Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXXVII
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CAPITOLO XXXVII.
- Traduzione in francese di una delle mie commedie. — Sua caduta al Teatro Italiano. — Nascita del duca di Normandia. — Nuova maniera di fare le illuminazioni. — Qualche osservazione sulle mode.
Verso la fine dell’anno 1784, nel tempo appunto che lavoravo alla seconda parte delle mie Memorie, e che facevo gli estratti delle commedie del mio teatro, uno de’ miei amici venne a parlarmi di un affare analogo al lavoro in cui ero occupato. Un letterato, che non ho avuto mai l’onore di conoscere, aveva mandato al signor Courcelle, comico del Teatro Italiano, una delle mie commedie tradotte in francese, e lo pregava di presentarmela e di farla recitare, quando però io fossi stato contento della sua traduzione, bene inteso sempre, egli diceva garbatissima mente, che tutto l’onore e il guadagno dovessero appartenere all’autore soltanto. La commedia di cui si tratta ha per titolo, Un Curioso Accidente. Se ne troverà l’estratto nella seconda parte delle mie memorie, unitamente alle notizie storiche riguardanti la sostanza di tutto il soggetto. Per dire il vero, trovai la traduzione esatta; lo stile non era fatto alla mia maniera, ma ognuno ha la sua propria. Il traduttore bensì aveva mutato il titolo in quello di Dupe de soi-même, nè mi dispiacque, onde diedi il consenso perchè fosse recitata. Nella prima lettura i comici l’accolsero con acclamazione; fu esposta l’anno seguente ed andò a terra di botto. Un passo della commedia, che era riuscito piacevolissimo in Italia, in Parigi disgustò il pubblico. Conoscendo io la delicatezza dei Francesi, avrei dovuto preveder ciò; ma siccome un Francese era quello che ne avea fatta la traduzione, ed i comici stessi l’avevano trovata dilettevole e graziosa, mi son lasciato guidare. Mi sarei forse avveduto del pericolo, quando avessi potuto assistere alle prove in persona, ma ero malato, ed i comici avevano grandissima furia di esporla prontamente. Alla prima recita erano stati da me dispensati vari biglietti tanto per l’anfiteatro come per la platea. Nessuno venne a darmene le nuove a casa: cattivo segno. Con tutto questo me ne andai a dormire, senza informarmi dell’avvenuto; e fu soltanto il mio parrucchiere, che con le lacrime agli occhi, il giorno appresso, m’informò della solenne caduta della commedia, e siccome stavo in quel giorno molto meglio di salute, desinai con buonissimo appetito. Avvezzo da gran tempo ad avvenimenti ora buoni ora cattivi, sapevo render giustizia al pubblico, senza il sacrifizio della mia tranquillità. Il maggior dispiacere era quello di non vedere da me più nessuno, e che veruno mandasse più a prender nuove della mia convalescenza. Scrissi a’ miei amici per sapere, se la mia commedia fosse stata causa del loro adiramento; ma all’opposto non ardivano di manifestare alla mia presenza il loro dispiacere, per un eccesso d’amicizia e di tenerezza. Finalmente ci vedemmo, e toccò a me l’ufficio di consolatore.
Le allegrezze pubbliche mi fecero tosto abbandonare la camera, e mi ristorarono di tutti gli incomodi della malattia e dei disgusti sofferti. La regina era per dare allo Stato un nuovo principe. Di fatto il 27 marzo 1786 venne felicemente alla luce il duca di Normandia. In tale occasione furonò fatte in Parigi illuminazioni secondo il solito, ma vi furono dei privati ricchi che in quest’occasione si segnalarono in una maniera nobile e totalmente nuova. Le facciate dei loro palazzi erano da cima a fondo ornate di nuovi disegni, riccamente e maestrevolmente illuminate. Non è possibile vedere decorazioni più splendide e più maravigliose di queste. E sperabile che in Parigi questo nuovo gusto sarà continuato, e che ciascuno in proporzione delle sue forze vorrà avere d’ora in poi un’illuminazione alla moda. La moda appunto è sempre stata il primo impulso dei Francesi. Eglino infatti son quelli che danno norma all’Europa tutta in genere di spettacoli, decorazioni, abiti, acconciature, gioie e in ogni specie di adornamenti; da pertutto si cerca d’imitare i Francesi. In principio di ogni stagione si vede in Venezia in Merceria un fantoccio abbigliato di tutto punto, chiamato la Piavola di Francia. Questo è il prototipo, a cui le donne si uniformano, ed è bella ogni stravaganza, purchè si parta da questo originale. Le Veneziane amano variare come le Francesi; i sarti, le sarte, i mercanti di mode ne profittano, e quand’anche la Francia non somministri mode a sufficienza, gli operai di Venezia hanno la furberia di far qualche variazioncella alla bambola francese, e far passare le loro invenzioni per idee oltramontane.
Allorquando in Venezia esposi la mia commedia, intitolata Le Smanie della Villeggiatura, parlai molto di un abbigliamento da donna, chiamato allora il mariage; esso era una veste di stoffa liscia, con una semplice guarnizione di due nastri di diverso colore, ed era la Piavola che ne aveva dato il modello. Arrivato in Francia feci ricerca, se questa moda esistesse sempre: nessuno ne aveva notizia e non era esistita mai, anzi si trovava ridicola, e si burlavano di me. Ebbi lo stesso dispiacere parlando anche delle vesti alla polacca, che nel momento della mia partenza le donne tutte d’Italia aveano adottate; ma dodici anni dopo vidi apparire le polacche a Parigi, come una novità graziosissima. In fatto di abbigliamenti, la moda ha avuto un lungo interregno in Francia; ma presentemente ha ripreso il suo antico impero. Quanti cambiamenti in pochissimo tempo! polacche, levite, guscini, vesti all’inglese, camicette, pierrots, vesti alla turca, cappelli di cento maniere, berretti da non si definire, pettinature!... Questa parte di acconciamento della donna, così essenziale per dar rilievo alla loro grazia ed alla loro bellezza, era arrivata, qualche tempo fa, all’apice della sua perfezione. Ma oggidì, ne chiedo scusa alle signore, è agli occhi miei insopportabile. Quei capelli arruffati, e quei fintini che cascano sulle ciglia, son così svantaggiosi al viso, che dovrebbero guardarsi dall’usarli. Le donne fanno malissimo a secondare la moda anche nella pettinatura; ognuna dovrebbe consultare il proprio specchio, esaminare i suoi lineamenti, ed adattare all’indole della propria fisonomia l’acconciatura dei suoi capelli, guidando da sè stessa la mano del parrucchiere. Ma prima che escano dal torchio le presenti Memorie, si vedranno forse variate le acconciature delle donne e molte altre mode cambiate; sarà, per esempio, diminuita l’eccedente grandezza dei ricci, e ritagliata la tesa dei cappelli, si darà più nobiltà agli abiti da donna, e si faranno un pochetto più ampli i calzoni degli uomini.