Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXVII
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CAPITOLO XXVII.
- Nascita del duca di Berry, figlia del conte di Artois. — Nascita di Maria Teresa Carlotta di Francia, Madama, figlia del re. — Alcune parole sull’ultima guerra, sulla marina e sulle finanze. — Rolando, opera in musica del signor Piccini. — Il presente capitolo è interrotto da una indisposizione, alla quale io son soggetto. — Singolarità di quest’incomodo. — Saggia condotta del mio medico nel curarmi, e sollievo che ne ottenni.
Nel mese di gennaio 1778 alla corte e alla città vi furono feste per la nascita del duca di Berry, figlio di monsignore il conte d’Artois. Ma qual fu poi il giubilo dei Francesi, allorquando nell’istesso anno si manifestò la gravidanza della regina! Essa diede alla luce nel mese di dicembre una principessa, alla quale fu immediatamente posto nome Maria Teresa Carlotta di Francia, col titolo di Madama, figlia del re. Questo primo frutto del matrimonio del re fu riguardata come il precursore del Delfino che attendevasi con impazienza, e che al termine di tre anni venne ad appagare i voti dei Francesi. Le feste date in quest’occasione, come pure in quella della convalescenza della regina, furono proporzionate alle condizioni del tempo. La Francia era allora impegnata in una guerra, che non aveva suscitata, ma che conveniva sostenere per l’onore della nazione. Io non starò qui ad entrare nei particolari della rottura fra gl’inglesi della Brettagna, e gli altri dell’America settentrionale: dirò solo che questi ultimi, come più deboli, ricorsero a Luigi XVI, e che questo monarca, per aver voluto appunto adoprarsi per la pace, tirossi addosso la guerra. Contuttochè questo regno fosse ricco, ciò nonostante non pareva allora in condizione da sostenerne il peso. Era stata sommamente trascurata la marina, e si trovavano nel maggior disordine le finanze; ma i mezzi della Francia sono inesauribili. Mentre andavansi facendo negoziati per riconciliare gli Americani con la lor madre patria, si videro uscire dai porti di Brest e di Tolone flotte tanto considerevoli, che furono in istato di far fronte alle forze dell’Inghilterra. Questa guerra durò cinque anni, ed il trattato di pace fu sottoscritto a Versailles nel 1783. Ecco l’epoca dell’origine di una nuova potenza nell’America settentrionale. Gli antichi sudditi della Gran Brettagna, divenuti liberi e riconosciuti tali anco dal mondo intiero, possono un giorno divenire formidabili: ed allora eglino rammenteranno i buoni uffizi ricevuti dai loro buoni amici, i Francesi? In mezzo allo strepito dell’armi non erano in Parigi diminuiti i divertimenti; anzi in quell’anno appunto il signor Piccini espose sul teatro dell’Opera il suo primo lavoro. La regina, protettrice generosa delle belle arti, non meno che dei celebri artisti, aveva fatto venire in Francia questo rinomato compositore, lo aveva provvisto alla corte di conveniente assegnamento, lasciandolo in libertà di lavorare per gli altri teatri di Parigi. Questo compositore italiano, arrivato in Francia di recente, non era in istato di scegliere i drammi che poteva credere a proposito per lui; e il signor Marmontel si diede cura di somministrargliene. Egli ridusse l’opera del Rolando del Quinaut in tre atti con alcune mutazioni, e il signor Piccini fece in tale occasione valere il suo buon gusto e sapere. Ma siccome i Francesi prendono ai drammi l’istesso affetto che alla musica, non possono soffrire che i moderni autori mettan mano nei capolavori degli scrittori antichi. Oltre a questo, regnava allora in Parigi un’aperta guerra fra i partitanti del Gluck e quelli del signor Piccini: ed ambedue questi partiti erano combattuti dai dilettanti della musica francese. Ma ohimè! in quest’istante mi assale una violenta palpitazione di cuore: è un mio incomodo abituale; non posso proseguire...
Riprendo il capitolo lasciato interrotto ieri. La mia palpitazione è stata assai più veemente, e durò questa volta più lungamente dell’altre, poichè mi assalì alle quattro della sera, senza cessare se non alle due ore della mattina. Questo incomodo non è in me periodico: mi sorprende diverse volte nell’anno, in tutte le stagioni, in tutti i tempi, ora a digiuno, ora a pranzo, ora dopo, di rado però nella notte; ma ecco quel che v’è di più singolare nei suoi sintomi. Quando vuole assalirmi, io sento un certo straordinario muovimento nelle viscere; si altera allora il mio polso, e prende una violenza spaventevole; sono convulsi i miei muscoli, ed è oppresso il cuore. Quando poi è per passare, sento una scossa nella testa, dopo la quale ritorna tutto in un tratto il polso nel naturale suo stato; come non havvi gradazione alcuna nel suo accesso, così non havvene alcuna nel termine: è, in somma, un fenomeno inconcepibile, nè da potersi spiegare, se non se paragonandolo alle sincopi. Avvezzo pertanto a quest’incomodo, più molesto che doloroso, avevo a poco a poco imparato a sopportarlo senza timore e cercando i mezzi possibili per sollevarmi, continuavo il mio pranzo, quando mi assaliva a tavola; e proseguivo, senza darne il menomo indizio, la partita, allorquando investivami in conversazione. Nessuno dunque si accorgeva del mio stato, e siccome nella mia età è forza vivere con i propri nemici, non cercavo i mezzi per guarirne, per timore di non precipitare nelle voragini di Scilla nel tempo che evitavo quelle di Cariddi. Una palpitazione però che ebbi, sono già quattro anni, di trentasei ore continue, mi parve molto seria; onde ricorsi al medico. Il signor Guilbert de Préval, dottore reggente della Facoltà di Parigi, me la fece cessare istantaneamente, e, senza arrischiar nulla che potesse scomporre la economia animale del mio individuo, potè ritardarne in seguito gli accessi, e diminuirne la durata. Questo medico mi aveva radicalmente guarito da due volatiche, le quali, oltre di essermi di grave incomodo, cominciavano a divenire pericolose. Non ne risultò inconveniente alcuno, poichè dopo sono stato sempre bene di salute. Col solo mezzo della sua acqua passante, gli riuscì di condurre questa cura alla sua perfezione. Questo professore si è fatti molti nemici nel corpo della Facoltà; si dice che esista fra loro una legge, in forza della quale nessun membro della società possa usare nuovi rimedi di qualunque sorta siano, se prima non li abbia partecipati ai suoi confratelli; ma il signor Préval non ubbidì ad una tal legge, temendo forse che il suo rimedio non divenisse inutile come molti altri, passato in mano di tutti, e però egli lo spaccia in casa propria. Così il povero vi trova il suo sollievo, ed il ricco non è scorticato. Fortunato quell’uomo, si suol dire volgarmente, che trova il suo amico nel medico. Il signor Préval è per certo l’amico di tutti i suoi malati, poichè egli è l’amico dell’umanità.