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capitolo xxxviii 365


giorno graziosissimo che io godo nell’inverno, e che non lascio, se non con rincrescimento, nell’estate. Molti de’ miei amici conoscenti si portano nella buona stagione alla campagna, ed io resto in Parigi. Anch’io andrei volentieri per alcuni giorni, ora in casa degli uni ed ora in casa degli altri, ma la poca salute di mia moglie mi impedisce di allontanarmi. Ella ha avuto in quest’anno una grave malattia, e ne è stata liberata dal suo medico il signor di Langlois. Questi è un uomo, che, indipendentemente dalla sua scienza, ha tutta quella precisione e dolce maniera, che è tanto propria a consolare e porre in calma i malati. Ma le pleuriti lasciano sempre alcune vestigia pericolose, onde non ho il coraggio di lasciarla sola. Povera donna! ha avuta ed ha tanta attenzione per me; è troppo giusto che io pure ne abbia per lei. Pertanto, quando voglio mutar aria, vado a passare qualche giorno nei contorni di Parigi, ora a Belle-Ville in casa della signora Bouchard, e della signora Legendre sua figlia: abitazione deliziosa, in cui si trovano riuniti la coltura, e tutti i diletti immaginabili della buona conversazione. Qualche volta vo a Passy, in casa della signora Alphand, o della signorina Desglands, due amabili vicine: le affabili maniere nell’una di esse e la vivacità nell’altra sono sempre nella più perfetta armonia, poichè sono ambedue dotate di mente sensata e di ottimo cuore. Vo pure a Clignancour a fare delle passeggiate nel magnifico giardino del signor Agironi; questi è un garbato Veneziano, che gode con patente del re il privilegio della vendita di un’acqua medicinale di sua invenzione. Convien dire che il suo rimedio sia buono, perchè son già vent’anni che lo spaccia a Parigi, ed ha fatto con esso una considerevole fortuna. Pel resto del tempo io conduco in città il mio solito regime di vita. M’alzo alle ore nove della mattina, fo colazione con cioccolata buonissima: la signora Toutain, in via des Arcis, me ne somministra dell’eccellente; lavoro fino a mezzogiorno, passeggio fino a due ore, amo la conversazione, ne vado in cerca, e desino spessissimo fuori, o in casa, con la conversazione che tiene mia moglie. Nel numero delle persone che la compongono vi sono la signora Farinelli e sua figlia. La madre è stata una delle primarie attrici dell’Italia, e la figlia insegna a suonare il pianoforte e la musica italiana e francese a Parigi; essa ha molte scolare, ed i suoi costumi, e il suo ingegno le fanno onore in egual modo. La signora Rinaldi è pure una delle nostre compatriotte, che qualche volta vengono a trovarci; anzi il signor Rinaldi ha voluto avere la compiacenza, a titolo d’amicizia, di essere il copista di questa mia opera. Egli è maestro di lingua italiana accreditatissimo: parecchi sono i maestri d’italiano in questa città, e per me li credo tutti eccellenti; ma questi è mio amico, io lo stimo moltissimo, e tutti coloro ai quali l’ho proposto me ne hanno ringraziato.

Quante digressioni! quante chiacchiere! Perdonate, signori miei: questa non può dirsi chiacchierata inconcludente. Mi ritrovo a Parigi, presento ai parigini persone sommamente utili, e avrei caro di poter contribuire ai vantaggi degli uni, ed alla soddisfazione degli altri.

Eccomi di nuovo al mio regime di vivere... Mi direte voi forse, che io potrei dispensarmene? avete ragione: ma ormai ho in mente tutta questa materia, ed è necessario, che esca a poco a poco; nè vi farò la grazia nemmeno d’una virgola. Dopo pranzo, a me non piace nè il lavoro nè il passeggio; qualche volta vo al teatro, e il più delle volte fo la partita fino alle nove della sera; ritorno però in casa avanti le dieci costantemente, prendo due o tre pasticche