Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXVIII

XXVIII

../XXVII ../XXIX IncludiIntestazione 4 dicembre 2019 100% Da definire

Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
XXVIII
Parte terza - XXVII Parte terza - XXIX

[p. 338 modifica]

CAPITOLO XXVIII.

Il salone dei quadri. — Alcune parole sulle Accademie e le Società Reali di Parigi. — Il Liceo. — Il Museo della via Delfina. — Arrivo in questa città del signor di Voltaire. — Sua morte.

Ho già fatta parola degli spettacoli di Parigi, ma non ho ancora detto nulla del salone del Louvre, che, a dire il vero, è uno spettacolo per gl’intelligenti, e per chi ha gusto per i capolavori. Ogni biennio i pittori e scultori dell’Accademia reale vi espongono le opere da loro compiute in questo spazio di tempo. La quantità prodigiosa dei quadri che vi si vedono, è una prova dell’immenso numero degli artisti; come l’affluenza grande del popolo che vi s’incontra per l’intero corso di un mese, dimostra il buon gusto, o almeno la curiosità del pubblico. Questo salone è della maggiore utilità per i progressi dell’arte. Chi lavora per un particolare, altro non cerca, che di piacere a lui; ma chi espone le sue opere al pubblico, deve sempre far di tutto per piacere a chicchessia. Allorquando il catalogo dei quadri e delle statue è in vendita, compariscono le critiche quasi nel tempo medesimo; dimodochè sembra che [p. 339 modifica] gli scrittori abbiano seguitato passo passo gli artisti fino nei loro stessi studii. I fogli periodici ne parlano con decenza, ma gl’invidiosi li condannano, ed i maligni li lacerano. Il pubblico cólto per altro non sta alle opinioni altrui, ognuno ha la sua maniera di vedere; gli uni trovano buono ciò che gli altri han trovato cattivo, e così ne risulta più bene che male. Gli uomini grandi sono conosciuti, ed i mediocri guadagnano partigiani. Il ricco vuole avere nel suo gabinetto i quadri del pittore che più d’ogn’altro si è reso chiaro, e il dilettante meno facoltoso si contenta della mediocrità. Vi sono poi persone, che fanno lavorare i pittori e gli scultori a solo fine di vedere stampato il proprio nome nel catalogo: questo quadro è fatto per conto del signor tale; questo busto è stato scolpito per la signora tale. Vi sono anche taluni altri, che si fan ritrattare pel piacere di porre in mostra nel Salone le loro fattezze. Quello dell’anno 1779, di cui ora parlo, era il secondo, che avevo veduto dal giorno del mio arrivo in Francia. Benchè io non sia gran dilettante di quadri, e molto meno intelligente, ne parlo qui, perchè così richiede l’opportunità, e senza metterci del mio; ne parlo come quegli che ha assunto l’impegno di parlare di tutto. Nell’istessa maniera dirò per incidenza il mio sentimento anche sulle altre accademie reali, e sopra altri stabilimenti che fanno onore alla Francia. Fra quelle l’Accademia francese è la prima per il tempo della sua fondazione, ed ha sempre conservato il suo posto. La sua istituzione è stata utilissima per ben determinare la lingua della nazione, il dizionario della quale è il codice che conviene consultare. I quaranta seggi di codesta rispettabile assemblea formano oggidì altrettanti posti di ricompensa, e tutti quelli che si son resi illustri nella letteratura e nelle scienze, sono ammessi al concorso, nè vi ha distinzione alcuna per il duca, il pari, il particolare, non ricercandosi altro requisito, fuorchè quello della probità dei costumi e dell’ingegno. Quegli che deve essere ammesso, fa il suo ingresso in un’adunanza pubblica, e vi recita il suo discorso di ringraziamento. Risponde al medesimo, in nome dell’assemblea il presidente in carica, e questa è l’occasione, nella quale fanno ambedue valere il loro ingegno. Queste composizioni ordinariamente fanno onore al corpo, non meno che ai membri componenti la Società accademica. Con tutto questo si trova qualche persona mal disposta, che va dicendo, che quest’accademia è inutile; quello però che ho detto, prova il contrario. Essa infatti decreta la corona al merito, ed incoraggisce gli ingegni a rendersene degni.

Nell’Accademia delle Scienze si lavora per il bene pubblico, laddove in quella delle Belle Lettere si ha in mira unicamente l’erudizione. Se si fa qualche scoperta nella capitale o in provincia, l’Accademia delle Scienze è quella che ne giudica; se essa la rigetta, non se ne parla più, e se essa l’approva, l’autore ne trae profitto, e il pubblico può star sicuro di non essere ingannato. Tutte le Memorie che escono da quest’Accademia, sono per la società intiera un prezioso monumento. I suoi membri sono in corrispondenza con i dotti di tutta Europa, e le cognizioni che di mano in mano si acquistano in un emisfero, si diffondono con sommo vantaggio nell’altro. Può dunque dirsi, che quanto quest’Accademia è utile ai bisogni e ai comodi della vita, altrettanto quella delle Belle Lettere è vantaggiosa ai piaceri intellettuali; si coltivano in essa con ardore le belle arti, vi s’illustrano i monumenti antichi, vi si spiegano le difficili iscrizioni, si pongono in chiaro i più astrusi punti di critica. Uno dei membri della società di cui parlo, è il signor [p. 340 modifica] Bartoli, nato in Padova, ed antiquario del re di Sardegna. Quest’uomo, stimabile per la vastità della sua erudizione e delle sue cognizioni, ha fissato in Francia il suo soggiorno, non lasciando però mai di occuparsi dell’onor patrio, e di viepiù illustrare l’italiana letteratura. L’Accademia reale di Chirurgia poi è anche più utile dell’altre. Già da gran tempo i Francesi primeggiano in quest’arte sì necessaria all’umanità, ed è appunto in questa società che sotto maestri abilissimi e dottissimi si fanno i migliori allievi. Le sue Memorie periodiche sono abbastanza note, sono tradotte, sono studiate dovunque, ed oltre a ciò contengono scoperte importanti intorno a varie malattie e rimedii, come pure molte altre felicissime invenzioni in genere di strumenti e nuovi metodi, per rendere più semplici le operazioni. Verso il fine dell’ultimo regno fu eretto un edifizio vastissimo e comodissimo per la scuola di Chirurgia. Questo edifizio, abbellisce la città, e fa onore all’architetto che ne concepì il disegno, e ne ha presieduto la esecuzione. L’Architettura pura è eretta in accademia reale. Quest’arte assai più utile della Pittura e della Scultura, non ha fatto in Francia i progressi maravigliosi delle altre due. La galleria ed il peristilio del Louvre sono monumenti antichi, che non sono stati imitati dagli artisti moderni; la chiesa degl’Invalidi soltanto si avvicina più di ogni altra fabbrica alla bellezza e alla magnificenza di quelle d’Italia. Attualmente in Parigi non si fa altro che fabbricare, potendosi dire, che le nuove strade che si sono aperte, ed i nuovi edifizi che si sono costruiti da venti anni a questa parte, sarebbero più che sufficienti a formare una città di provincia considerevolissima. Si vede però qualche mutazione nelle idee e nel gusto dei moderni architetti. Quanto all’interno delle case non vi è a desiderare di più, trovandosi tutte le comodità immaginabili; riguardo poi all’esterno, havvi ancora troppa distanza dalla maniera del Palladio e del Sansovino. Conviene sperare che gli architetti sian per arrivare alla perfezione nel modo stesso, che vi sono giunti i pittori e scultori loro compatrioti: frattanto io sono contentissimo di aver veduto a mio tempo andare in disuso i tetti alla mansarde. Tutto si perfeziona di giorno in giorno in Parigi; vi è incoraggiamento per gl’ingegni di ogni specie, e per gli esteri ancora.

Nel 1785 l’Accademia delle Belle Lettere propose una medaglia d’oro di cinquecento lire tornesi per chi avesse dimostrato in un modo soddisfacente qual fosse il commercio dei Romani dopo la prima guerra punica, fino all’innalzamento al trono di Costantino. Questa società letteraria, non trovando nel primo anno alcuna composizione che meritasse approvazione, propose di nuovo l’anno dopo, e con doppio premio, l’istesso tema. Le due medaglie furono conferite al signor Francesco Mengotti. Questo giovine veneziano adempì all’impegno con tanta scienza, dottrina e precisione, che il suo scritto fu ammesso al concorso e coronato.

È stata parimente fondata, non è gran tempo, una scuola reale e gratuita di Disegno, nella quale i giovani inclinati ai lavori meccanici possono istruirsi nelle cognizioni a loro necessarie; vi imparano ad usar bene la matita; e in quest’esercizio scorge talvolta nell’operaio un genio non ordinario che lo fa divenire artista. Havvi una Società reale d’Agricoltura, ed un uffizio accademico di Scrittura. Insomma si trovano in Parigi riuniti tutti gli aiuti immaginabili per ogni arte e scienza; ed ecco per ciò dei vantaggi per l’industria e una vasta ricchezza per lo Stato. Fu anche stabilita nel 1776 una Società reale di Medicina, composta dei medici della [p. 341 modifica] corte, di una parte di quelli delle Facoltà, e d’altri medici forestieri. Questa Società tiene essa pure le sue adunanze private e pubbliche, e non ha niente che fare col corpo dei dottori reggenti, e molto meno con l’Università di Parigi.

Quest’Università, qualificata col titolo di Fille ainée del re, occupa e per la sua antichità e pel suo ufficio il primo posto tra gli stabilimenti del regno, ed è quella appunto che somministra tanto alla Chiesa come allo Stato uomini capaci di occupare cariche ragguardevoli. Essa è composta delle quattro facoltà, di Teologia, di Legge, Arti, e Medicina. Questi quattro corpi esercitano le loro funzioni separatamente ed in luoghi differenti, riunendosi bensì tutti, quando le occasioni lo esigono, al collegio di Luigi il Grande, ove l’Università tiene le sue sedute, ha il suo tribunale, e dove appunto i diversi collegi mandano i loro convittori ed allievi a ricevere la ricompensa dovuta ai loro meriti. In Parigi i collegi e i convitti sono innumerevoli. È vero che la gioventù talvolta n’esce senza avere acquistato nè scienza, nè costumi. Ma la colpa è forse dell’educazione? io non lo credo. Chi ha fatto cattiva riuscita in una comunità, l’avrebbe fatta anco peggiore, se fosse stato educato in casa propria. I cattivi caratteri sono gl’istessi per tutto, con questa differenza però, che sotto la disciplina d’un direttore sono almeno costretti a frenarsi, laddove nelle proprie case le madri specialmente son quelle che li guastano. Tra questi utili stabilimenti tiene onore voi posto il Liceo situato accanto al Palazzo Reale. Non è instituito dal governo, ma da una società di rispettabili cittadini che lo fondarono e lo mantengono, e che con una discretissima spesa offrono al pubblico comodità d’istruirsi nelle scienze e nelle belle arti. Vi è altresì il Museo in via dell’Observance, vicino ai Francescani, al quale presiede il signor marchese di Gouffier, e dove si aduna un numero di soci, le cui sedute sono utilissime e piacevolissime.

Fu appunto in una di queste adunanze che io vidi ed ammirai il signor Talassi ferrarese, uno di quei maravigliosi ingegni che, sopra qualunque soggetto che gli sia proposto, dicono all’improvviso, cantando, cento versi o strofe, senza mai commettere un fallo, così nella rima, come nel senso. In Italia gli improvvisatori non son rari, ma ve ne sono dei buoni e dei cattivi, e fra tutti quelli che son venuti a Parigi a tempo mio, il signor Talassi è certamente il migliore.

Terminerò questo capitolo col racconto di un avvenimento che dee importare ai letterati, e che è costato un dispiacer sommo alla Francia e all’Europa intiera. Verso il fine dell’anno 1778 venne a riveder la patria il signor Voltaire, e vi fu accolto con acclamazione. Tutti volevano vederlo; felici quelli che potevano parlargli. Io fui di questo numero. Troppe erano le obbligazioni che gli professavo, per non affrettarmi a tributargli personalmente il mio omaggio, e attestargli la mia riconoscenza. È già nota la sua lettera al marchese Albergati senatore di Bologna. Il Voltaire era l’uomo del secolo, perciò non durai gran fatica ad acquistarmi, sotto i suoi auspicii, una reputazione in Francia. Non starò a far l’elogio di quest’uomo celebre. Egli è già troppo noto, e generalmente stimato. Il suo genio altrettanto fecondo quanto istruttivo e splendido, comprendeva tutte le classi della scienza e della letteratura; aveva inoltre uno stile originale, che egli sapeva appropriare alle differenti materie, dando nobiltà al brio, e grazia al serio. Insomma il signor Voltaire fu per qualche mese la delizia di Parigi. Soggetto però ad una abituale malattia, che avrebbe forse potuto [p. 342 modifica] sostenere lungo tempo nella tranquillità del suo pacifico soggiorno di Ferney, altro non fece che accrescerla nel tumulto di Parigi, finchè questa poi con grande cordoglio de’ suoi amici, de’ suoi concittadini, e de’ suoi ammiratori troncò il filo dei suoi giorni. Ohimè! il dulcis amor patriæ l’aveva sedotto, e la filosofia cedette alla natura.