Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXXVI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte terza - XXXV | Parte terza - XXXVII | ► |
CAPITOLO XXXVI.
- Didone, tragedia lirica in tre atti. — Nuovo genere di drammi, esposto sul teatro dell’Opera di Parigi. — Il Barbiere di Siviglia ed il Matrimonio di Figaro al Teatro francese. — Alcune parole sopra altri autori, e sopra persone di mia conoscenza.
Nell’anno 1783 si rappresentò a Parigi per la prima volta l’opera di Didone, parole del signor Marmontel, musica del signor Piccini. Questa composizione è, a parer mio, il capolavoro dell’uno e il trionfo dell’altro. Non vi è difatti dramma in musica, che più di questo si approssimi alla vera tragedia. In esso il signor Marmontel non ha imitato alcuno, si è reso padrone della favola, e le diede tutta la regolarità e la verosimiglianza di cui un’opera è capace. Dicono alcuni: il signor Marmontel ha lavorato il suo dramma sul modello del Metastasio; ma sono in errore. La Didone è stata il primo lavoro del poeta italiano, ed in realtà vi si riconosce un genio sublime, ma vi si scorgono altresì gli sbalzi che son propri della fervidezza giovanile; onde l’autore francese non sarebbe troppo felicemente riuscito nel suo lavoro, quando avesse proposto a sè stesso un tale modello. Il signor Piccini, dopo aver molto faticato sopra composizioni sguaiate, trovò finalmente in questo da poter fare spiccare il suo ingegno, e seppe trarne profitto. La signora Saint-Hubert, attrice abile quanto brava cantante, sostenne egregiamente la parte di Didone, di che questa composizione è con ragione riguardata come un monumento prezioso dell’Opera francese.
Era già qualche anno, che questo bello spettacolo aveva perduto molto del suo antico splendore, ma si è valorosamente sostenuto, dacchè è stata presa la risoluzione di moltiplicare le rappresentazioni. Tempo fa l’Opera, buona o cattiva che fosse, si esponeva per tre o quattro mesi di séguito; perciò gli spettatori diminuivano giornalmente; ma adesso la platea è sempre piena, e si dura fatica a trovar palchetti per tutto l’anno. Quello ancora che contribuì molto alla buona riuscita di questo spettacolo, fu un genere di drammi del tutto nuovo che vi si introdusse, e che potrebbero chiamarsi opere buffe decorate. Colinetta alla Corte, L’Imbarazzo delle ricchezze, Panurgo nell’isola delle Lanterne, come pure molti altri, non sono in sostanza che abbozzi di commedie, prive d’ogni intreccio e di affetti, ed il dialogo delle quali non dà tempo bastante per isvolgerne il soggetto. Ma una graziosa musica, balli bellissimi, decorazioni magnifiche, dànno pregio all’insieme, e recano piacere al pubblico. Può veramente dirsi in tal caso, che la salsa val più del pesce. Io non intendo per questo di diminuire il merito di quegli autori, ai quali è piaciuto di occuparsi di bagattelle simili, poichè essi dovettero conformarsi alla singolarità dell’opere loro richieste; è riuscito a loro di ben disporre tutte le altre parti dello spettacolo che ne formavano l’oggetto principale, e, per vero dire, sembra che il pubblico ne rimanesse molto soddisfatto. Questo pubblico, che generalmente accusasi di essere tanto difficile e tanto rigido, è talvolta più indulgente e docile di quello che non si crede purchè gli vengano presentate le cose per quello che sono, senza orgoglio o pretensione. Egli allora applaude ai pezzi che lo divertono, nè va poi scrutinando il fondo del soggetto. Il maggiore incontro però fu riportato al Teatro francese dalla commedia intitolata il Matrimonio di Figaro, perchè l’autore aveva fatto precedere a questo titolo l’altro della Folle Giornata. Nessuno conosce meglio del signor Beaumarchais i difetti della sua composizione. A lui è piaciuto dar prova del suo valore in questo genere, e se avesse avuto volontà di fare del suo Figaro una commedia con le regole dell’arte, l’avrebbe fatta per certo al pari di chi si sia; ma egli altro non ha avuto in mira, che di rallegrare il pubblico, e vi è riuscito perfettamente. Il successo di questa commedia è stato straordinario in tutto. Ai teatri comici di Parigi si danno regolarmente due o tre rappresentazioni per giorno; il solo Figaro riempiva tutto il tempo dello spettacolo; faceva correre in folla il pubblico due o tre ore avanti l’alzarsi del sipario, e lo tratteneva tre quarti d’ora più tardi del solito, senza recargli la menoma noia; eccolo insomma alla sua ottantesima sesta rappresentazione, sempre nuovo, sempre applaudito; e ciò che havvi di più singolare si è che quelle stesse persone, che lo criticano nell’uscire dal teatro, non lasciano però di ritornarvi, e si dilettano di quello ch’era appunto stato l’oggetto delle loro critiche. Pochi anni avanti il signor Beaumarchais aveva esposto una commedia col titolo il Barbiere di Siviglia, onde quel medesimo spagnuolo, che portava il nome di Figaro, somministrò il soggetto della Folle Giornata. La prima di queste due opere piacque molto, e riscosse sommi applausi. L’autore avendo allora avuto un processo, aveva difesa la causa da sè stesso. Le sue difese erano vivaci, ingegnose, bene scritte, si leggevano universalmente, e formavano ovunque il soggetto principale delle più eleganti conversazioni: ebbe l’accorgimento d’inserire nel Barbiere di Siviglia alcuni aneddoti in maschera, che richiamavano alla memoria il sopradetto processo, e ponevano altamente in ridicolo i suoi avversari; tutto ciò contribuì infinitamente al fortunato successo della commedia. Nell’altra poi del Matrimonio di Figaro non vi erano sarcasmi diretti ai particolari, ma ve n’erano per chiunque in generale; con tutto questo nessuno poteva lagnarsi. Le critiche andavano unicamente a ferire i vizi e le ridicolezze che ovunque s’incontrano. Tanto peggio per chi vi riconosce il proprio ritratto! Tutti quanti gli intelligenti e i dilettanti della buona commedia, facevano risuonare da per tutto i loro lamenti contro quest’opere, che a parere loro, conducevano il teatro francese nell’avvilimento; scorgevano essi una specie di fanatismo, ond’erano presi i loro compatriotti, e temevano che la malattia potesse diventare contagiosa. L’esperienza però fece lor vedere il contrario. Furono esposte nel tempo medesimo al Teatro francese varie nuove produzioni, che ebbero tutto il buon successo di cui erano meritevoli. Il Coriolano, per esempio, del signor de la Harpe, Il seduttore del signor Georges de Bièvre, Le confessioni difficili, e La falsa spiritosa del signor Vige. Quest’ultimo autore ha ricevuti anche incoraggiamenti dal pubblico medesimo. I primi saggi del suo ingegno sono stati trovati di ottimo gusto, e di uno stile ottimo: si ha dunque ragione di sperare in lui un sostegno della buona commedia.
Io m’affezionava molto a questo giovine autore, poichè ho l’onore di conoscerlo particolarmente. Egli è il fratello della signora le Brun dell’Accademia reale di Pittura, le opere della quale fanno così grande onore al suo sesso, al suo paese ed al nostro secolo. Egli è il genero del signor Rivière, consigliere e segretario di legazione della corte di Sassonia, ed è il consorte di una dama, che vidi nascere, piena di virtù e d’ingegno, i quali attestano la saggia educazione di una genitrice incomparabile, di una madre di nove figli, tra i quali non ve n’è uno che non corrisponda alle cure della vigilanza di lei, e non prometta di essere la consolazione dei suoi genitori. Ho fatto questa fortunata conoscenza dalla signora Bertinazzi, vedova del signor Carlin. Frequentavo questa casa, vivente il marito, e non l’ho abbandonata anche dopo la morte di lui. Non si può trovare persona più amabile della signora Carlin; molto ingegno, molta vivacità, sempre eguale, sempre garbata, sempre cortese. La sua conversazione non è numerosa, ma bene scelta, i suoi antichi amici sono sempre i medesimi, ella ama il giuoco come me, è brava giuocatrice, ed io procuro d’imitarla. Non vi è giuoco, che più di quello detto il Rovescino sia capace di mettere in convulsione i giuocatori più flemmatici: la signora Carlin è molto vivace e non può contenersi più di un altro, ma è tanto graziosa nei suoi impeti, e condisce di tanta dolcezza i suoi rimproveri, che si può dir bella nella collera.