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CAPITOLO XXX.
I Caffè e i Gabinetti di lettura.
I Caffè, come ogni qualsiasi altro stabilimento pubblico, erano sorvegliati e disseminati di spie, e quando queste non erano i proprietari stessi del locale, erano i camerieri. Così la Polizia era giorno per giorno ragguagliata minutamente di quanto in essi si faceva e si diceva, non solo in materia politica, ma anche in fatto di cronaca cittadina.
Quasi tutti i rapporti degl’Ispettori di Polizia son pieni della cronaca serale dei principali caffè di Firenze, quando gli assidui, fra un sorso e l’altro della nera bevanda gabellata loro per moka puro ed autentico, si abbandonavano ai discorsi intimi parlando di politica, di avventure galanti, d’arte, di letteratura, di cantanti, di mime e di ballerine. La ristrettezza del crocchio, la riputazione di galantomismo di cui godevano gli astanti, quella certa espansione d’animo che sopravviene in seguito ad un buon desinare, tutto in quel momento invitava la gente colà raccolta a parlare col cuore in mano. Frattanto il cameriere che versava il caffè, o porgeva il moccoletto per accendere il sigaro, od offriva un mazzo di carte o l’ultimo numero della Gazzetta Toscana, dei Débats, o del Temps, magari della Voce della Verità, stava colle orecchie tese, pronto a raccogliere ogni frase, ogni parola che l’assiduo, ignaro di quel muto depositario de’ suoi più intimi pensieri, si lasciava cascare dalle labbra e che accuratamente raccolte, l’indomani con quel po’ po’ di frangia che spie e poliziotti non mancano mai d’aggiungere alle altrui parole, era scodellato all’illustrissimo signor Presidente del Buon Governo. Così il 10 agosto 1822, l’Ispettore di Polizia riferiva che aveva circolato al Bottegone (il noto Caffè sull’angolo di Piaz-