Muovere dovendo il mio discorso dall’imperiale come la più importante, e che ha esistito più lungamente, non sono a dirsi le favole ed esagerazioni che ne furono scritte. Da un privilegio di Teodosio concesso a S. Ambrogio, e confermato da Carlomagno agli arcivescovi di Milano, si pretese di derivarla, e chiamata così la dissero dal volto dell’imperatore, dalle lettere intorno che l’esprimevano, dall’argento puro di cui era composta. Niente è vero di tutto questo, che spacciò nella metà del 300, il credulo Fiamma, seguitato alla cieca dalla turba de’ nostri scrittori che vennero dopo1, nudi di critica e di filosofia per non conoscere la disciplina ecclesiastica dei primitivi tempi della Chiesa, e per non sapere, che la storia si appoggia a monumenti coetanei. I puri affari di religione e di coscienza occupavano nel IV secolo i ministri dell’altare, e lungi dal loro animo erano gli appetiti mondani, che prevalsero assai tempo dopo colla donazione di Pipino ed alla sconfitta longobardica, coll’innalzamento di Carlomagno. Nessuna memoria ci fu tramandata di elargizioni tali dei due imperatori, che si nominano, per testimonianza d’istorici vissuti con essi, o per diplomi che siano giunti a noi. Una sola volta abbiamo avuto argento monetato puro o quasi alla metà del 200, nè fu certo battuto dagli arcivescovi, ma dalla Repubblica, nè portava il nome di moneta imperiale, ma di terzola. L’effigie imperatoria manca nel medio evo, tranne uno stampo di Lodovico I pubblicato da Le Blanc; ed il nome degli Augusti, dimenticati già nella seconda metà del secolo XIII, aveva ceduto il posto ai principi viscontei, quando
- ↑ Argelati. V. II, pag. 4, colonna 1.