Misteri di polizia/XXX. I caffè e i Gabinetti di Lettura

XXX. I caffè e i Gabinetti di Lettura

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XXX. I caffè e i Gabinetti di Lettura
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CAPITOLO XXX.

I Caffè e i Gabinetti di lettura.

I Caffè, come ogni qualsiasi altro stabilimento pubblico, erano sorvegliati e disseminati di spie, e quando queste non erano i proprietari stessi del locale, erano i camerieri. Così la Polizia era giorno per giorno ragguagliata minutamente di quanto in essi si faceva e si diceva, non solo in materia politica, ma anche in fatto di cronaca cittadina.

Quasi tutti i rapporti degl’Ispettori di Polizia son pieni della cronaca serale dei principali caffè di Firenze, quando gli assidui, fra un sorso e l’altro della nera bevanda gabellata loro per moka puro ed autentico, si abbandonavano ai discorsi intimi parlando di politica, di avventure galanti, d’arte, di letteratura, di cantanti, di mime e di ballerine. La ristrettezza del crocchio, la riputazione di galantomismo di cui godevano gli astanti, quella certa espansione d’animo che sopravviene in seguito ad un buon desinare, tutto in quel momento invitava la gente colà raccolta a parlare col cuore in mano. Frattanto il cameriere che versava il caffè, o porgeva il moccoletto per accendere il sigaro, od offriva un mazzo di carte o l’ultimo numero della Gazzetta Toscana, dei Débats, o del Temps, magari della Voce della Verità, stava colle orecchie tese, pronto a raccogliere ogni frase, ogni parola che l’assiduo, ignaro di quel muto depositario de’ suoi più intimi pensieri, si lasciava cascare dalle labbra e che accuratamente raccolte, l’indomani con quel po’ po’ di frangia che spie e poliziotti non mancano mai d’aggiungere alle altrui parole, era scodellato all’illustrissimo signor Presidente del Buon Governo. Così il 10 agosto 1822, l’Ispettore di Polizia riferiva che aveva circolato al Bottegone (il noto Caffè sull’angolo di [p. 250 modifica]Piazza del Duomo e di via dei Martelli) la notizia della decapitazione del re di Spagna, aggiungendo che gli astanti, tutti liberali, malgrado che qualcuno sospettasse dell’autenticità, di quella notizia, se ne rallegrarono. Il 26 agosto riferiva che, sempre nello stesso Caffè, circolava con una certa insistenza la voce di una rivoluzione a Napoli e di un’altra in Prussia „e il marchese Capponi ne parlò a lungo con entusiasmo.„ Il 4 gennaio 1823 si scriveva che in quel Caffè si tenne discorso della rappresentazione del Bruto I, dell’Alfieri, che la sera innanzi aveva avuto luogo al Teatro degl’Intrepidi notandosi che si commentavano vivamente gli applausi coi quali il pubblico aveva sottolineato le parole di Bruto quando invita i Romani a smettere il giogo dei re, non che il verso: I re non hanno — Patria, e l’altro: Le leggi — Sole avran regno. Nel 6 ottobre si riferiva che il marchese Capponi, parlando con Guglielmo Libri dei progressi ottenuti dai francesi in Ispagna contro le truppe costituzionali, diceva che essi si dovevano all’oro.

Fra i gabinetti di lettura di Firenze, acquistò subito rinomanza quello fondato nel Palazzo già Buondelmonti da G. P. Vieusseux, divenendo così il centro del movimento liberale italiano. Era in quei tempi il solo luogo della penisola in cui si potesse parlare di progresso, di civiltà, di riforme nell’insegnamento, di sistemi d’educazione, di provvedimenti economici destinati a migliorare le condizioni delle classi lavoratrici, di ferrovie, di casse di risparmio ec. ec. Di questo movimento l’Antologia sinchè visse, non fu che una debole eco; imperocchè essa, di quelle riunioni a cui prendevano parte i più stimati e forti ingegni non solo della Toscana e delle altre provincie d’Italia, ma dell’Europa, non riproduceva nei suoi scritti che la sola parte tollerata dalla censura. Questa, come lo stesso Vieusseux confessava, sino a quando la cancelleria cesarea non volle [p. 251 modifica]ficcarvi dentro il suo zampino, fu piuttosto generosa; ma quella specie di tolleranza che accordava il governo a idee e massime, che a Napoli, a Roma, a Modena, a Milano avrebbero mandato diritto diritto i loro autori in prigione, non impediva che la Polizia non guardasse con occhio sospettoso quel focolare di liberalismo più o meno larvato. Il Gabinetto letterario Vieusseux fu sempre sorvegliato e spiato con cura attenta e minuziosa. Come già abbiamo visto al capitolo: Le Spie segrete, una somma non lieve era destinata a ciuscun’anno a sorvegliare i gabinetti di lettura in fama di liberalismo; e dei gabinetti d’allora, quello che valeva la pena di buttar via in ispionaggio alcune migliaia di lire all’anno, non era certamente che quello del Vieusseux, il quale, nei rapporti della Polizia, fu sempre presentato come un centro permanente di propaganda liberale. In un rapporto del 30 luglio 1822, si legge: „Nel Gabinetto Vieusseux si assicura essere stato veduto con riservatezza un rame rappresentante tutti i principali sovrani d’Europa stretti insieme con un imbasamento sulla testa, sopra del quale posa la statua della Costituzione. Si dà per proprietario del rame il marchese Gino Capponi, che più volte ha fatto capitare furtivamente in quel Gabinetto articoli di simil genere, che gli vengono dall’estero per vie segrete.„ — Nel febbraio del 1833, cioè poche settimane prima che l’Antologia fosse soppressa, essendo morto Giuseppe Montani, che era il principale redattore della celebre effemeride, il Vieusseux chiese alla Presidenza del Buon Governo il permesso che egli e gli amici dell’estinto, con un numero sufficiente di torce, accompagnassero il cadavere alla chiesa di Santa Croce. Il Bologna, che temeva una dimostrazione liberale, negò il permesso, perchè contrario agli ordini veglianti. Quali poi fossero questi ordini che impedivano d’accompagnare, con torce, un defunto alla sua ultima dimora, l’illustrissimo capo della Polizia non disse mai. Ma il Vieusseux e gli amici del Montani, cioè il fior fiore della società letteraria fiorentina, non ci badarono tanto a quella proibizione, visto e considerato che il rifiuto non riguardava che le povere torce. E l’accompagnamento del cadavere ebbe luogo, malgra[p. 252 modifica]do il divieto del Buon Governo. Esso fu solenne, imponente. Fra coloro che vi presero parte, la Polizia notò il marchese Gino Capponi, gli abati Lambruschini, Ciampi e Becchi, G. B. Niccolini, il Vieusseux ec. ec. Non potendo rilevare altro, la Polizia denunziò come un atto sedizioso, che gli amici del defunto avessero preso il feretro sulle loro spalle, togliendolo da quelle degli incappati. Quando poi il mesto corteggio giunse nel chiostro di Santa Croce, la bara venne deposta a terra, ed intorno ad essa, fatto cerchio gli amici, l’abate Lambruschini, con parola commossa, ricordò le virtù dell’estinto. La Polizia, al solito, riferì che il discorso del pio sacerdote era improntato al più grossolano materialismo, sostenendo che fra le altre cose il Lambruschini avesse detto: — Colla morte il nostro amico ha tutto perduto. All’incontro, l’oratore aveva cristianamente detto: Ah, no; il nostro amico non è morto tutto! La miglior parte di lui vive in Dio! Ma per la Polizia, quel riferire a rovescio, e spacciare gli spiritualisti e credenti in Dio per materialisti ed atei, era arte sopraffina di Governo.

„Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà„ aveva detto un giorno un cardinale famoso; e la Polizia sapeva che se sopra dieci calunnie, nove non trovavano fede o erano smentite, una per lo meno attecchiva. E difatti, di quell’accompagnamento funebre fu menato scalpore nel partito reazionario, e la Voce della Verità, che apriva le sue colonne a tutte le più insensate e sciocche calunnie che i sanfedisti di qua e di là dell’Appennino foggiavano a carico dei liberali toscani, e del Fossombroni e del Corsini che non avevano il coraggio d’estirpare dal Granducato con della buona canape, per lo meno, coll’ ergastolo, la mala pianta del liberalismo, accolse anche quella, e stampò un articolo trasudante da ogni sua frase, da ogni sua parola, fiele e rancore contro il Vieusseux e i suoi amici, e quel che era peggio, contro il povero Montani, il quale dal suo sepolcro non poteva nemmeno aver la consolazione di poter rispondere con un disdegnoso scrollar di spalle a quell’oscena gazzarra. Al velenoso articolo il Vieusseux rispose con una lettera diretta al giornale modenese, il quale la stampò, ma [p. 253 modifica]illustrandola di note più velenose ancora, quando il Tommasèo che s’era allora fissato a Parigi, entrò nella lotta e scaraventò addosso ai redattori della Voce un articolo in cui col suo stile epigrammatico e tagliente li bollava per calunniatori e nemici dei vivi e dei morti. Il Vieusseux avrebbe voluto che quella scrittura fosse ristampata in Toscana; ma il Corsini, pur riconoscendo la legittimità della sua condotta, ne lo dissuase, prevedendo per sè, pel Fossombroni e pel Granduca altre ingiurie del giornale modenese; e perchè questo non pigliasse occasione di tutto per rinfocolare la lite, proibì che fosse licenziato per le stampe un cenno necrologico del Montani, scritto dal Lambruschini, benchè riconoscesse d’essere informato a sensi cristianissimi.

Tutto ciò rendeva sempre più sospetto il Gabinetto agli occhi della Polizia. L’Ispettore di Firenze, il 24 marzo 1834, scriveva: „Il noto Gabinetto Letterario di Gian Pietro Vieusseux, si presenta sempre assai pericoloso e si designa per quello che offre sicuro asilo a questi primari settari della dominante. Si vuole che presso quel Direttore vadano essi tenendo ogni tanto delle conventicole, e che le precauzioni prese e le tenebre, nelle quali si avvolgono, sieno tali da rendere disgraziatamente inutile ed infruttuoso qualunque tentativo, anche ardito, che si potesse fare dalla Polizia, onde scoprire e sorprenderli in mezzo ai loro intrighi ed iniqui maneggi.„ Linguaggio stupido, chè, se anche il signor Ispettore fosse piombato in mezzo alla congrega, non avrebbe trovato che gente di lettere, occupata, non a cospirare, ma a rendere meno fitte nel paese quelle tenebre, che la Polizia avrebbe voluto che fossero più dense. Peraltro, il Corsini, ch’era una persona che ragionava, non ordinò mai una perquisizione nel Gabinetto del Vieusseux, per quanto i rapporti dei suoi bracchi spingessero il Ministro a quell’atto assai sconcio come altrettanto inutile.

Ma quanto i Ministri si mostravano tolleranti, altrettanto intollerante si mostrava la bassa Polizia verso quel geniale ritrovo di letterati e di dotti. Il Commissario di Santa Croce, il 13 maggio 1837 scriveva al Buon Governo: „G. P. Vieusseux è un liberale feroce, astuto ed intraprendente. Costui solo [p. 254 modifica]può dirsi assolutamente terribile in Toscana ed il suo particolare Gabinetto è l’unico in Firenze che possa destare dell’apprensione, per adunanze men che tranquille. Sebbene non siasi potuto penetrare in quei recessi, pure dalle persone che vi sono ammesse e dalle estese relazioni che coltiva il principale, è forza dedurre che egli tenga al certo colpevole corrispondenza cogli esteri seguaci del medesimo partito, e segnatamente col famoso Mazzini, e col ben noto Tommasèo; tanto vero che quando nell’ottobre dell’anno decorso la notissima donna Giuditta Bellerio, amica del fuoruscito Mazzini, si trattenne in Livorno per causa di salute, ricevette sovvenzioni in denaro dal nostro Vieusseux.„

Quantunque il Vieusseux fosse legato in amicizia ed avesse relazione con quasi tutti i principali liberali del suo tempo, non crediamo che le sue relazioni col Mazzini, ove anche ne avesse avuto, fossero state di natura politica; il Vieusseux era troppo legato in amicizia con Gino Capponi e col partito moderato toscano, perchè avesse potuto dividere le idee politiche del fondatore della Giovine Italia. Lo stesso Mazzini, che nelle prefazioni e nelle note con che accompagnò la raccolta dei suoi scritti politici e letterari ci lasciò una minuziosa storia delle relazioni da lui intrattenute in quasi tutte le provincie italiane, mentre per la Toscana fa cenno del Guerrazzi, del Bini, del Bastogi, del Cempini, (il figlio del Ministro di Leopoldo II) e d’altri, non fa parola del Vieusseux. Ma la Polizia amava caricare le tinte, e una relazione col Mazzini era allora stimata un ingrediente indispensabile per ischizzare il ritratto d’un liberale di qualche valore.