Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXIX
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte terza - XXVIII | Parte terza - XXX | ► |
CAPITOLO XXIX.
- Soppressione della Commedia italiana. — Alcune parole sulla rappresentazione della Donna gelosa, e sull’autore di lei. — Arrivo in Francia del cavalier Dolfino ambasciator di Venezia.
Nell’anno 1780 avvenne una catastrofe disgustosa per i comici miei compatriotti. La compagnia dell’Opera comica, essendo stata ammessa nella loro società, i nuovi compagni scacciarono gli anziani. Però bisogna esser sinceri. Non può negarsi che gl’Italiani fossero alquanto negligenti; la commedia cantante faceva tutto, la commedia parlante non faceva nulla. Essa era limitata alle sole recite del martedì e venerdì, che a quel teatro sogliono dirsi i cattivi giorni; e se per caso era ammessa nei giorni detti buoni, ciò succedeva al solo fine di riempire il vuoto interposto fra le due rappresentazioni più dilettevoli per il pubblico. Alcuni di codesti attori italiani, prevedendo la sinistra sorte che li minacciava, si quotarono, ciascuno per la sua parte, per farmi lavorare. Io mi prestai con piacere e con zelo, e composi sei commedie, tre grandi e tre piccole. Ne rimasero contenti, e me le pagarono; ma da ciò che si vide poi, non ebbero tempo di studiarle e recitarle, poichè non ne comparve in scena neppur una. Restò insomma soppressa la commedia italiana, e gli attori già ammessi furono congedati con pensioni ed onorari adeguati alla parte che sostenevano. Quelli che avevano compiuto il tempo, furono indennizzati, e furono date convenienti ricompense a quelli che erano a salario. Fra gli Italiani non rimase che il solo Carlino, a titolo di rimunerazione dei suoi quarantanni di servizio, e perchè il personaggio d’Arlecchino poteva esser utile nelle commedie francesi. E poi, il signor Carlino non era solamente utile, ma era divenuto necessario per non perdere i nuovi lavori del signor cavaliere de Florian. Questo giovine autore aveva l’arte di collocare eccellentemente questo personaggio grottesco. A questa sola maschera è permesso di spacciare argute balordaggini; essa è un essere immaginario inventato dagl’italiani, e adottato anche dai Francesi, a cui concedesi il diritto esclusivo di congiungere l’astuzia alla semplicità, e nessuno meglio del signor Florian ha saputo esprimere questo carattere anfibio. Ma egli ha fatto anche di più; poichè alle sue composizioni ha dato sentimento, passione, morale, e le ha rese dilettevoli. I due biglietti, Il buon sistema di casa, I due gemelli bergamaschi, Il buon padre, sono piccoli capolavori. Egli li ha scritti unicamente per sè medesimo, nè verun altro li ha mai recitati meglio di lui nei teatri privati. Carlino era il solo che fosse in grado di farli gustare al pubblico. Era stato fatto venir d’Italia il signor Corali per avere in tal modo il posto di Carlino duplicato. Questo nuovo attore aveva egli pure del merito, ma il confronto è di rado favorevole all’ultimo venuto; con tutto questo il signor Corali non fu rimandato, e si rese utile all’Opera comica in egual modo, onde restò sempre con quegl’istessi assegnamenti da lui goduti in principio. Il signor Canterani, che nella commedia soppressa faceva da Scappino, ebbe anch’egli il suo congedo e la sua pensione come i suoi compagni, ma pochi giorni dopo fu ricevuto come attore, ed ebbe il titolo di semainier perpetuo della Compagnia. Quest’uomo operosissimo, pieno d’intelligenza e di probità, incaricato di commissioni spinose, sa così ben conciliare gl’interessi della società con quelli dei particolari, ch’egli è il mediatore d’ogni disparere, l’arbitro d’ogni riconciliazione, l’amico di tutti. L’Opera buffa, svincolata dalla Commedia italiana, non poteva da sè sola somministrare per tutto il corso dell’anno due o tre rappresentazioni al giorno.
Si era recitata altre volte su questo teatro una commedia francese, che faceva corpo colle rappresentazioni date dagli Italiani. Questi l’avevano abolita, e l’Opera comica l’introdusse nuovamente. È benissimo composta; vi sono attori eccellenti, che sarebbero utilissimi al teatro francese, e che hanno dato rappresentazioni bellissime; farò parola soltanto della Donna gelosa, e del suo autore. Questa commedia di cinque atti, in versi, è, a parer mio, commedia che può dirsi perfetta: il soggetto sembra un po’ troppo comune, ma pure in essa è trattato in tal maniera, che lo rende quasi nuovo. L’autore ebbe l’accorgimento di render plausibilie e ragionevole una gelosia mal fondata. È importante la condizione della moglie per i suoi timori fondati, com’è pur tale quella del marito per la delicatezza di serbare il segreto. Tutti i caratteri della commedia son veri, gli episodi bene adattati, gli equivoci e le sorprese destramente combinate, la catastrofe naturale è soddisfacente; nobile, comico e corretto lo stile, ed i versi armoniosi e senza affettazione. Io non darò qui l’estratto di una commedia che è già stampata, poichè adesso altro non fo che annunziare le cagioni che me la fanno riguardare come un lavoro benissimo composto.
Conosco che in queste mie Memorie vo a salti, passando da una commedia ad un gravissimo e nobilissimo soggetto. Nell’istesso anno 1780 il cavaliere Dolfino, ambasciatore di Venezia, venne ad occupare il posto del signor Zeno suo predecessore. Questo nuovo ministro d’una famiglia antichissima e ricchissima, si presentò in un modo corrispondente al suo grado, e da fare onore alla sua nazione. Ma provò colpi sì dolorosi, che l’oppressero d’amarezza, onde, benchè robusto, fu costretto a cedere al peso della sua afflizione. Aveva condotto seco i due suoi figli. N’educava uno sotto i suoi propri occhi, affidando la figlia alla direzione delle nobili religiose di Panthemont. L’uno e l’altra davano grandi speranze della loro virtù, erano la delizia di un tenero padre, che per coltivare il loro animo e il loro ingegno aveva procurato loro i vantaggi della educazione francese. Si ammala la figlia, e muore: restava il figlio, unico oggetto della paterna consolazione, e muore anch’esso. Ecco pertanto un padre amoroso nell’abisso della più tetra desolazione! Va a Venezia per confondere le sue con le lacrime dell’afflitta madre, e torna immerso nella più cupa tristezza. Dopo simile avvenimento il signor Dolfino non era più quel desso. Si lasciava veder poco, io lo vedeva di rado, ed era penetrato dal più vivo dolore. E il padre ed il figlio avevano bontà ed amicizia grande per me; avrei io potuto trattenermi dal piangere?