano alloggiati molto disordinatamente cerca diece picciole miglia lontani da lui. Non credevano [li] nemici che così tosto il prence Beraldo devesse mettersi in punto, e meno sapevano che fosse loro tanto vicino; perciò alloggiavano a la sicura, con pochissimo ordine e senza tèma alcuna. Giunse adunque Beraldo a le spalle de li nemici e cominciò valorosamente combatterli, di modo che, non avendo tempo di armarsi e ridursi in ordinanza, furono per la più parte rotti e morti. Corrado e Lodovico, li dui menori fratelli, amando meglio morire con l’arme in mano che vilmente fuggire, doppo l’essersi in mille maniere affaticati di mettere i loro soldati insieme, restarono amendui occisi. Intendendo il conte Rainero li suoi essere disfatti e li dui suoi figliuoli morti di còlera e di soverchio dolore tutto </nowiki>pieno, arrabbiava di modo che pareva forsennato, nè sapeva che si fare. A la fine, in sè ritornato, ricominciò la guerra più crudele che mai contra sassoni, avendo grande aita dei suoi parenti e amici. Durò questa guerra con gran danno de l’una e l’altra parte assai tempo; onde, andando le cose di male in peggio, alcuni prencipi e baroni vi si interposero per mettere pace tra li guerreggianti. Ottone imperatore assai vi si affaticò, ma non li puotè mai mettere accordio, non volendo il conte Rainero e li suoi aderenti che il prencipe Beraldo si comprendesse ne lo trattato de la pace. A la fine, dopo molti trattati, la pace si fece, con questi capitoli tra loro: che a patto nessuno il prencipe Beraldo si intendesse essere messo nè compreso in la pace, anzi restasse per diece anni bandito di tutta Lamagna e in quello tempo non potesse portare le insegne o siano armi di Sassonia. E così rimasero, quelli che guerreggiato aveano, in tranquilla pace. L’imperadore, cui senza fine despiaceva il partire del prence Beraldo, ma per acquetar i tumulti germanici vedeva essere di bisogno che si partisse, doppo molti ragionamenti: – Io, – disse, – nipote mio carissimo, voglio che da ora innanzi la insegna tua sia uno scudo d’oro con una aquila negra dentro, che abbia il becco e le gambe rosse. Questa arma ti servirà d’insegna e ornamento in le imprese tue per te e la tua posterità. – Accettò con lieto core Beraldo il dono de l’imperadore, e da molti de li suoi vassalli ben accompagnato, doppo l’aver rese al zio le debite grazie, se ne partì, e con lui, al partir di Lamagna, molti soldati del paese, li quali di quello il gran valore ne la milizia sapevano, si congiunsero. Pervenne con li suoi comilitoni ne la Borgogna, che allora era reame, e vi regnava il re Bozzone, che molto volontieri e con allegro viso abbracciò il prencipe Beraldo, sperando col mezzo di quello ricuperare alcune sue castella che certi uomini di malvagia e pessima vita gli aveano rubato, e non lassavano passare viandanti e mercatanti che essi non dispogliassero e sovente anco ammazzassero. Narrata adunque la cosa a Beraldo, quello pregò che volesse essere seco a gastigare que’ assassini; il che Beraldo gli promise di fare. Ove in breve tempo così valorosamente si diportò, che furono quelli ribaldi messi a filo di spada e le castella ricuperate. Ma se io mi vorrò mettere a contare tutte le imprese che Beraldo fece, il mio ragionamento saria troppo lungo. Bastivi dire che Beraldo e li suoi successori acquistarono la Savoia, il contato di Morienna, il marchesato di Susa, Turino col Piemonte e altri luoghi, e furono prima chiamati conti di Savoia, dapoi da l’imperatore furono criati duchi di Savoia. Fecero molto belle imprese in Oriente in favore de li regi di Gierusalem contra infedeli, e cose altre assai, degne di eterna memoria, che sparse per le istorie si trovano.
Il Bandello al magnifico e valoroso capitano regio di cavalli liggieri
il signor Francesco Bernardino Vimercato salute
Il vero amore che a infiniti segni avete dimonstrato portare verso l’illustrissimo ed eccellentissimo signor Cesare Fregoso, cavaliero del sacro ordine regio e mio signore, e la benevolenza che per cortesia vostra meco usate, me vi rendeno ogni ora di più in più affezionato e desideroso che me si offerisca occasione di potere in qualche parte farvi cognoscere quanto vi ami. E non mi trovando cosa di voi degna e del vostro valore, per ora vi mando questa novella, che il capitano Mauro da Novate in Moncalieri in una buona compagnia narrò. Accettate dunque questo picciolo dono, per ora, da chi di core vi ama, e state sano.
NOVELLA XX
Piacevole beffa fatta in Ferrara dal Gonnella a’ frati menori
e il gastigo che volevano darli, e come si liberò da le loro mani.
Fu Nicolò da Este, marchese di Ferrara, molto affezionato a l’ordine osservante di santo Domenico e fu quello che fondò il