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366 parte terza


di cioccolata con un bicchier di vino annacquato, e questo è tutta la mia cena; sto in conversazione con mia moglie fino a mezza notte; nell’inverno andiamo a letto maritalmente, ma nell’estate dormiamo in due letti gemelli nella medesima camera. Per il solito prendo sonno subito, e passo le notti tranquillamente, mi succede bensì talvolta, come succede benissimo a chicchessia, di avere la testa occupata da qualche cosa, che mi ritarda il sonno; in questo caso ho un rimedio sicuro per dormire, ed eccolo: avevo da gran tempo fatto il disegno di comporre un vocabolario del dialetto veneziano, e ne avevo anche partecipato il pensiero al pubblico, che l’aspetta ancora. Nel lavorare intorno a quest’opera spiacevole e noiosa, osservai che ogni volta mi veniva sonno: la piantai là in un canto, e profittai solamente della sua virtù narcotica. Tutte le volte dunque che io sento il mio animo turbato da qualche causa morale, prendo a caso dalla mia lingua nativa un vocabolo qualunque, lo traduco in toscano ed in francese; passo in rassegna nella maniera medesima i vocaboli che vengono dopo per ordine alfabetico, e così son sicuro di addormentarmi alla terza o quarta versione; il mio sonnifero non fallì. Non è difficile dimostrare la causa e l’effetto di questo fenomeno; a un’idea che inquieti fa bisogno sostituirne un’altra che le sia contraria o indifferente; una volta che sia posta in calma l’agitazione dell’animo, i sensi si tranquillano, e sono dal sonno assopiti. Questo rimedio, tuttochè eccellente, non può esser utile a tutti. Un uomo per esempio, vivace troppo e sensitivo, non vi riuscirebbe; è assolutamente necessario avere il temperamento di cui la natura mi ha favorito; il mio morale è in perfetta analogia col fisico: non temo nè il caldo nè il freddo, nè mi lascio mai accendere dalla collera, o inebriare dalla gioia.

CAPITOLO XXXIX.

Arrivo a Parigi dal cavalier Cappello ambasciatore di Venezia. — Alcune parole sopra il nuovo porto di Cherbourg. — Nuova recita del mio Burbero benefico a Versailles. — Dimissione di quattro attori della Commedia Francese. — Commedie date su quel teatro negli ultimi tempi. — Altre composizioni esposte su quello della Commedia Italiana.

Avvicinandomi al termine delle mie Memorie incontro soggetti sempre più piacevoli a trattarsi. Il signor cavaliere Cappello, ambasciatore di Venezia a questa corte, arrivò a Parigi nel mese di dicembre del 1785. Questi è il settimo ministro della mia nazione, ch’io vedo in Francia. Ho conosciuto tutti gli altri, non ho mancato mai di rivederli, e di visitarli, tutti hanno avuto molta bontà per me; ma questo poi al primo vedermi mi ha accolto in modo sì gentile, affettuoso e particolare, che mi son sentito rapire dalla gioia, dal rispetto, e dalla gratitudine. In Venezia non avevo mai avuto l’onore di conoscerlo, quantunque conoscessi benissimo la famiglia Cappello, che è una delle più antiche e delle più rispettabili della Repubblica: ma il signor cavaliere era troppo giovine, quando lasciai il paese, e questa è una ragione di più che accresce la mia maraviglia nel trovare in questo patrizio uno dei più caldi miei protettori. Non starò qui a farne l’elogio; conosco che la sua modestia non lo soffrirebbe; e poi se egli è saggio e giusto, adempie ai doveri dell’uomo; se egli è grande, cortese, generoso, sod-