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lecole meccanicamente dividendosi, le terre si lavano e si spogliano delle sostanze impure. Si passano quindi per uno staccio di crini in una seconda vasca, in cui rimangono da 15 a 30 giorni. Dopo di che, tolta l’acqua, si trae fuori la terra precipitata; la quale si ridue in consistenza pastosa per assorbimento, mediante mattoni asciutti, che per i pori assorbono prontamente quella quantità di acqua superfluea. Divenuta consistente, ha bisogno di essere impastata e battuta, perchè acquisti la necessaria omogeneità di massa. Questa operazione, che in Castelli chiamasi calcagnare, si esegue calcando co’ piedi fortemente l’argilla. Preparata a questo modo, i lavori si eseguono con le forme, o con le sole mani al torno.

Le forme si fanno con grande abilità dagli stessi artisti, servendosi del gesso, che nel loro Comune si rinviene. Il torno che si adopera è di una sola specie, ed è quello di semplice costruzione adoperato dagli antichi figuli. In lavorare con esso sono i Castellani così abili e destri da farne maraviglia, come si esprime il Bonghi. Fanno di questa macchina moltissimo uso, servendosene eziandio allorchè con le forme lavorano piatti, zuppiere ecc. Vi eseguono poi oggetti svariatissimi con l’aiuto delle sole mani; finanche le pipe son fatte al torno con mirabile destrezza.

I pezzi si fanno asciugare all’ombra per evitare al possibile le screpolature, che potrebbe cagionare il ritiro: il quale è più sensibile nella terra da maiolica a smalto bruno. Induriti, si puliscono al torno con ferri

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