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Gli occhi che si volsero a lei parvero, certo, stupefatti; e in quelli di Lady Randolph brillò non solo la sorpresa ma la più schietta disapprovazione.

Senonchè Myosotis scordò quasi subito sè stessa e l’impressione che poteva fare ai convitati di Lady Randolph, quando il suo sguardo attonito cadde su Leslie.

La bimba — invero ella pareva appena sulla soglia dell’adolescenza — sedeva in un grande scanno, rosea e ridente, con un calice pieno di un liquore dorato nella piccola mano. Intorno a lei, seduti o appoggiati all’alto schienale della sua sedia, stavano quattro o cinque uomini; uno, alla sua destra, Myosotis lo riconobbe subito: era il «Principe di Galles» — era Totò.

Teneva anche lui un calice nella mano, e si [p. 164 modifica] chinava ridendo verso la fanciulletta, narrandole qualche cosa.

Quando entrò Myosotis vi fu un attimo di silenzio; poi tutti i presenti ripresero a conversare, e nell’angolo intorno a Leslie ricominciarono i frizzi e le risate.

Non vi fu presentazione di sorta. Myosotis rimase, un pò impacciata, accanto alla porta finchè Leslie la chiamò.

— Vieni qui, vieni qui, Mymì!

Così la chiamavano talvolta a casa, e Myosotis nuovamente si stupì della disinvoltura della sorellina fra tanta gente sconosciuta. Traversando la sala per andare accanto a lei, passò davanti a Lady Randolph, semisdraiata su un divano d’angolo, e la guardò, trepida, quasi implorandone il perdono.

Ma Milady non fece atto di vederla. Parlava con un uomo bruno e grasso; parlavano francese, e Myosotis, pur indovinando che si trattava di lei, non comprese ciò che dicevano.

— Assaggia, Myosotis, questa bevanda americana. Si chiama «Manhattan cocktail,» ed è un filtro che fa vedere il mondo tutto color di rosa con un occhio, e tutto color di cielo coll’altro!... Difatti, — e Leslie chiuse con aria [p. 165 modifica] birichina un occhio, fissando coll’altro l’abito bleu scuro e il volto rannuvolato della sorella, — guardandoti così.... io ti vedo tutta color del cielo.... quando vuol far temporale!

Tutti risero, come se Leslie avesse detto qualche cosa di assai spiritoso, ma Myosotis non riuscì neppure a sorridere. Si sentiva la gola arida, le labbra secche; si diceva che a questi estranei, avvezzi alle donne brillanti della migliore società, Leslie doveva parere una bambina stolta e sfrontata, e lei stessa, nel suo brutto abito da viaggio, una «zucca villereccia,» goffa e intontita. Il suo pensiero corse alle raccomandazioni di Miss Jones.... a casa sua.... al babbo, solitario davanti al fuoco nella grande stanza vuota.... alla vecchia Jessie che diceva le sue preghiere ad alta voce in cucina.... E a tali ricordi le salirono cocenti le lagrime agli occhi.

Dal fondo della sala le mosse incontro Lord Gerard Neversol, ed ella provò un senso di sollievo vedendo quel viso conosciuto. Non che egli le fosse soverchiamente simpatico; tutt’altro; ma almeno non era nè un perfetto estraneo come gli altri, nè odioso come Totò, nè ostile come ormai sentiva essere Lady Randolph. [p. 166 modifica]

Neversol le disse qualche frase insignificante ch’ella quasi non udì ma che le diede il tempo di calmarsi, e subito risuonò l’appello insistente e sonoro del gong. Allora tutti si alzarono e discesero alla sala da pranzo.

Era una vasta sala severa e sontuosa. La tavola scintillava di cristalli e di vasellame dorato. Nel centro un ammasso di gardenie diffondeva nella stanza un profumo che stordiva.

Anche a tavola Myosotis si trovò accanto a Neversol; all’altro suo lato sedette l’uomo bruno e grasso che aveva parlato francese con Lady Randolph. Egli, appoggiato indietro nella sua seggiola, la guardò molto fissamente e a lungo. Ella rispose timida allo sguardo di lui, aspettando che le rivolgesse la parola; ma quegli, dopo qualche istante, volse via il capo e si dedicò risolutamente al suo pranzo. Nè durante tutto il pasto le parlò.

Leslie era in fondo alla tavola fra Totò e il «diplomatico» — un personaggio magro, sulla cinquantina, tutto grigio: i baffi grigi, gli occhi grigi, la pelle grigia; pareva impastato di cenere e d’acqua sporca. — La piccola ciarlava e rideva colla massima disinvoltura. Beveva anche, a piccoli sorsi, con delle smorfiette puerili e [p. 167 modifica] graziose, dello champagne, insistendo però che Totò vi mescesse molt’acqua.

Il quinto convitato, un uomo dai capelli rossi di una bruttezza ripugnante, parlava con Lady Randolph, bella e arridente a capo tavola. Talvolta dicevano delle cose che certamente dovevano essere molto spiritose, perchè tutti davano in grandi risate; ma a Myosotis sfuggiva il senso dello scherzo.

— Stasera verrà Dafne Howard, — disse Milady sorseggiando una miscela di gin e curaçao, poichè lo champagne non le piaceva.

— Dafne Howard! — esclamò l’uomo rosso. — E dove l’avete pescato?

— All’Alhambra, — disse Milady. — Totò ed io siamo andati a vedere «Messalinette» e l’abbiamo riconosciuto subito. Vero, Totò?

Totò non rispose.

— Che parte faceva? — chiese Neversol.

— Ma è questo il bello, — rise Milady — che, appunto, Messalinette era lui!... Figuratevi che sul programma si fa chiamare «Mademoiselle Lisa Douceur!»

Gli uomini risero.

— Bel tipo, Dafne Howard! — disse il [p. 168 modifica] diplomatico. — Ha poi lasciato la sua ballerina russa?

Totò alzò il capo.

— Da un pezzo, — disse, secco secco.

— Stasera, ad ogni modo, viene qui col colonello Weisz, — osservò Lady Randolph, sogguardando con un sorriso Totò.

Questi si strinse nelle spalle.

— Se credete che me ne importi!... Mi usciva da tutti i pori, quel mostro, — disse.

Nel silenzio che seguì si udì la soave vocina di Leslie.

— Verrà qui un mostro stasera? — chiese essa con curiosità al suo grigio e macilento vicino.

Quello rise. — Ma no, anzi; è una persona assai decorativa, Dafne.

— Dafne?... — disse la fanciulla; — è un signore o una signora?

— È un lusus naturae, — esclamò l’uomo dai capelli rossi, sporgendosi avanti a guardare Leslie, — prezioso per chi ama le anormalità.

Di nuovo tutti risero. Ma Leslie e Myosotis si scambiarono un’occhiata perplessa. Evidentemente Miss Jones non aveva insegnato loro tutto ciò che era utile sapere in società. [p. 169 modifica]

N’appuyons pas, — intervenne Lady Randolph, crollando le belle spalle nude. — Tanto, qui non abbiamo che dei piccoli volatili del Campidoglio.... o di Strasburgo, che sia.

— Io adoro il pâté de foie-gras; — disse Neversol; e di nuovo tutti risero.

E siccome la guardavano, rise anche Myosotis per darsi un contegno. Tuttavia le parve che la conversazione fosse assai incoerente.

Il pranzo si protrasse a lungo.

Leslie, colle guancie accese, rideva sempre di più a tutto ciò che le raccontavano Totò e il diplomatico; aveva un’aria strana, esaltata.... Myosotis la guardava attonita, e non badava nè a Neversol che le diceva molte cose incomprensibili, nè all’uomo grasso che le stava dall’altro lato.

Questi nè parlava nè la guardava, e Myosotis si disse che certo doveva trovarla noiosa e antipatica; e se ne rammaricava, perchè trovava ch’egli aveva una buona faccia di papà indulgente.

Strano a dirsi, per errore, egli continuava a mettere il suo piede su quello di lei.

Ella, confusa, temendo di offenderlo, [p. 170 modifica] diceva: «pardon!» e ritirava con cura il piede da sotto al suo.

Quando questo accadde per la quarta volta, egli si volse e la tornò a fissare come l’aveva fissata al principio del pranzo. Myosotis si sentì diventar molto rossa sotto quello sguardo — già, l’aveva sempre avuto quel vizio di arrossire per nulla! — e come lui continuava a guardarla, ella continuò ad arrossire finchè ebbe gli occhi soffusi di lagrime.

In quel punto tutti gli altri discutevano forte coll’uomo rosso e nessuno badava a ciò che l’uomo grasso poteva trovare da dire a quella ragazza noiosa e mal vestita. Egli si appoggiò indietro nella sua sedia, mise le mani in tasca e disse:

— Si può sapere perchè siete qui?

Myosotis, alzando a lui il dolce sguardo azzurrino, rispose:

— Lady Randolph ha avuto la bontà di invitarci....

Egli aggrottò le ciglia. — E voi, perchè avete accettato l’invito?

Myosotis sorpresa da quella domanda non seppe che cosa rispondere.

— Si può sapere, — riprese lui, e la sua [p. 171 modifica] voce era rude e severa, — perchè avete portato qui quella bambina?

Myosotis lo guardò sempre più stupita.

— Ma.... non so.... — balbettò confusa. Le pareva che quell’uomo grasso, dall’aria buona e paterna, avesse assunto d’un tratto l’atteggiamento di un inquisitore; sotto le ciglia aggrottate egli la saettava con sguardo sdegnato. E siccome sembrava aspettare ch’ella parlasse ancora, la fanciulla soggiunse: — Siamo venute qui per fare delle conoscenze.... per incontrare....

— Per incontrare chi? — La voce era così aspra, l’espressione del viso così feroce, che Myosotis tremò.

— Per incontrare.... la dama d’onore della regina d’Olanda, — disse quasi senza voce la fanciulla.

— Cosa?... Cosa?... La dama d’onore.... cosa? — Il volto dell’uomo grasso si era fatto paonazzo.

— Della regina d’Olanda — ripetè Myosotis, — e le sue figlie. Dovevamo incontrarle qui. Perciò papà ci ha lasciate venire.

D’improvviso l’uomo grasso scoppiò in una immensa risata, una risata così potente che [p. 172 modifica] faceva sobbalzare tutta la sua grossa persona, e diede col pugno un colpo sulla tavola che scosse tutti i piatti e fece tinnire le posate d’oro.

— Che cosa c’è.... Cosa c’è di così buffo? — chiesero gli altri.

Lady Randolph Grey si volse con un sorriso di compiacimento.

— Eccellenza, avete dunque fatto conoscenza colla vostra piccola vicina? E la trovate divertente?

L’Eccellenza non rispose; continuava a ridere, colla grossa bocca aperta e il grosso corpo scosso dall’ilarità: ma strano a dirsi quel riso a Myosotis non pareva allegro; pareva terribile, pareva furente, pareva minaccioso....

La conversazione riprese, e l’uomo grasso non parlò più a Myosotis. Accese un sigaro e fumò in silenzio, guardando la tovaglia, come soprapensiero. E ogni tanto Myosotis lo vedeva lanciare verso Lady Randolph uno sguardo strano, fosco, quasi vendicativo. Quando furono portati il caffè e i liquori, egli si alzò e andò nella sala vicina — di cui il servitore aveva aperto i battenti — e Lady Randolph lo seguì quasi subito, lasciando intatta sulla tavola la sua tazza di caffè. [p. 173 modifica]

Dopo alcuni momenti ella ritornò, sola; era pallida, colle labbra molto rosse come se le avesse morse a sangue.

— E Sua Eccellenza? — chiese Totò.

— Se n’è andato, — disse Lady Randolph, riprendendo il suo posto.

— Che gioia! — esclamò Neversol. E gli altri risero.

Lady Randolph non volse mai lo sguardo verso Myosotis, e questa ebbe l’impressione — certamente assurda — di essere odiata da quella donna.

La conversazione per un poco languì, ma dopo qualche tempo Lady Randolph parve tornata di buon umore.

Dietro un suo cenno tutti si alzarono e andarono nella sala vicina. Era una grande sala rettangolare, di cui le quattro pareti erano circondate da divani profondi e morbidi su cui si ammontichiavano dei grossi cuscini di raso multicolore. Nei caminetti alle due estremità della sala ardevano due fuochi immensi che illuminavano di baleni irrequieti e improvvisi la stanza. I lumi erano bassi e velati, taluni di viola, taluni di una tinta glauco-azzurra, ciò che, unito ai bagliori oscillanti delle fiamme, [p. 174 modifica] dava una stranissima colorazione, ora perlacea, ora cadaverica, ai volti.

Myosotis potè finalmente riavvicinarsi a Leslie, e cingendole col braccio l’esile vita, sedette accanto a lei sul profondo e morbido divano.

Totò si era messo al pianoforte e mollemente, con maestria trascurata, suonava delle danze sincopate, conturbevoli e suggestive. Gli altri uomini erano intorno a Lady Randolph e le parlavano a bassa voce.

E Myosotis reclinata sui cuscini accanto a Leslie, sentendone così da vicino il calmo e dolce respiro, e sulla sua mano, come un morbido manto, i lunghi capelli sciolti di lei, si disse che era lieta d’essere venuta. Pensò che il lusso era piacevole, che la musica di Totò era dolce a udirsi, e che la vita era buona a vivere....

Con lieto impulso si chinò a baciare la guancia di Leslie.

Quella si volse a lei e sorrise.