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capitolo xxxvi 359

CAPITOLO XXXVI.

Didone, tragedia lirica in tre atti. — Nuovo genere di drammi, esposto sul teatro dell’Opera di Parigi. — Il Barbiere di Siviglia ed il Matrimonio di Figaro al Teatro francese. — Alcune parole sopra altri autori, e sopra persone di mia conoscenza.

Nell’anno 1783 si rappresentò a Parigi per la prima volta l’opera di Didone, parole del signor Marmontel, musica del signor Piccini. Questa composizione è, a parer mio, il capolavoro dell’uno e il trionfo dell’altro. Non vi è difatti dramma in musica, che più di questo si approssimi alla vera tragedia. In esso il signor Marmontel non ha imitato alcuno, si è reso padrone della favola, e le diede tutta la regolarità e la verosimiglianza di cui un’opera è capace. Dicono alcuni: il signor Marmontel ha lavorato il suo dramma sul modello del Metastasio; ma sono in errore. La Didone è stata il primo lavoro del poeta italiano, ed in realtà vi si riconosce un genio sublime, ma vi si scorgono altresì gli sbalzi che son propri della fervidezza giovanile; onde l’autore francese non sarebbe troppo felicemente riuscito nel suo lavoro, quando avesse proposto a sè stesso un tale modello. Il signor Piccini, dopo aver molto faticato sopra composizioni sguaiate, trovò finalmente in questo da poter fare spiccare il suo ingegno, e seppe trarne profitto. La signora Saint-Hubert, attrice abile quanto brava cantante, sostenne egregiamente la parte di Didone, di che questa composizione è con ragione riguardata come un monumento prezioso dell’Opera francese.

Era già qualche anno, che questo bello spettacolo aveva perduto molto del suo antico splendore, ma si è valorosamente sostenuto, dacchè è stata presa la risoluzione di moltiplicare le rappresentazioni. Tempo fa l’Opera, buona o cattiva che fosse, si esponeva per tre o quattro mesi di séguito; perciò gli spettatori diminuivano giornalmente; ma adesso la platea è sempre piena, e si dura fatica a trovar palchetti per tutto l’anno. Quello ancora che contribuì molto alla buona riuscita di questo spettacolo, fu un genere di drammi del tutto nuovo che vi si introdusse, e che potrebbero chiamarsi opere buffe decorate. Colinetta alla Corte, L’Imbarazzo delle ricchezze, Panurgo nell’isola delle Lanterne, come pure molti altri, non sono in sostanza che abbozzi di commedie, prive d’ogni intreccio e di affetti, ed il dialogo delle quali non dà tempo bastante per isvolgerne il soggetto. Ma una graziosa musica, balli bellissimi, decorazioni magnifiche, dànno pregio all’insieme, e recano piacere al pubblico. Può veramente dirsi in tal caso, che la salsa val più del pesce. Io non intendo per questo di diminuire il merito di quegli autori, ai quali è piaciuto di occuparsi di bagattelle simili, poichè essi dovettero conformarsi alla singolarità dell’opere loro richieste; è riuscito a loro di ben disporre tutte le altre parti dello spettacolo che ne formavano l’oggetto principale, e, per vero dire, sembra che il pubblico ne rimanesse molto soddisfatto. Questo pubblico, che generalmente accusasi di essere tanto difficile e tanto rigido, è talvolta più indulgente e docile di quello che non si crede purchè gli vengano presentate le cose per quello che sono, senza orgoglio o pretensione. Egli allora applaude ai pezzi che lo divertono, nè va poi scrutinando il fondo del soggetto. Il maggiore