Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo X

Capitolo X

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Capitolo Decimo.

Dello stato attuale dell’arte ceramica in Castelli,

e del modo di perfezionarla.



Sono in attività al presente in Castelli 35 officine, le quali, quantunque abbiano più piccole proporzioni di quelle di una volta; pure tengono impiegati 408 operai, e 126 animali da soma; e producono annualmente 11000 ceste di maioliche e più. Esse soddisfano alle richieste della maggior parte del regno di Napoli, s’introducono in contrabbando nella Marca Anconitana, e si spacciano in Ancona e Sinigaglia, donde poi si trasporatano nella Dalmazia, nella Grecia, nella Turchia ed altrove.

Le terre che si adoperano trovansi sparse abbondantemente in tutto in tenimento del Comune. Vero è che non tutte sono egualmente acconce a siffatta manifattura, ma quelli addetti alle cave son resi così pratichi dalla lunga esperienza, che sanno di leggieri sceverare la buona terra dalla cattiva. Ve n’ha di due specie: l’una per la maiolica a smalto bianco, e l’altra per quella a smalto bruno. La prima è un’argilla molto plastica, di colore grigio volgente al turchiniccio, dolce al tatto, aderente [p. 104 modifica]alla lingua: osservata col microscopio presenta tracce di foraminiferi. Essa fa lega con le sostanze grasse; all’azione del fuoco addiviene di color di carne, ed è molto dura e tenace; talchè resistendo assai agli urti, sonosi queste maioliche avute sempre in gran pregio per questa proprietà. Sottoposta all’analisi chimica, ho trovato che si compone di

Silice . . . . . . . 47 parti
Allumina . . . . . . 18
Carbonato di calce . . . . 21
Ossido di ferro . . . . . 3
Acqua . . . . . . . 11


100

L’altra terra è una marna argillosa di colore gialliccio, assai tenera: all’azione del fuoco diventa di color rosso, e ad una temperatura elevata si mollifica più prestamente dell’altra da maiolica a smalto bianco: ma più di questa può sostenere i rapidi cambiamenti di temperatura senza rompersi. Secondo l’analisi da me fatta, contiene

Silice . . . . . . . 53 parti
Allumina . . . . . . 9
Carbonato di calce . . . . 24
Ossido di ferro . . . . . 5
Acqua . . . . . . . 9


100

Ben seccate le terre, e fatte in piccoli pezzi, si gettano in una vasca, dove coll’azione dell’acqua le [p. 105 modifica]molecole meccanicamente dividendosi, le terre si lavano e si spogliano delle sostanze impure. Si passano quindi per uno staccio di crini in una seconda vasca, in cui rimangono da 15 a 30 giorni. Dopo di che, tolta l’acqua, si trae fuori la terra precipitata; la quale si ridue in consistenza pastosa per assorbimento, mediante mattoni asciutti, che per i pori assorbono prontamente quella quantità di acqua superfluea. Divenuta consistente, ha bisogno di essere impastata e battuta, perchè acquisti la necessaria omogeneità di massa. Questa operazione, che in Castelli chiamasi calcagnare, si esegue calcando co’ piedi fortemente l’argilla. Preparata a questo modo, i lavori si eseguono con le forme, o con le sole mani al torno.

Le forme si fanno con grande abilità dagli stessi artisti, servendosi del gesso, che nel loro Comune si rinviene. Il torno che si adopera è di una sola specie, ed è quello di semplice costruzione adoperato dagli antichi figuli. In lavorare con esso sono i Castellani così abili e destri da farne maraviglia, come si esprime il Bonghi. Fanno di questa macchina moltissimo uso, servendosene eziandio allorchè con le forme lavorano piatti, zuppiere ecc. Vi eseguono poi oggetti svariatissimi con l’aiuto delle sole mani; finanche le pipe son fatte al torno con mirabile destrezza.

I pezzi si fanno asciugare all’ombra per evitare al possibile le screpolature, che potrebbe cagionare il ritiro: il quale è più sensibile nella terra da maiolica a smalto bruno. Induriti, si puliscono al torno con ferri [p. 106 modifica]adatti: la quale operazione addimandasi da’ nostri artefici ritornare. Ben secchi si pongono per la cottura al forno, che ha la figura di un parallelogrammo, ed ha varia dimensione secondo la grandezza dell’officina. Il più grande è alto palmi 12½, largo 9, e lungo altrettanto: il più piccolo è alto 6½, largo 4½, e lungo altrettanto. La camera pel fuoco ha la stessa dimensione del forno, ed ha una sola apertura o bocca, per la quale s’introduce il combustibile. Son così abili i Castellani ed ingegnosi nell’infornare, che sono in ciò secondi a pochissimi. Al sommo della fornace usano porre i lavori che debbono cuocersi la prima volta: nella parte inferiore situano le maioliche smaltate, rinchiuse in tubi di creta che chiamano case. Questi si fanno con una terra simile a quella da maiolica a smalto bianco, ma non tanto pura.

La composizione degli smalti conoscesi nelle nostre fabbriche a perfezione; talchè ogni artista sa dar ragione de’ principii che li compongono, e dell’effetto che ciascuno produce. Lo smalto bianco si compone di piombo e stagno, che uniti insieme si riducono allo stato di ossidi in apposito fornello a riverbero, di salmarino, e di quarzo ialino granuiliforme, che rinviensi alle falde della montagna di Castelli. Per lo più si aggiunge una piccolissima quantità di saffera per dargli un leggiero color d’aria. La composizione è diversa secondo le varie qualità della maiolica: mi piace qui notare tre composizione le più usitate.

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1. Qualità.

2. Qualità.

3. Qualità.


Stagno . . 12 parti Stagno . . 12 parti Stagno . . 8 parti
Piombo . . 48 Piombo . . 60 Piombo . . 40
Quarzo . . 84 Quarzo . . 144 Quarzo . . 120
Salmarino . 3 Salmarino . 4 Salmarino . 1
Minio . . . 2 Saffera . . 3 Saffera . . 2



149
223
171

Si fanno qualche volta anche gli smalti colorati, cioè celeste, verde e giallo. Le varie sostanze che compongono lo smalto si espongono al forno, dove la temperatura è più alta, e donde escono a guisa di una sostanza dura: la quale ridotta in pezzetti, si fa triturare in appositi molini. Queste macchinette, aventi forma cilindrica, il letto e la mole di silice, son poste in movimento dal torrente Leomogna, lungo il quale ne esistono 20.

Lo smalto bruno si compone di

Litargirio . . . . . . . 30 parti
Quarzo . . . . . . . . 10
Manganese . . . . . . . 10
Rame . . . . . . . . 1


51

I colori che attualmente si adoperano per dipingere a fuoco di 24 ore ed a gran fuoco, son il nero tratto dagli ossidi di ferro e di manganese; il violetto dal manganese; il turchino dall’ossido di cobalto; il giallo [p. 108 modifica]paglino dall’ossido di antimonio; il giallo arancio dal ferro; il verde vien preparato con l’ossido di rame, o con la unione degli ossidi di antimonio e di cobalto, ed anche con l’ossido di cromo. Da poco tempo si fa uso di un bel color rosa a gran fuoco, di cui ignoriamo la composizione. I detti colori si triturano in piccoli molini, de’ quali sette sono al presente in attività.

Sono pratichi altresì i nostri artefici della maniera di dar l’oro alla maiolica, e dalla preparazione degli svariati colori a fuoco di muffola od a riverbero. Si distingue specialmente il bellissimo color porpora da essi preparato. I pennelli si fanno di peli di asino e di capra, e i più piccoli e delicati di peli di fatto. La muffola è molto semplice, e viene costruita dagli stessi Castellani: essa somiglia assaissimo a quelle di Sèvre e di Parigi.

Per combustibile adoperasi il faggio, che producendo una fiammina assai chiara, riesce di sommo vantaggio per la buona cottura delle maioliche. Istuiti dalla lunga esperienza sono i Castellani abilissimi nel cuocere: la durata del fuoco varia secondo la grandezza del forno; ne’ più grandi dura ore 40, ne’ più piccoli ore 15.

Avviene non raramente che appiccandosi il fuoco alle legna che stanno sopra il forno, rapidamente si diffonde, e vedi in breve tutta la bottega simile ad un vulcano. Allora, suonata la campana a martello, sia di giorno sia di notte, tutto e uomini e donne acorrono frettolosamente a spegnere l’incendio, e con tanta premura, come fosse una pubblica sventura. È questa una [p. 109 modifica]scena affettuosissima. Si son visti in tale circostanza i nemici i più fieri dimenticar tutto, e gettarsi tra le fiamme per campare quanta roba più possono ai loro offensori. Spento l’incendio, tornano alle loro case compiaciuti del bene che hanno fatto, senza pretendere compenso nè per le fatiche sostenute, nè pe’ danni sofferti.

Dopo aver toccato delle varie operazioni in uso nelle fabbriche castellane, passiamo a parlare de’ miglioramenti che vi si possono introdurre. In prima è da considerare che la terra troppo poco tempo si fa stare in macerazione nella vasca: vi dovrebbe rimanere almeno per sei mesi, come si pratica in Alemagna. Certo è che le terre si lavorano meglio in ragione del tempo che stanno nella vasca: si racconta che nella Cina talune fabbriche hanno terre in macerazione da un secolo. Oltre a ciò sarebbe di non poco giovamento il mischiare alla terra ora in uso qualche terra che dietro accurata analisi si troverebbe acconcia all’oggetto.

Per impastare la terra potrebbesi far uso di macchine, invece di calcarla co’ piedi, come al presente si pratica. Questa penosa operazione, costumata da tempi antichissimi, come ne fa fede la Sacra Scrittura1, oggi che la meccanica ha tanto progredito, dovrebb’essere al tutto proscritta. Una macchina per quest’uso è descritta dal Weber, e potrebbe agevolmente introdursi presso di noi, essendo molto semplice2.

[p. 110 modifica]Quanto alle forme, invece di quelle di gesso, sarebbe utilissimo nello stampare i piatti adoperar quelle di ferro, e servirsi del torchio. Potrebbe in preferenza adottarsi quello del signor Delpech, che ottenne non ha molto in Parigi la privativa di anni cinque. Con questo metodo i piatti uscendo dalla forma alquanto asciutti, e di eguale spessezza, non andrebbero soggetti a screpolarsi, ed a scontorcersi nel ritiro: nè vi sarebbe bisogno di lavarli e ritoccarli, perchè escono perfetti. Il torno che attualmente si usa dovrebb’esser fatto con più esattezza, e ben equilibrato sul proprio asse. Questa disavvedutezza è cagione di molti difetti ne’ lavori che si fanno al torno. Potrebbesi inoltre introdurre con gran vantaggio l’altro torno detto torno inglese, il quale è all’altro preferibile per la prestezza e perfezione con cui si eseguono i lavori.

Le case che attualmente si adoperano non possono servire che poche volte, perchè sono troppo fragili. Sarebbe necessario che alla terra si unisse una certa quantità di cemento, che tenendo alquanto distnati tra loro le molecole dell’argilla, facesse penetrare e passare più agevolmente il calorico.

Quanto alla pittura delle maioliche potrebbesi trar profitto dalle stampe, che si potrebbero trasportare di leggieri sullo smalto già cotto. Forse sarebbe a ciò molto acconcio il metodo del signor del Re, che non ha guari ottenne la privativa nel nostro regno.

Il forno delle fabbriche castellane ha molti inconvenienti, e dovrebbe necessariamente modificarsi. Infatti [p. 111 modifica]nel forno quadrato gli angoli assorbono molto calorico a danno della parte centrale, e ciò nonostante le maioliche che negli angoli si pongono non giungono mai alla perfetta cottura. Oltre a ciò, avendo una sola bocca per la quale si getta il combustibile, la fiamma ed il calorico non percorrono egualmente tutte le parti del forno. È quindi indispensabile adottare, come si è fatto in quasi tutti i luoghi, il forno di figura rotonda, fornito almeno di tre aperture o bocche. Nel forno così costruito, oltre che evvi grande risparmio di combustibile, l’aria che entra per le diverse bocche animando egualmente la combustione, la fiamma gira circolarmente pel forno e dà luogo a una cottura eguale. Per la faenza bruna potrebbesi adottare il forno di figura ovale, con due bocche, molto raccomandato dal Bastenaire3. Potrebbero altresì le nostre fabbriche avvantaggiarsi del forno ideato dal barone d’Huart, che ottenne in Parigi la privativa nel 1839. Questo forno, descritto dal signor Boyer, è preferibile per la brevità ed eguaglianza di cottura delle maioliche, e per la poca quantità del combustibile che vi necessita4.

Nulla ci ha da aggiungere intorno ai metodi che si usano nell’infornare, cuocere, e sfornare. Non vuolsi però qui tacere che l’arte ceramica correrebbe in [p. 112 modifica]Castelli assai meglio, se vi fosse più esatta divisione di lavoro tra gli artefici. Vero è che certi lavori si fanno da speciali operai, ma ciò dovrebbe adottarsi in tutti; dappoichè allora l’artefice arriverebbe ad acquistare l’abitudine di far lavori perfetti, e con prestezza. Sarebbe pur desiderabile che ciascuna fabbrica attendesse solamente a speciali produzioni; così si potrebbero avere maioliche buone, ed a minor prezzo.

Possano queste mie povere parole eccitare i miei concittadini al miglioramento della loro industria. Ma temo forte che poco o niun frutto possano produrre, perchè un ostacolo potente vi si oppone, ed è la pochezza dei capitali che vi sono impiegati. Potrebbero però i nostri fabbricanti rimediare a sì grave inconveniente, se tutti fossero concordi a riunire le loro piccole fortune, e formare delle tante officine un grande opifizio. Mio padre, caldo amatore del bene della sua patria, fin dal 1835 si fece a proporre una società industriale composta di tutti i nostri fabbricanti, avente per iscopo precipuo il perfezionamento della loro manifattura. Questo progetto essendo stato assai ben accolto, gli mise in cuore tanta speranza di vederlo messo ad effetto, che compilò fin lo statuto della società. Ma siccome presso di noi non ancora ben si conosce il vantaggio grandissimo che le industrie traggono dalle associazioni, la cosa non procedette innanzi.

Il Real Governo, che ha avuto sempre a cuore l’industria castellana, potrebbe moltissimo giovarle col fondare in Castelli un grande e ben regolato opifizio [p. 113 modifica]ceramico, in cui lavorar si potrebbe non pure la maiolica, ma anche la porcellana. Insegnandosi in esso i principii di fisica, di chimica e di disegno, le migliori fabbriche potrebbero moltissimo avvantaggiarsene; mentre le più piccole, che languiscono, andrebbero a scomparire, perchè gli operai troverebbero in questo Reale stabilimento pane e lavoro. — Che questa utilissima arte sia stata tenuta sempre in pregio da’ Principi, ce ne porgono un chiaro esempio i libri santi, ne’ quali si legge che presso gl’Israeliti, nella genealogia della Tribù di Giuda, una famiglia di figuli lavorava pel Re, e dimorava ne’ suoi giardini5. L’inclita Famiglia Borbonica non si è mostrata seconda a niun’altra in proteggere l’industria ceramica; ne fanno luminosissima pruova la Real Fabbrica di porcellana, che fu chiara e nominata in tempi da noi non molto lontani; e i tanti favori largiti alle fabbriche castellane. Sicchè è da sperare che un Reale opifizio-modello, da servire di scuola teorico-pratica ai nostri artefici, possa sorgere nella nostra Castelli. È questo, a mio credere, il miglior modo di tornar in luce le antichissime e famose fabbriche castellane.

Note

  1. Isaia Cap. XII, v. 25.
  2. V. L’arte della vera porcellana, sez. 2. art. 1.
  3. V. L'art de fabriquer la faïence, pag. 85. Paris 1828.
  4. V. Manuel complet du porcelainier, du faïencier ecc. tom. 2. pag. 204. — Paris 1846.
  5. Il Primo de’ Paralipomeni, Cap. IV.