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in Purgatorio. Io ciò che narrato vi ho, trovai già brevemente annotato in un libro di mio bisavolo, ove erano molte altre cose descritte degli accidenti che in quelle contrade accadevano.
Sentito ho molte fiate disputare qual di queste due passioni più tosto uccida un uomo, o la gioia od il dolore, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni per approvar quanto dicevono, con dire che gli spiriti vitali in una smisurata allegrezza essalano e in un gran dolore si ristringono e si affogano. E ben che tutto il dì questa materia sia messa in campo, a me pare che ancora la lite sia sotto il giudice e che resti indecisa; chè, se bene disse il nostro gentil messer Pietro Barignano in un suo madrigale,
non è perciò che se talora l’allegrezza ha levato ad uno la vita, che anco non si truovi chi di dolor sia morto. Il che si potrebbe per essempi pur assai provare. Ma per ora, che il dolore rompa lo stame de la vita umana, mi contenterò con un sol caso avvenuto, non è molto, a una signora de l’istesso vostro nome e sangue, dimostrare. E perchè non solamente in quello si vede esser certo che la doglia ammazza l’uomo, ma anco vi si comprende l’amore immenso che la moglie al marito portava, come l’ebbi udito lo scrissi. Io era questo carnevale passato ne la vostra patria d’Asti, ove stetti alcuni dì in casa del signor conte Giovan Bartolomeo Tizzone vostro cugino e per Massimigliano Cesare di quella città governatore. Quivi de la proposta lite contrastandosi, il signor Giovanni Rotario narrò il caso di cui parlo. Onde, come ho detto, avendolo scritto, non ho voluto che senza il vertuoso vostro nome si veggia; perciò che parlando de la signora Camilla Scarampa, mi è parso convenevole che a la