Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXVIII

Primo Periodo - XXVIII. Ritirata disastrosa per la Serra

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Capitolo XXVIII.

Ritirata disastrosa per la Serra.


Intanto la situazione dell’esercito repubblicano peggiorava, ogni dì le urgenze essendo maggiori e maggiori le difficoltà di soddisfarle. I due combattimenti di Taquary e Norte avevano scemato talmente il numero della fanteria che i battaglioni erano diventati scheletri. I soverchi bisogni generavano il malcontento, questo la diserzione. Le popolazioni, siccome succede nelle guerre lunghe, si stancavano e si ammorbavano d’indifferentismo coll’alternare del passaggio e delle esigenze delle forze d’ambe le parti.

In tale stato di cose gl’Imperiali fecero delle proposte d’accomodamento, le quali, abbenchè vantaggiose, considerando le circostanze in cui si trovavano i Repubblicani, non furono accettate, ma respinte con alterigia dalla parte più generosa dell’esercito. Tale rifiuto però accrebbe il malcontento nella parte più transigente e stanca. Infine l’abbandono dell’assedio della capitale e la ritirata furono decisi.

La divisione Canabarro, di cui faceva parte la marina, doveva principiare il movimento e sgombrare i passi della Serra occupati dal generale nemico Labattue, francese al servizio dell’Impero; Bento Gonçales col resto dell’esercito marcerebbe in seguito, coprendo il movimento.

In questo tempo morì il nostro Rossetti, irreparabile perdita! Era rimasto colla guarnigione repubblicana della Settembrina, che doveva marciare ultima; quella gente fu sorpresa dal famoso Moringue, diventato l’incubo dei Repubblicani, e perì in quella sorpresa l’incomparabile Italiano, combattendo valorosamente. Caduto da cavallo, ferito, gli fu imposto d’arrendersi, egli rispose a sciabolate, e vendè caramente una vita ben preziosa all’Italia.

[p. 90 modifica]Non v’è un angolo della terra, ove non biancheggino l’ossa d’un Italiano generoso! E l’Italia li scorda. Essa si occupa di comprar delle isole per formar dei penitenziari;1 essa vezzeggia la compassione dei potenti per riabilitar le sue membra e costituirsi «del non suo ferro cinta,» plaudendo ai suoi governanti che la prostituiscono! Essa amoreggia oggi coll’idea sacerdotale, e la lecca, l’accarezza, supplicandola genuflessa, acciò le mantenga i suoi figli nell’ignoranza e nell’abbrutimento, chiamando l’atto sudicio, infame, garanzie! Ed essa scorda coloro che fecero bello il suo nome nel nuovo mondo! In tutte le contrade del mondo essa ne sentirà la mancanza nel giorno in cui vorrà sollevarsi sui cadaveri de’ corvi che la divorano!

La ritirata impresa nell’invernale stagione, fra i dirupi delle montagne e con pioggie quasi continue, fu la più disagiata e terribile ch’io m’abbia veduto mai. Noi conducevamo per tutta provvista alcune vacche a capestro, non trovandosi animali negli ardui sentieri che dovevamo percorrere, resi dalle pioggie impraticabili. I numerosi fiumi della Serra, gonfi oltremodo, capovolgevano gente, animali e bagagli. Si marciava con pioggia e senza alimento; accampavasi senza alimento e con pioggia. Tra un torrente e l’altro, coloro a cui era toccato di rimanere vicini alle disgraziatissime vacche, avevano carne, e gli altri nulla! Massime la povera fanteria2 trovossi in tremendo conflitto, mancando anche di carne cavallina, di cui facevano uso i cavalieri a difetto d’altra.

Furonvi scene da inorridire! Molte donne, com’è uso in quei paesi, accompagnavano l’esercito, e non mancavano d’esser utili, impiegate alla condizione delle cavalladas che eseguivano a cavallo, essendo esse molto pratiche in tale esercizio. Colle donne v’erano [p. 91 modifica]naturalmente dei bambini d’ogni età. Pochi di quelli in età più tenera uscirono dalla foresta. Alcuni pochi furono raccolti da cavalieri, giacché pochi cavalli si salvarono, e molte madri pure rimasero morte o morenti di fame, di disagio e di freddo!!!

Vi sono foreste nella parte bassa della provincia, ove il clima è quasi tropicale, ed in cui si trovavano in abbondanza frutte selvatiche, ma buone e nutritive, come la guayaba, l’arassà, ec.; ma nelle selve dell’alta Serra, ove ci eravamo inoltrati, non si trovano tali frutta, ed appena trovansi foglie di taquara, canne grossissime, alimento insufficiente per animali, e che non valse a salvarmi due muli che portavano il mio povero bagaglio.3

Anita abbrividiva all’idea di perdere il nostro Menotti, che salvammo per un miracolo! Nel più arduo della strada ed al passo dei torrenti io portava il mio caro figlio di tre mesi in un fazzoletto a tracolla, procurando di riscaldarmelo al seno e coll’alito.

D’una dodicina d’animali di mia proprietà, che con me entrarono nella foresta, tra cavalli e muli, parte da sella ed altri da bagagli, eravamo rimasti con due cavalli e due muli. Gli altri stanchi erano stati abbandonati.

I pratici, per colmo di sventura, avevano sbagliato la piccada (sentiero tagliato nella foresta), e quello fu uno dei motivi che sì difficilmente ci fece varcare quella terribile selva de las Antas (Anta è una belva che mi dissero somigliare all’asino, inoffensiva, la di cui carne è squisita, ed il cuoio serve a molti forti ed eleganti lavori. Io ho veduto il cuoio, mai l’animale).

Siccome si procedeva avanti senza trovar mai la fine della piccada, io rimasi nella selva coi due muli che pure si stancarono, e mandai Anita col mio assistente ed il bambino, acciocché alternando i due cavalli che ci rimanevano, essa procurasse di uscire al chiaro, [p. 92 modifica]cioè fuori della foresta, ove trovare alcuni alimenti per sè e per il pargoletto. I due cavalli che alternativamente portavano Anita, ed il coraggio sublime di quella valorosa mia compagna salvaronmi ciò che di più caro io avevo nella vita. Essa giunse fuori della piccada, e per fortuna vi trovò alcuni de’ miei militi con un fuoco acceso, cosa che non sempre poteva ottenersi per la continuazione della pioggia a diluvio, e la povera condizione a cui eravamo ridotti.

I miei compagni, a cui era riuscito d’asciugare alcuni cenci, presero il bambino che tutti amavano, l’involsero, lo riscaldarono, e lo tornarono in vita, quando la povera madre già poco sperava di quella tenera esistenza. Con amorevolissima sollecitudine procurarono quei buoni militi di cercare alcuni alimenti coi quali ristaurossi la cara mia donna, e potè allattare il mio primo nato.

Io faticai invano per salvare i muli. Rimasto con quelle spossate bestie, tagliai loro quanto mi fu possibile delle foglie di canne per alimentarli, ma non mi valse: fui obbligato di abbandonarle, e cercare d’uscir io pure dalla foresta, a piedi ed affamato.

A nove giorni dalla nostra entrata, appena trovavasi fuori dalla piccada la coda della divisione, e pochissimi cavalli d’ufficiali eransi potuti salvare. Il generale Labattue, che ci aveva preceduti fuggendo, avea lasciato nella stessa selva de las Antas alcune artiglierie, che per mancanza di mezzi non potemmo trasportare, e rimasero sepolte in quelle spelonche, chi sa per quanto tempo.

I temporali sembravano star di casa nella selva suddetta, poichè usciti nei campi dell’altipiano, in Cima da Serra noi trovammo dei tempi bellissimi, e vi trovammo pure degli animali bovini per noi preziosissimi come alimento. Dimodochè si dimenticarono alquanto i disagi passati.

Entrammo quindi nel dipartimento di Vaccaria, ove permanemmo alcuni giorni per aspettare il corpo di [p. 93 modifica]Bento Gonçales, che ci giungeva frazionato ed assai malconcio.

L’infaticabile Moringue, informato della ritirata, erasi messo alla retroguardia di codesto corpo, incomodandone la marcia in ogni modo, coadiuvato dai montanari, sempre accanitamente ostili ai Repubblicani.

Tutto ciò diede al Labattue il tempo necessario per la sua ritirata e giunzione al grosso dell’esercito imperiale. Vi giunse però quasi senza gente, per motivo delle diserzioni cagionate dalle marcie forzate e dalle stesse privazioni e disagi da noi sofferti.

Accadde di più al generale francese un incidente, ch’io narrerò per la natura sua straordinaria. Dovendo Labattue varcare nel suo cammino i due boschi conosciuti col nome di Mattos (bosco o selva) Portuguez e Castelhano, trovavansi in quei dintorni alcune tribù d’indigeni selvaggi chiamati Bugre, delle più feroci che si conoscano nel Brasile; sapendo esse del passaggio degli Imperiali, li assalirono in varie imboscate della macchia, e ne fecero strage, facendo sapere nello stesso tempo al generale Canabarro ch’essi erano amici dei Repubblicani; e veramente nel nostro transito per le loro selve nessun disturbo ci cagionarono.

Vedemmo però i loro foge (buchi profondi ricoperti accuratamente con delle zolle, nei quali precipita l’incauto viandante, e allora profittano i selvaggi del suo inciampo per assalirlo). Per noi nessuno di quei buchi però era coperto, e le formidabili barricate d’alberi innalzate lateralmente al sentiero, da dove colpiscono i passeggieri con dardi e freccie, erano sguarnite.

In quei medesimi giorni comparì fuori della foresta una donna rubata nella sua giovinezza dai selvaggi in una casa della Vaccaria. Essa profittò in detta occasione della vicinanza nostra per salvarsi. Era quella poverina in una condizione ben deplorabile.

Non avendo noi nemici da fuggire nè da perseguire in quelle alte regioni, procedevamo nelle nostre marcie con lentezza, mancanti quasi totalmente di [p. 94 modifica]cavalli ed obbligati di domare, cammin facendo, alcuni puledri che si trovavano dispersi in quei campi. Il corpo dei lancieri liberti rimasto intieramente smontato fu obbligato di rifare le sue cavalcature con quei puledri.

Era bel vedere allora, quasi ogni giorno, una moltitudine di quei giovani e robusti neri, tutti domatori, lanciarsi sul dosso dei selvaggi corsieri, e tempestare per la campagna, facendo prima il bruto ogni sforzo per sbarazzarsi del suo carico e scaraventarlo a gambe air aria lontano; l’uomo, ammirabile di destrezza, di forza, di coraggio, inforcarsi siccome tanaglia, battere, spingere e domare infine il superbo figlio del deserto, che parte finalmente come saetta, quando conscio della superiorità del dominatore che lo cavalca, e divora in pochi momenti uno spazio immenso per ritornare colla velocità stessa anelante e grondante di sudore. In quella parte dell’America il puledro giunge dal campo, si laccia, si sella, imbrigliasi e senz’altre disposizioni è cavalcato dal domatore a campo aperto. L’esercizio ha luogo generalmente varie volte nella settimana, ed in pochi giorni è capace di ricevere il morso. Anche i più renitenti riescono così famosi cavalli in alcuni mesi; difficilmente però escono ben domati da’ soldati nelle marcie, ove non ponno avere il comodo, la cura e massime il riposo necessario per ben formarsi.

Passati i Mattos Portuguez e Castelhano, scendemmo nella provincia di Missiones, dirigendoci sopra Cruz Alta, capoluogo di detta provincia, piccola cittadina su d’un altipiano, ben costrutta ed in bellissima posizione, siccome bella è tutta quella parte dello stato riograndense. Da Cruz Alta, marciammo a San Gabriel, ove si stabilì il quartier generale e si costrussero baracconi per l’accampamento dell’esercito. Io pure vi costrussi una capanna e vi passai alcun tempo colla famiglinola.

Sei anni però di una vita di disagi e di privazioni, lontano dal consorzio delle mie relazioni antiche e dei parenti, di cui ignoravo assolutamente la sorte, per l’isolamento in cui avevo vissuto e l’impossibilità di [p. 95 modifica]aver loro notizie, essendo lontano da qualunque porto di mare, mi fecero nascere il desiderio di riavvicinarmi ad un punto ove poter sapere qualche cosa dei miei genitori, il cui affetto aveva potuto conculcare nella foga delle avventure, ma che vivamente sussisteva nell’ anima mia. Poi abbisognava provvedermi di tante cose, la cui necessità non avevo sentito sino allora per me stesso, ma che diventavano indispensabili per la mia donna e il mio bambino. Mi decisi adunque di passare a Montevideo temporariamente, ne chiesi il permesso al presidente, che me lo concesse, e col permesso del viaggio ebbi pur quello di fare una piccola truppa di bovini per poter far fronte alle spese.



Note

  1. Tratta per ciò coll’Inghilterra.
  2. In quei paesi ove si mangia sola carne e la carne è acquistata col cavallo e col laccio, si capisce che solo la cavalleria trovasi nell’abbondanza in tempo di carestia, e la fanteria spesso patisce la fame.
  3. Si osservi che con moglie e bambino ero stato obbligato di provvedermi d’una tenda e poco bagaglio.