Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte IV/Novella XXI
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non dispogliassero e sovente anco ammazzassero. Narrata adunque la cosa a Beraldo, quello pregò che volesse essere seco a gastigare que’ assassini; il che Beraldo gli promise di fare. Ove in breve tempo così valorosamente si diportò, che furono quelli ribaldi messi a filo di spada e le castella ricuperate. Ma se io mi vorrò mettere a contare tutte le imprese che Beraldo fece, il mio ragionamento saria troppo lungo. Bastivi dire che Beraldo e li suoi successori acquistarono la Savoia, il contato di Morienna, il marchesato di Susa, Turino col Piemonte e altri luoghi, e furono prima chiamati conti di Savoia, dapoi da l’imperatore furono criati duchi di Savoia. Fecero molto belle imprese in Oriente in favore de li regi di Gierusalem contra infedeli, e cose altre assai, degne di eterna memoria, che sparse per le istorie si trovano.
Il Bandello al magnifico e valoroso capitano regio di cavalli liggieri
il signor Francesco Bernardino Vimercato salute
Il vero amore che a infiniti segni avete dimonstrato portare verso l’illustrissimo ed eccellentissimo signor Cesare Fregoso, cavaliero del sacro ordine regio e mio signore, e la benevolenza che per cortesia vostra meco usate, me vi rendeno ogni ora di più in più affezionato e desideroso che me si offerisca occasione di potere in qualche parte farvi cognoscere quanto vi ami. E non mi trovando cosa di voi degna e del vostro valore, per ora vi mando questa novella, che il capitano Mauro da Novate in Moncalieri in una buona compagnia narrò. Accettate dunque questo picciolo dono, per ora, da chi di core vi ama, e state sano.
NOVELLA XX
Piacevole beffa fatta in Ferrara dal Gonnella a’ frati menori
e il gastigo che volevano darli, e come si liberò da le loro mani.
Fu Nicolò da Este, marchese di Ferrara, molto affezionato a l’ordine osservante di santo Domenico e fu quello che fondò il convento di Santa Maria degli Angeli di esso ordine e provide loro onestamente del vivere e volle in la chiesa loro essere sepolto. Ebbe il marchese Nicolò in le seconde nozze per moglie una figliuola del signor Carlo Malatesta di Cesena, che sovra modo amava li frati menori, e ogni dì ella al marito si sforzava persuadere che il bene che faceva a li domenichini facesse a’ frati menori; ma il marchese non le volea intendere. Il Gonnella teneva col marchese. Ed essendo la festa del Corpo di Cristo assai vicina, disse a la marchesana: – Signora, il dì del Corpus Domini voi conoscerete quai siano più esemplari, o li menori o li domenichini. – Venuto il sacrato giorno del Corpus Domini, il Gonnella, avendo preparata una ampolla di succhio di cipolle da Forlì con certa mistura di polvere corrosiva, se ne andò a la prima messa a San Francesco; e fingendo che se li fosse mosso il corpo, si fece condurre al luoco de la contessa di Civillari, ove i frati a suono di nachere rendeno ogni ora il loro tributo. Aveva seco il Gonnella tre servitori; il quale, come fu dentro il luoco, commandò a’ servitori che non lasciassero intrare frate nessuno, con dire che colà entro uno gentiluomo purgava il corpo. E così egli bagnò con la sua acqua tutti li sedili e incorporò nel legno, ma non tanto forte che il sedile non restasse molto umido. Partito che egli fu, li frati, secondo che si levavano, come è il solito, andavano a scaricare il corpo; di modo che l’umore del succhio in parte penetrare cominciò le carni di chi sedeva. Venuta poi l’ora de la processione, li frati con sacri paramenti, con reliquie, tabernacoli e calici in mano apparati, andarono a la chiesa catedrale per accompagnare il Corpus Domini. Io porto ferma openione che siano poche città in Italia ove si faccia più bella processione che a Ferrara. Si apparecchiano varii e ricchi altari e si rappresentano istorie del Testamento vecchio e novo e vite di santi. Era cerca la fine del maggio e il caldo era assai grande. Ora li frati menori sentivano gran caldo e uno prurito forte, mordente per le carni, e sudavano assai, e per lo sudore aprendosi i pori de la carne, il succhio cipollino penetrò sì a dentro, che i poveri frati sentivano uno mordacissimo prurito, massimamente su le natiche; di modo che, essendo arrivati in quella banda ove per iscontro erano il signore marchese e la signora marchesana, quasi arrabbiavano. Onde, astretti da l’estremo prurito, tutti che apparati erano, deponendo in terra tabernacoli, calici e altre cose sacre, senza riverenza o rispetto di persona, cominciarono ad ambe mani a grattarsi le parti deretane, facendo li più strani e contrafatti visi che vedere si potessero. Altri, fregandole al muro, facevano uno fora di modo ridicolo e poco onesto spettacolo, dando infinita di sè meraviglia a chi li vedeva. Il volgo colà concorso crepava de le risa. E certamente averebbero provocato con quei loro atti a ridere Saturno, che mai non ride. Molti anco di quelli che altrimenti non erano vestiti di paramenti sacri, e avevano sentito quello malvagio e mordacissimo succhio, facevano il medesimo. Ma secondo che tutto il mondo rideva, la signora marchesana era quella che si disperava e smaniava, piena di fiero sdegno e di una grandissima ira. E tanto più arrabbiava, quanto che il Gonnella, che appresso le era, le diceva: – Signora mia, mirate colà: che vi pare di que’ visi che fanno li vostri devoti? vedete come quello vecchione si contorce, che pare proprio Laocoonte quando da li serpenti fu preso e con li figliuoli miseramente morso. Questi sono li frati vostri sì esemplari. So che ora non tengono il collo torto, anzi mi pare che vogliano fare la moresca. – Così dava il giambo con acutissime e mordaci parole il Gonnella a la afflitta marchesana. A la fine, essendo necessario che seguitassero la processione, furono astretti ripigliare in mano tutte le loro cose sacre; il che fecero con grandissima difficultà. E tuttavia, caminando, facevano mille atti strani, sì fieramente dal succhio erano pezzicati. Vennero poi li frati di san Domenico, li quali, compostamente e con le loro reliquie in mano passando, la processione seguirono senza far atto nessuno che uomo avesse potuto riprendere. Finita la processione, si parlò variamente di questa cosa, e molti allegavano diverse ragioni. Chi attribuiva quelli sì impetuosi movimenti e atti strani a rogna, chi a pidocchi e chi al troppo bere e mangiare, e chi a altre cagioni; ma nessuno ci fu che al vero si apponesse già mai. E chi averebbe saputo indovinarla se non chi causata l’avea? Onde dopo non molto il Gonnella divolgò la cosa. Ora tra il marchese e sua moglie ci fu una lunga contesa. Ella a modo veruno non se ne poteva dare pace, e tuttavia il marchese Nicolò e il Gonnella le davano la baia; di modo che la buona signora non avea più ardire di volere comparare li poveri frati menori a li domenichini. Nondimeno ella sempre perseverò ne la divozione loro.
{{Centrato|Il Bandello al molto illustre e valoroso signore}}
il signor Galasso Landriano conte di Pandino salute
Si ritrovano pure alcuni uomini di così ottuso e pochissimo intelletto, che di tale maniera si sono lasciati mettere il morso a le moglieri, che si lasciano persuadere le manifeste e apertissime menzogne, e a le loro volpine parole credeno nè più nè meno come crederebbero al vangelo di san Giovanni. E talvolta, se ci fossero diece testimoni degnissimi de fede che di veduta dicessero una cosa, e la moglie dica il contrario, ser barbagianni più tosto crederà la bugia a la sua moglie che non farà a diece uomini veridici e da bene. Indi aviene che queste tali moglieri fanno poi tutto il dì de le cose, che hanno poco anzi pur nulla de l’onesto, e sono per tutto mostrate a dito come vituperatrici de le famiglie e parentati nobili, e spesso fanno a’ loro figliuoli bastardi ereditare la roba del marito, ne la quale non hanno nè parte nè ragione, privando i veri eredi, cui per lo dritto quelle facultati deveriano toccare. Si ragionava di tale materia in Milano in casa de la molto magnifica e molto gentile signora la signora Giulia Sanseverina e Maina vostra onoranda cognata, e varie cose si dicevano di costoro che tanto credeno a le moglieri, quando Clodo Verz da Condomo, uomo d’arme de la compagnia di monsignore di Lautrec, governatore e vicerè in Italia del cristianissimo re Francesco, a questo proposito narrò una breve istoria. La quale, essendo con voi al vostro dilettevole castello di Pandino, e tornando a la vostra villa di Spino, vi narrai, e mi pregaste che ve ne volessi far copia. Onde sovenutomi che io vi promisi, come era in Milano, di farvela avere, ora ve la mando al vostro nome dedicata, sì per pagarvi il debito e altresì perchè resti, appo quelli che dopo noi verranno, per testimonio de l’amicizia nostra. Ora non potrete voi più dire che io non mi ricordi di voi già mai se non quando vi veggio. Siate contento darla a leggere a la molto valorosa signora vostra consorte, la signora Lodovica Sanseverina. E a la buona grazia de l’uno e de l’altra bacio reverentemente le mani. State sani.