Moneta imperiale terzola ed altre denominazioni generiche
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MONETA IMPERIALE, TERZOLA
ED ALTRE DENOMINAZIONI GENERICHE.
Se la memoria non mi ha fallato, gl’individui monetarî registrati nel precedente capo e sortiti dalle patrie nostre zecche, sono tutti quelli della collezione nostra, che di mano in mano ci si affaccieranno, allorchè ci faremo a descriverli ad uno ad uno. Ma la rassegna tutto che lunga da noi offerta, non potrebbe a mio avviso chiamarsi completa, nè appagare gli studiosi della scienza senza un’aggiunta di molto rimarco concernente un’antica denominazione generica, ossia sopranome, che fu ad essi comune per tanti secoli; voglio dire se qui ommettessi di far parola della moneta imperiale, che celebre è stata in Italia e fuori, non che della terzola sua minor sorella, che fra li patrî lari si restrinse umilmente, com’anco di altri distintivi che furono e sono in voga ai giorni nostri.
Muovere dovendo il mio discorso dall’imperiale come la più importante, e che ha esistito più lungamente, non sono a dirsi le favole ed esagerazioni che ne furono scritte. Da un privilegio di Teodosio concesso a S. Ambrogio, e confermato da Carlomagno agli arcivescovi di Milano, si pretese di derivarla, e chiamata così la dissero dal volto dell’imperatore, dalle lettere intorno che l’esprimevano, dall’argento puro di cui era composta. Niente è vero di tutto questo, che spacciò nella metà del 300, il credulo Fiamma, seguitato alla cieca dalla turba de’ nostri scrittori che vennero dopo2, nudi di critica e di filosofia per non conoscere la disciplina ecclesiastica dei primitivi tempi della Chiesa, e per non sapere, che la storia si appoggia a monumenti coetanei. I puri affari di religione e di coscienza occupavano nel IV secolo i ministri dell’altare, e lungi dal loro animo erano gli appetiti mondani, che prevalsero assai tempo dopo colla donazione di Pipino ed alla sconfitta longobardica, coll’innalzamento di Carlomagno. Nessuna memoria ci fu tramandata di elargizioni tali dei due imperatori, che si nominano, per testimonianza d’istorici vissuti con essi, o per diplomi che siano giunti a noi. Una sola volta abbiamo avuto argento monetato puro o quasi alla metà del 200, nè fu certo battuto dagli arcivescovi, ma dalla Repubblica, nè portava il nome di moneta imperiale, ma di terzola. L’effigie imperatoria manca nel medio evo, tranne uno stampo di Lodovico I pubblicato da Le Blanc; ed il nome degli Augusti, dimenticati già nella seconda metà del secolo XIII, aveva ceduto il posto ai principi viscontei, quando venne in credito questa leggenda, ne ricomparvero le marche imperatorie che 200 anni dopo con Carlo V. Nessuno dei nostri, che non impari forze in questi ultimi tempi avrebbero avuto, si mise all’impegno di scriverne di proposito, ond’è che l’argomento rimase oscuro, e la parola imperiale, aggiunta alla nostra moneta, non si sapeva cosa significasse. Io in brevi note la farò comprendere col definirla; e dico che moneta imperiale dalla fine del secolo XII, a Maria Teresa imperatrice del 1777, è sinonimo di moneta milanese. Li pagamenti fatti a Milano od in paesi soggetti a Milano, durante sì lunghe successioni d’età, parlano ognora di lire, di soldi, di danari imperiali; moneta adunque imperiale, altro non era né poteva essere che la moneta che si coniava nella nostra zecca, stata mai sempre in lavoro. Per poco che alla costante generale formola ed espressione, che dissi, si osserva adoperata nei contratti fra le due epoche accennate, avessero posto attenzione gli scrittori che mi hanno preceduto, non avrebbero potuto agevolmente discernere e scoprire la verità di cui andavano in traccia? Ma non curarono essi, infrangendo le leggi della crìtica, i documenti innumerevoli che somministra la storia, e che ne sono il fondamento unico; e ad opinioni invece nate in tempi oscuri corsero dietro ciecamente copiandosi gli uni cogli altri, collo stesso falso metodo che i legisti, per dirla di passaggio, adoperavano nell’interpretazione delle leggi, finché l’Alciato fra noi, ed il grande Cujacio in Francia e l’Einecio in Germania ed altri, non li posero nel giusto sentiero.
Si può domandare adesso, che io esibisca le prove di quanto ho asserito; ma se a ciò prestar qui mi volessi, ed a trascrivere, non dico, a citar solamente mi facessi le carte infinite che si conoscono di secolo in secolo a periodi fra loro vicini, per esempio di 25 anni, non la finirei più; e dai limiti di un discorso preliminare, che mi sono proposto, io sortirei senza vera utilità, avvegnacchè in progresso di quest’opera, quando stabiliremo il valore di tutti gli individui monetarî che possediamo o che sono da noi desiderati, dopo di averli descritti, li documenti che attestano dominante fra noi la moneta imperiale, ci si pareranno continuamente davanti.
Del resto chi fosse premuroso di accertarsi da questo momento, intorno a questo punto interessantissimo della numismatica nostra, senza ingolfarsi nelle lunghe e spinose letture di tanti passi in Argelati, Carli, Giulini, Zanetti, che potrei indicargli, si porti a questo nostro grand’archivio pubblico, formato da documenti raccolti da tutta la Lombardia nel regno di Maria Teresa, e resterà in pochi giorni intieramente pago; trovandovisi appunto riuniti gli istromenti delli nostri notari dal 1200 in avanti.
Sarebbe inutile, se io soggiungessi, che nel mio archivio di famiglia conservo atti notarili, forse più di 100, dal secolo XVI in poi, di possedimenti nei quali si legge sempre la formola del pagamento espressa in questi termini: praetio Librarum Imperialium Centum, ecc. ecc.
In qual tempo precisamente sia cominciata la moneta imperiale, e perchè sia stata così chiamata, dal nome cioè, dell’imperatore e non dalla città in cui era coniata, fu scoperto dal Conte Carli, con la testimonianza di storico coevo molto bene informato de’ fatti nostri, il lodigiano Ottone Morena, uffiziale di Corte di Federico I; e lo rischiararono maggiormente li nostri Monaci Cisterciensi con pergamene tratte dal loro Archivio Sant’Ambrosiano3. Nel Borgo di Noceto, poco distante dalle nostre mura di Porta Romana, durante l’esiglio dei nostri progenitori, colà in parte confinati dal crudele Barbarossa dopo l’eccidio di Milano del 1162, ebbe la moneta imperiale li suoi natali. Una torre, certo è, che vi fu fatta edificare da quell’augusto nell’estate del 1163 per custodirvi li denari suoi proprî, che faceva battere in segno di regalia, come si diceva allora, ossia di piena ed assoluta sovranità, che rivendicata voleva in Italia. Imperiali perciò vennero denominati giustamente tali danari, e diffusi tostamente e conosciuti nelle città vicine4. Lo stesso nome conservarono poscia (ed è ben naturale che ciò seguisse), allorchè ripristinata la città ci fu ridonata la zecca col trattato di Reggio del 1185, in cui fra le altre cose a noi rinunziò tutte le regalie dell’impero, nelle quali manifesto è comprendersi il gius della moneta. Marcata del nome di Federico, battuta a Milano con le parole Aug. Mediolaniu, una monetina sarà prodotta a suo luogo e ragionata essere dell’epoca predetta, quando la città nostra risorgeva dalle sue rovine, ed altre similmente improntate mostreremo dei primi anni del secolo XII in prova del riguadagnato privilegio5.
Allorchè però dissi che la moneta imperiale nominata per secoli nelle nostre carte, è lo stesso che si dicesse moneta milanese, non intendo di escludere che in altri paesi a noi vicini non vi sia stata moneta egualmente distinta con questa appellazione. Di Brescia, pendente la metà del 200, lo sappiamo dal Doneda6; che vigesse in Parma, nel torno medesimo, lo dimostreremo ben presto7 coll’aiuto di altro celebrato scrittore a proposito del prezzo del fiorino d’oro; che in Pavia pure si conteggiasse a tal modo vi sono buoni argomenti per crederlo, anche nella scarsità che abbiamo di notizie di quella zecca; e che dal 1254 si volesse sapientemente, in sette città libere d’Italia, introdurre uniforme moneta imperiale certo è per documento pubblicato dal Presidente Neri8. Brevissima però e ristretta a porzione del secolo XIII, fu la durata della moneta imperiale altrove che in Milano, dove continuò mai sempre.
La moneta chiamata Augusta, battuta, fu detto, dagli Arcivescovi di Milano, è altra favola su cui non occorrono discussioni. I vescovi nostri, siccome tanti prelati d’Italia e d’Europa, tennero, è vero, intorno al mille il dominio delle città dove risiedevano: e fra noi sono famosi li nomi di Ansperto e di Ariberto per il vigoroso governo e per le gesta loro militari e politiche, ma finora impronti loro proprî non si sono veduti; e dopo i Carlovingi si hanno regolarmente i nomi nelle monete nostre dei Berengarj e degli Imperatori e Re d’Italia, d’Arnolfo, degli Ottoni, degli Arrighi e di Corrado il Salico, che ci hanno dominato.
Frottole e baje finalmente sono quelle tre specie di monete della Comunità di Milano, del sacro Impero e del regno dei Francesi, nominate in uno strumento del 1385, pubblicato dall’Argelati9. Una sola moneta si batteva in allora sotto il nome d’imperiale, ed era quella del Visconti Galeazzo, conte di Virtù, padrone di Milano ed arbitro supremo della zecca. E fa meraviglia che il conte Carli, scrittore di tanto giudizio, si sia degnato di fissar l’occhio sopra di una carta di nessun valore, fatta dal collegio degli operai di zecca, che per vanità e stoltezza teneva quel linguaggio assurdo e così poco decoroso, rammentando infelicissimi tempi andati10, che il principe che regnava in quegli anni si apparecchiava a far sì che non si rinnovassero più11.
Vengo alla terzola: metà dell’imperiale era siffatta moneta; chiaramente questo suo valore si rinviene espresso in carte nostre innumerevoli de’ bassi tempi. L’origine sua rimonta ad alcune decadi d’anni indietro dell’imperiale, al primo assedio di Milano del 1158; e questo passo della storia monetaria nostra rischiararono similmente li dotti Cenobiti precitati. Monete però di quell’epoca non se ne conoscono, nella guisa istessa che mancano le prime imperiali della torre di Noceto. Gli effettivi, indubitati terzoli che mostrar possiamo, consistenti in buoni soldi d’argento a 9/10 e più di fino metallo, e in danari dodicesima parte del soldo di giusta lega, coniati furono dalla Repubblica nostra alla metà del 1200 e nei primi anni del 1300, fino alla calata di Enrico VII di Lussemburgo; dopo di che ne fu dismessa la fabbricazione per li soldi e danari imperiali stampati da quell’augusto e dal suo successore Lodovico il Bavaro, e quindi finita in quel tempo la Repubblica, dai principi viscontei. L’etimologia di una tal voce è ignota; che terzola fosse nominata dall’essere composta di una terza parte d’argento può essere stato vero, allorché in circostanze terribili si diede mano a coniarla, ma falso era quanto in termini generali se ne scrisse a mezzo il secolo XIV. Da 100 anni i soldi terzaroli repubblicani, d’ottimo argento, erano comparsi a smentire la composizione abietta che si voleva sostenere; e difatto essendo la moneta terzola la metà in valore dell’imperiale, manifesto era dal tempo del Fiamma, e molto più dei suoi copiatori, che il suo argento era più o meno a misura delle diverse monete, e dall’andar del tempo che variò queste monete nell’intrinseco loro. Ma infine il terzolo, ognuno vede, altro non era diventato nel 300 che moneta puramente ideale e di conto.
Ora a proseguire nella storia delle diverse nostre monete, rimane a dirsi che la Repubblica del 200 conteggiò a lire, soldi e danari terzoli. Ripristinata avendo essa una, ad ogni modo, gloriosa denominazione avita, non era egli conveniente di servirsene nei pubblici suoi atti? D’altra parte nella scarsità dei metalli d’allora, e atteso la gran massa della lira imperiale, e la forza della primaria sua frazione, il soldo, comodo, per non dire indispensabile, riesciva il calcolo fatto a metà. Non potrei meglio farlo comprendere che qui riportando l’intrinseco del soldo terzarolo da riscontrarsi di grani 36,160 d’argento12, dell’imperiale quindi di 72,320, e della lira di 1446,400; facendo osservare che la prima cifra rappresenta 10 soldi e più della lira di Maria Teresa del 1778 grave di soli 67,712, e così del resto in proporzione. Sotto li Visconti e gli Sforza, allorché l’Italia e l’Insubria, specialmente per il contatto con Venezia, si era arricchita col commercio e dominante erasi fatta la moneta imperiale, le contrattazioni si facevano, ma però non sempre, ad imperiali, col ragguaglio generalmente espresso a terzoli. Un diploma, che io produrrò, di quella seconda dinastia, fa menzione di terzoli; un’ultima memoria, ch’io sappia, di tale moneta trovasi in un editto spagnuolo13.
Nei privati negozi non può non osservarsi l’andamento delle pubbliche faccende; a terzoli quindi si trattava nel 200, ad imperiali nel 300 e 400, coll’indicazione in terzoli; ad imperiali sole lire dal 500 a Maria Teresa del 1778.
In quell’anno la nuova moneta fu qualificata per nazionale. Moneta milanese fu poscia detta negli atti pubblici della Repubblica Cisalpina ed Italiana dal 1797 al 1805, essendo stata adoperata per norma dei tributi: e ciò mi si permetterà di asserire, senza porne in campo le prove, per avere io avuto l’onore di far parte dei Corpi Legislativi e dei Governi di quel tempo. Notoria è l’italiana, che fece sorgere Napoleone re d’Italia, fra il 1807 e il 1814, a cui successe, dopo la sua caduta, l’austriaca odierna del 1822.
Cinque denominazioni adunque monetarie si noverano nelle nostre carte, dalla pace di Costanza a questa parte, e sono: imperiale, terzola, nazionale, milanese, austriaca; sebbene, a dir vero, non siano che attributi estrinseci, per altro di non piccolo interesse storico, appartenenti ad un solo sistema che deriva da Carlomagno.
Abbastanza io avrei soddisfatto all’opera mia, con tutto ciò che ho di sopra esposto, percorso avendo i secoli primi dove spazia la mia collezione che intrapresi ad illustrare; pure a saziar le brame per intiero degli amatori delle nostre antichità, aggiungerò alcuni cenni, che dalla pace di Costanza, risalgono all’origine, che ho più volte indicata, di Carlomagno.
Scarse di molto ed imperfette sono le notizie che abbiamo dal secolo XII retrocedendo al secolo VIII. Dubbio però non può esservi che l’appellazione di danari 12° del soldo non sia stata vigente mai sempre, ed anzi la più comune nei contratti. Di buoni danari vecchi milanesi (denariorum bonorum veterum mediolanenstum), rinvennero le traccie, in carte antichissime, Giulini e li Monaci di S. Ambrogio; e famosi sono nella storia, anche per le favole, da vedersi in Muratori, di cui furono imbrattati, li denari Ottolini, che fabbricati vennero dall’imperatore Ottone I e probabilmente anche dal II e III, di metà rame ed argento, che tuttora girano nei nostri Musei.
Note
- ↑ Quest’articolo forma il Capitolo XXI del Discorso preliminare del Conte Mulazzani alla sua Illustrazione delle Monete milanesi, e fa quindi seguito immediato al Dizionario delle Monete Milanesi (Cap. XX) pubblicato lo scorso anno nel fascicolo III di questa Rivista.
F. ed E. Gnecchi.
- ↑ Argelati. V. II, pag. 4, colonna 1.
- ↑ Delle Antichità Longobardiche milanesi Vol. II, Dissert. 17, sulla zecca di Noceto, sulle monete denominate imperiali, sulle terzole ed altre antiche milanesi, pag. 253 e segg.
- ↑ Argelati. Opera citata.
- ↑ Moneta imperiale e regia dell’evo repubblicano, fasc. I, di Federico I.
- ↑ Zanetti, Raccolta Tomo IV, pag. 418.
- ↑ Rub. della Repubb. I f.
- ↑ Carli, Tomo I, pag. 352.
- ↑ Tomo III, pag. 57.
- ↑ Carli, Tomo I, pag. 351.
- ↑ Vedi la Rubrica del conte di Virtù nella parte economica.
- ↑ Vedi Rubrica I repubblicana f.
- ↑ Manoscritti di Bollati in Brera.