Naja Tripudians/XXVI
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XXVI.
In quel momento si udirono di fuori dei lamenti e degli urli. Parevano le strida di un bambino che si sgozzasse.
Le fanciulle trasalirono; ma Lady Randolph rise, e Totò non cessò di suonare.
— È Moses, — disse Lady Randolph. — Neversol, aprite la porta.
Il giovane, con un’alzatina di spalle, obbedì, e un grosso gatto bianco balzò nella stanza; gridando e miaulando si lanciò di qua e di là, ora saltando sui divani e conficcandovi le unghie, ora gettandosi a terra e strisciando appiattito sul tappeto. Pareva in preda a delle torture infernali.
— Eh già! è tardi, povero bello! — disse Lady Randolph — ti avevamo dimenticato! — E, rivolta alla vecchia domestica, che in quel momento entrava portando un piccolo astuccio, glielo prese di mano, l’aprì, e ne tolse qualche cosa di lucido e brillante.
— Cos’è? — chiese Myosotis a Neversol, che aveva traversato la sala e s’avvicinava a loro, — cos’ha quella povera bestia da gridare così?
— È morfinomane — disse Neversol crollando le spalle con gesto di disgusto.
— Come? — esclamò Myosotis.
— Cosa vuol dire? — chiese Leslie, sbarrando gli occhi.
— Vuol dire, — disse il giovane gettando un cuscino ai loro piedi e lasciandovisi cadere, — vuol dire che noi, depravati, per non goder soli e non soffrir soli, amiamo dare i nostri vizi agli altri.... a tutti gli altri! È questa — soggiunse con una piccola risata amara — una caratteristica speciale di tutti gli auto-avvelenatori. Però dico francamente, per conto mio, le bestie.... le lascerei stare.
Alzò gli occhi per guardare le due bionde fanciulle che lo ascoltavano sbigottite, attonite, come s’egli parlasse un linguaggio a loro sconosciuto.
Frattanto Totò aveva smesso di suonare, e, a un cenno di Lady Randolph, le si era avvicinato.
— Tienilo fermo, — disse quella; e il giovane afferrò il gatto e, appressatolo a Lady Randolph, lo tenne stretto per le quattro gambe.
Dal loro posto sul divano le ragazze non videro ciò che Lady Randolph faceva alla bestia, che urlava torcendosi nella stretta di Totò. Ma un senso d’orrore, di nausea indefinibile, di terrore profondo le invase.
— Ma cosa fanno?... Cosa fanno? — gridò Leslie impallidita.
— Si divertono, — rise Neversol; — gli fanno una puntura di morfina.
— Ma perchè?... perchè? — ansò Myosotis presa da un brivido d’indescrivibile orrore.
Il giovane crollò di nuovo le spalle.
— Ve l’ho detto. Perchè amano veder godere. E perchè amano veder soffrire. La vedrete or ora quella bestia sotto l’influenza del narcotico.
Totò aveva lasciato ricadere il gatto e Lady Randolph, raddrizzandosi, disse con una morbida voce gutturale:
— Ecco.... ecco.... povero Moses! — E riconsegnò l’astuccio alla vecchia domestica.
Stette anche quella a guardare per qualche istante il gatto, poi, crollando la testa, se ne andò.
La bestia aveva cessato di urlare, e ferma in mezzo alla sala si guardava intorno con occhi fosforescenti, il pelo irto, ritta la coda smisuratamente gonfia. Girò la testa con aria inquieta di qua e di là, come aspettando.... indi un lungo tremito le passò pel corpo; il suo manto di pelo bianco si rizzò.... poi si riappianò subitamente, liscio e lucido. L’animale fece qualche passo incerto, indi, lento e maestoso andò ad accoccolarsi accanto al fuoco.
Tutti gli invitati di Lady Randolph, seduti o sdraiati in diverse posture sul divano quadrangolare, contemplavano con occhi un pò vacui le mosse della bestia; e gli sguardi di Myosotis e di Leslie vagarono smarriti dall’uno all’altro di quei visi che l’ebbrezza e la depravazione velavano di voluttuoso inebetimento.
Ora il gatto, grosso, gonfio, acquattato sulle zampe davanti al fuoco, era evidentemente pervaso da un senso di beatifico benessere, di intenso e ineffabile godimento. Tutto il suo corpo vibrava emettendo un rombo sonoro, un cupo e profondo rullo. Myosotis lo contemplava inorridita, nè sapeva spiegarsi perchè quella manifestazione di godimento le ripugnasse ancor più, le incutesse ancor più avversione che non gli spasimi e gli urli di poc’anzi.
Leslie fissava anch’essa con pupille dilatate l’animale, e il suo viso era bianco come un lino.
— Lo vedrete più tardi, — disse Neversol, — quando cesserà l’effetto della morfina e comincerà quello dell’apomorfina.
A Myosotis pareva più che mai di sentir parlare un linguaggio sconosciuto. — Che cos’è l’apomorfina? — chiese.
— È il veleno creato nel corpo dalla morfina; dà delle sofferenze atroci. E l’unico contravveleno dell’apomorfina è appunto.... la morfina stessa! Vedete il tragico circolo? La catena senza fine? il serpente che si morde la coda?...
Myosotis non capiva niente; ma a quest’ultime parole il suo volto si illuminò.
— Noi, a casa, c’intendiamo molto di serpenti, — disse, rincorata di trovarsi su un terreno conosciuto. — Mio padre ci ha insegnato a conoscere tutti i diversi rettili, e gli antidoti per il loro morso.
Neversol alzò il capo e diede in una risata.
— Vediamo un pò!... e se io vi dessi un morso.... qui, — e stendendo la mano le toccò lievemente la guancia, — di quale antidoto vi servireste?
Myosotis si ritrasse vivamente. Ma cosa aveva questa gente? Cosa dicevano? Cosa facevano? Erano tutti pazzi?... I suoi grandi occhi smarriti si riempirono subitamente di lagrime.
In quel momento la domestica aprì la porta e un giovane entrò.
— Oh, Dafne! — esclamò Lady Randolph, tutta sorrisi; e anche gli altri mossero incontro al nuovo arrivato; tutti, eccetto Totò, il quale era tornato al pianoforte, e non cessò dal modulare accordi e arpeggi in minore, con languida bravura.
Ma, si chiese Myosotis, era proprio un uomo, il giovane alto e snello, che salutava tutti colla bianca mano tesa e la vermiglia bocca atteggiata al sorriso?... O era una donna vestita da uomo? O un uomo tinto come una donna?
Molto alto e snello — press’a poco della stessa statura di Totò — egli si avanzava con quell’enimmatico sorriso sulle labbra scarlatte nel viso pallidissimo; era violentemente profumato; i capelli folti, lucidi, nerissimi, divisi da una parte, lasciavano da un lato scoperta la fronte bianca, dall’altro gli cadevano inanellati e lucenti sul sopracciglio.
Neri, grandi e tinti erano gli occhi, occhi lunghi e languidi ch’egli teneva quasi sempre abbassati; ma quando d’un tratto alzava le palpebre l’effetto dello sguardo era impressionante.
— E Weisz? Dov’è rimasto? — Chiese Milady.
— Verrà più tardi, — disse il giovane, guardandosi intorno e sfiorando appena collo sguardo le due figurette sedute in fondo alla sala.
— Più tardi? — esclamò Milady, in tono di rammarico.
— Sì, sì. Molto più tardi, — disse il giovane.
Traversò a lunghi passi la sala andando verso il pianoforte dove sedeva Totò. A lui pose una mano — una mano lattea ed ingemmata — sulla spalla; poi, come Totò continuava imperturbato a suonare l’aria di «Mèlisande», il nuovo arrivato aprì la rossa bocca e cantò: cantò, con una voce di soprano delicata e vibrante, prendendo gli acuti con una strana e dolce morbidezza.
Sì, sì; certo era una donna! pensò Myosotis meravigliata. Ma non appena se l’era detto, che, finita la frase musicale, l’artista pronunciò in una profonda e sonora voce baritonale:
— E così, Amberlocks, trovate che canto bene?
Totò, «dai riccioli d’ambra», non rispose e chiuse il pianoforte.
Gli occhi tinti di bistro di Dafne Howard vagarono in giro alla sala e si fermarono dapprima su Leslie e poi su Myosotis.
— Quanta gioveniscenza! — esclamò, tornando alla sua strana voce affettata di falsetto, e volgendosi a Lady Randolph. — Dove le avete pescate? — Senza attender risposta continuò: — Bene, bene. Stasera Weisz conduce qui.... — e disse sottovoce una parola (un nome, o un titolo?) che le fanciulle non afferrarono.
A quell’annuncio Lady Randolph si turbò assai.
— Cosa dite! — esclamò agitata. — viene qui? Lui stesso?... Stasera! Ne siete certo?
— Sì, sì, — fece Dafne, — e riparte all’alba per Parigi. Lo farete condurre a Hounslow a prendere l’Airco.
— Ma Weisz poteva preavvisarmi! — esclamò Lady Randolph. Indi attraversò la sala e si avvicinò a Myosotis. — Aspettiamo degli ospiti augusti, — disse; — il vostro abbigliamento, — e sfiorò collo sguardo sdegnoso l’abito di Myosotis, — è assai stonato. Vi prego di andarvi a cambiare.
Myosotis si era alzata in piedi all’avvicinarsi di Lady Randolph ed ora le stava dinanzi tremante e incerta.
Le venne in soccorso Neversol.
— Per ora la lascerete qui, — disse con voce recisa. — A me piace così. Pare una governante d’Interlaken che avevo da ragazzino per insegnarmi la ginnastica e il tedesco, e che m’insegnò il significato delle parole schwärmerei, träumerei, eselei.... M’insegnò anche il delizioso proverbio del suo paese:
«Jedes Thierchen Hat sein Plaisirchen»
che in lingua meno barbara vorrebbe dire: «Ogni animaletto ha il suo diletto.»
Lady Randolph aggrottò le ciglia. — Essa non può rimanere vestita in quella guisa.
— Si andrà a far bella più tardi, — dichiarò Neversol. — Tanto, il personaggio non verrà prima di mezzanotte. Vero, Dafne?
— No, no, — disse Dafne. — E a me, Myra, farete intanto preparare il ciandù.
— Il ciandù! Volete dunque dormire?
Gli altri protestarono. Il diplomatico grigio scosse il capo.
— Male, male, Dafne!
E l’uomo dai capelli rossi esclamò: — Ma no, ma no! Restate con noi stasera! State sveglio, Dafne! State sveglio.
Dafne aprì la bocca tinta di cinabro, e in registro di soprano sopracuto gorgheggiò:
«Dormiam!.... Di gioia la vita è avara
«E sol ne’ sogni felicità!»
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— Myra, — ripetè rivolto a Lady Randolph, — fatemi preparare il ciandù.