Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXXVIII

XXXVIII

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
XXXVIII
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CAPITOLO XXXVIII.

Alcune parole sopra un processo compilato in una forma straordinaria. — Gusto dei Francesi per le canzonette. — Alcune parole sopra due stimabili Autori. — Osservazione sulla città di Saint-Germain-en-Laye. — Atti di riconoscenza verso alcuni de’ miei amici. — Mia vita ordinaria. — Mio segreto per addormentarmi. — Mio temperamento.

Vi fu un processo di grande importanza a Parigi in questo medesimo anno 1785. Furono chiusi nella Bastiglia alcuni prigionieri di Stato; il re ordinò al parlamento di giudicarli, e la sentenza fu pronunziata il dì 30 maggio dell’anno appresso. Io non parlerò della sostanza di questo processo, che è a notizia di tutti; ne hanno detto abbastanza le gazzette, e le Memorie degli accusati sono sparse dovunque. Un illustre personaggio, vittima di una inconcepibile frode, restò sgravato da ogni accusa, e assoluto in egual modo un estero implicato a torto nell’istesso processo. Fu punita una donna, perversa e intrigante, e il nome del suo marito contumace fu pubblicamente esposto e disonorato. Una persona, che con la sua penna aveva cooperato alle trufferie, fu esiliata in perpetuo, ed una giovine stolida, complice senza saperlo, per commiserazione della sua ignoranza, fu rimossa dalla Corte.

Questa causa complicata in una maniera sì straordinaria occupò il pubblico per dieci continui mesi, e fu l’argomento giornaliero di tutti i circoli, e delle conversazioni di Parigi. Le persone che per le loro aderenze vi prendevano parte, vivevano inquiete; mentre i begli spiriti facevano strofette. Tale è l’indole della nazione: se i Francesi perdono una battaglia, un epigramma li consola; se una nuova imposizione li aggrava, una pubblica canzonetta li rifà del danno; se un affare d’importanza li tiene occupati, una semplice arietta li distrae; e lo stile più semplice e naturale è sempre fatto spiccare da tratti maligni e da punture amare.

La Francia è feconda d’ingegni: alcuni lavorano per la gloria, altri si occupano pel diletto della umana società. Il signor conte di Rivarol è un giovane autore, che si è fatto conoscere al pubblico con una opera, che gli fa il maggiore onore, e che prova la vastità delle sue cognizioni, e l’energia della sua penna. Tutti conoscono il suo Discorso sulla preferenza della lingua francese, che ha ottenuto il premio dell’Accademia di Berlino. Egli ha recentemente tradotto il poema di Dante, e si ha motivo di sperare in lui un successore ai grandi maestri della letteratura. Ecco un poeta che primeggia nei due generi di poesia qui sopra indicati; questi è il signor Robert, grave e robusto nei suoi poemi, e dilettevole nei suoi racconti; [p. 364 modifica] è un autore che non ha imitato alcuno, il suo stile è originale, nel suo verseggiare vi è più energia che facilità, le rime copiose e nel tempo medesimo le più difficili e felici, immensa la sua erudizione, chiara e vigorosa la sua logica. Le opere di questo scrittore non sono ancora stampate: io ne ho inteso recitare dei pezzi all’autore stesso parecchie volte, ma non tanto spesso quanto avrei desiderato, per la ragione che il signor Robert divide la sua dimora tra la capitale e Saint-Germain-en-Laye. L’occasione di nominare quest’ultima città mi fa ricordare che ho trascurato di farne menzione in queste mie Memorie. È un soggiorno reale, distante quattro leghe da Parigi, la cui situazione è delle più felici. È fabbricata sopra un’altura che domina un immenso piano traversato dalle acque della Senna; motivo per cui l’aria è saluberrima, e delizioso l’aspetto. La foresta che la cinge, senza renderla noiosa, è vastissima, ben tagliata, benissimo disposta, ed è abbondante di animali selvaggi, tanto quadrupedi, che volatili. Il castello, di gusto antico, è magnifico, ed è il luogo ove nacque Luigi XIV. Se questo monarca avesse avuto per il suo paese natio maggiore affezione, avrebbe certamente risparmiato tanti milioni sacrificati nel prosciugamento delle acque paludose di Versailles, perchè per l’esecuzione delle sue magnifiche idee avrebbe ivi trovato il suolo meno ingrato, e meglio esposto. San Germano è divenuto oggigiorno per moltissimi un ritiro piacevole; alcuni vi vanno per cercare la tranquillità, altri l’economia. Ognuno poi trova la conversazione che più gli conviene. Se i miei interessi non mi obbligassero a stare in Parigi, per certo io andrei a profittare dei vantaggi di quel piacevole soggiorno per tutto il resto della mia vita. Ciò che m’indurrebbe anco di più, sarebbe l’occasione di avvicinarmi a un amico rispettabile, che amo teneramente per inclinazione e per riconoscenza. Il signor Huet vi fa da diversi anni la sua dimora: io lo vedeva spesso quando era a Parigi: non vi è persona più amabile, non vi è amicizia più salda della sua. Nel tempo in cui il Tesoro reale non era regolato come ora, egli non ha mai ricusato di anticiparmi le somme che mi potevano abbisognare; anzi, allorquando il re mi concedette per il Burbero benefico la gratificazione di centocinquanta luigi, questo generoso amico mi mandò subito tre sacchetti di 1200 franchi, e si adattò a ritirare questa somma a comodo del cassiere dei Menus-Plaisirs. Questi sono favori che non si possono dimenticare. Mi consolo sempre più d’avere intrapresa quest’opera, poichè mi offre l’opportunità di dare segni di riconoscenza a tutti quelli che mi hanno usato buone grazie. È vero che i lettori di queste memorie non hanno motivo di occuparsi delle persone che io mi fo un onore e un piacere di nominare, ma per altro non possono sapermi mal grado ch’io faccia loro conoscere uomini, che meritano di esser conosciuti. Non dimenticherò in questo capitolo la signora de la Bergerie, ed il signore e la signora Haudry suoi genitori; eglino sono nel numero delle mie prime conoscenze fatte a Parigi al mio arrivo; stavo in casa loro come se fossi stato nella mia propria; vidi nascere la loro figlia, la vidi divenire ogni giorno più bella, saggia e spiritosa. Essa ebbe la disgrazia di perdere i genitori ed un zio paterno nel più bel fiore della sua gioventù. Queste perdite trassero seco quella di una porzione dei suoi beni. Il signor de la Bergerie, giovine di una condotta poco comune, e dotato di una mente ferma e di eccellente cuore, seppe render giustizia al merito di codesta signorina; la fece chiedere, la sposò, curò i suoi affari, e gli riuscì finalmente di porla nei diritti della sua possessione di Blenau, [p. 365 modifica] soggiorno graziosissimo che io godo nell’inverno, e che non lascio, se non con rincrescimento, nell’estate. Molti de’ miei amici conoscenti si portano nella buona stagione alla campagna, ed io resto in Parigi. Anch’io andrei volentieri per alcuni giorni, ora in casa degli uni ed ora in casa degli altri, ma la poca salute di mia moglie mi impedisce di allontanarmi. Ella ha avuto in quest’anno una grave malattia, e ne è stata liberata dal suo medico il signor di Langlois. Questi è un uomo, che, indipendentemente dalla sua scienza, ha tutta quella precisione e dolce maniera, che è tanto propria a consolare e porre in calma i malati. Ma le pleuriti lasciano sempre alcune vestigia pericolose, onde non ho il coraggio di lasciarla sola. Povera donna! ha avuta ed ha tanta attenzione per me; è troppo giusto che io pure ne abbia per lei. Pertanto, quando voglio mutar aria, vado a passare qualche giorno nei contorni di Parigi, ora a Belle-Ville in casa della signora Bouchard, e della signora Legendre sua figlia: abitazione deliziosa, in cui si trovano riuniti la coltura, e tutti i diletti immaginabili della buona conversazione. Qualche volta vo a Passy, in casa della signora Alphand, o della signorina Desglands, due amabili vicine: le affabili maniere nell’una di esse e la vivacità nell’altra sono sempre nella più perfetta armonia, poichè sono ambedue dotate di mente sensata e di ottimo cuore. Vo pure a Clignancour a fare delle passeggiate nel magnifico giardino del signor Agironi; questi è un garbato Veneziano, che gode con patente del re il privilegio della vendita di un’acqua medicinale di sua invenzione. Convien dire che il suo rimedio sia buono, perchè son già vent’anni che lo spaccia a Parigi, ed ha fatto con esso una considerevole fortuna. Pel resto del tempo io conduco in città il mio solito regime di vita. M’alzo alle ore nove della mattina, fo colazione con cioccolata buonissima: la signora Toutain, in via des Arcis, me ne somministra dell’eccellente; lavoro fino a mezzogiorno, passeggio fino a due ore, amo la conversazione, ne vado in cerca, e desino spessissimo fuori, o in casa, con la conversazione che tiene mia moglie. Nel numero delle persone che la compongono vi sono la signora Farinelli e sua figlia. La madre è stata una delle primarie attrici dell’Italia, e la figlia insegna a suonare il pianoforte e la musica italiana e francese a Parigi; essa ha molte scolare, ed i suoi costumi, e il suo ingegno le fanno onore in egual modo. La signora Rinaldi è pure una delle nostre compatriotte, che qualche volta vengono a trovarci; anzi il signor Rinaldi ha voluto avere la compiacenza, a titolo d’amicizia, di essere il copista di questa mia opera. Egli è maestro di lingua italiana accreditatissimo: parecchi sono i maestri d’italiano in questa città, e per me li credo tutti eccellenti; ma questi è mio amico, io lo stimo moltissimo, e tutti coloro ai quali l’ho proposto me ne hanno ringraziato.

Quante digressioni! quante chiacchiere! Perdonate, signori miei: questa non può dirsi chiacchierata inconcludente. Mi ritrovo a Parigi, presento ai parigini persone sommamente utili, e avrei caro di poter contribuire ai vantaggi degli uni, ed alla soddisfazione degli altri.

Eccomi di nuovo al mio regime di vivere... Mi direte voi forse, che io potrei dispensarmene? avete ragione: ma ormai ho in mente tutta questa materia, ed è necessario, che esca a poco a poco; nè vi farò la grazia nemmeno d’una virgola. Dopo pranzo, a me non piace nè il lavoro nè il passeggio; qualche volta vo al teatro, e il più delle volte fo la partita fino alle nove della sera; ritorno però in casa avanti le dieci costantemente, prendo due o tre pasticche [p. 366 modifica] di cioccolata con un bicchier di vino annacquato, e questo è tutta la mia cena; sto in conversazione con mia moglie fino a mezza notte; nell’inverno andiamo a letto maritalmente, ma nell’estate dormiamo in due letti gemelli nella medesima camera. Per il solito prendo sonno subito, e passo le notti tranquillamente, mi succede bensì talvolta, come succede benissimo a chicchessia, di avere la testa occupata da qualche cosa, che mi ritarda il sonno; in questo caso ho un rimedio sicuro per dormire, ed eccolo: avevo da gran tempo fatto il disegno di comporre un vocabolario del dialetto veneziano, e ne avevo anche partecipato il pensiero al pubblico, che l’aspetta ancora. Nel lavorare intorno a quest’opera spiacevole e noiosa, osservai che ogni volta mi veniva sonno: la piantai là in un canto, e profittai solamente della sua virtù narcotica. Tutte le volte dunque che io sento il mio animo turbato da qualche causa morale, prendo a caso dalla mia lingua nativa un vocabolo qualunque, lo traduco in toscano ed in francese; passo in rassegna nella maniera medesima i vocaboli che vengono dopo per ordine alfabetico, e così son sicuro di addormentarmi alla terza o quarta versione; il mio sonnifero non fallì. Non è difficile dimostrare la causa e l’effetto di questo fenomeno; a un’idea che inquieti fa bisogno sostituirne un’altra che le sia contraria o indifferente; una volta che sia posta in calma l’agitazione dell’animo, i sensi si tranquillano, e sono dal sonno assopiti. Questo rimedio, tuttochè eccellente, non può esser utile a tutti. Un uomo per esempio, vivace troppo e sensitivo, non vi riuscirebbe; è assolutamente necessario avere il temperamento di cui la natura mi ha favorito; il mio morale è in perfetta analogia col fisico: non temo nè il caldo nè il freddo, nè mi lascio mai accendere dalla collera, o inebriare dalla gioia.