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capitolo xxxvii | 361 |
cazione di una genitrice incomparabile, di una madre di nove figli, tra i quali non ve n’è uno che non corrisponda alle cure della vigilanza di lei, e non prometta di essere la consolazione dei suoi genitori. Ho fatto questa fortunata conoscenza dalla signora Bertinazzi, vedova del signor Carlin. Frequentavo questa casa, vivente il marito, e non l’ho abbandonata anche dopo la morte di lui. Non si può trovare persona più amabile della signora Carlin; molto ingegno, molta vivacità, sempre eguale, sempre garbata, sempre cortese. La sua conversazione non è numerosa, ma bene scelta, i suoi antichi amici sono sempre i medesimi, ella ama il giuoco come me, è brava giuocatrice, ed io procuro d’imitarla. Non vi è giuoco, che più di quello detto il Rovescino sia capace di mettere in convulsione i giuocatori più flemmatici: la signora Carlin è molto vivace e non può contenersi più di un altro, ma è tanto graziosa nei suoi impeti, e condisce di tanta dolcezza i suoi rimproveri, che si può dir bella nella collera.
CAPITOLO XXXVII.
- Traduzione in francese di una delle mie commedie. — Sua caduta al Teatro Italiano. — Nascita del duca di Normandia. — Nuova maniera di fare le illuminazioni. — Qualche osservazione sulle mode.
Verso la fine dell’anno 1784, nel tempo appunto che lavoravo alla seconda parte delle mie Memorie, e che facevo gli estratti delle commedie del mio teatro, uno de’ miei amici venne a parlarmi di un affare analogo al lavoro in cui ero occupato. Un letterato, che non ho avuto mai l’onore di conoscere, aveva mandato al signor Courcelle, comico del Teatro Italiano, una delle mie commedie tradotte in francese, e lo pregava di presentarmela e di farla recitare, quando però io fossi stato contento della sua traduzione, bene inteso sempre, egli diceva garbatissima mente, che tutto l’onore e il guadagno dovessero appartenere all’autore soltanto. La commedia di cui si tratta ha per titolo, Un Curioso Accidente. Se ne troverà l’estratto nella seconda parte delle mie memorie, unitamente alle notizie storiche riguardanti la sostanza di tutto il soggetto. Per dire il vero, trovai la traduzione esatta; lo stile non era fatto alla mia maniera, ma ognuno ha la sua propria. Il traduttore bensì aveva mutato il titolo in quello di Dupe de soi-même, nè mi dispiacque, onde diedi il consenso perchè fosse recitata. Nella prima lettura i comici l’accolsero con acclamazione; fu esposta l’anno seguente ed andò a terra di botto. Un passo della commedia, che era riuscito piacevolissimo in Italia, in Parigi disgustò il pubblico. Conoscendo io la delicatezza dei Francesi, avrei dovuto preveder ciò; ma siccome un Francese era quello che ne avea fatta la traduzione, ed i comici stessi l’avevano trovata dilettevole e graziosa, mi son lasciato guidare. Mi sarei forse avveduto del pericolo, quando avessi potuto assistere alle prove in persona, ma ero malato, ed i comici avevano grandissima furia di esporla prontamente. Alla prima recita erano stati da me dispensati vari biglietti tanto per l’anfiteatro come per la platea. Nessuno venne a darmene le nuove a casa: cattivo segno. Con tutto questo me ne andai a dormire, senza informarmi dell’avvenuto; e fu soltanto il mio parrucchiere, che con le lacrime agli occhi, il giorno appresso, m’informò della solenne