Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXVII
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Capitolo XXVII.
Invernata e preparazione di canoe.
Neil’emisfero meridionale, già si sa, l’inverno succede nei mesi in cui noi, nel nostro, abbiamo la state, e dagli abitanti dicevasi esser quello un inverno rigido, e ci sembrava tanto più tale che tutti ci trovavamo sprovvisti di vestimenta e nell’impossibilità di rimediare alla mancanza.
Il motivo della nostra permanenza in San Simon fu per regolarvi alcune canoe (specie d’imbarcazioni fatte d’un sol albero, di cui si scava la parte interna) ed aprire le comunicazioni coli’ altra parte del Lago; ma in vari mesi ch’io stetti in quel punto non apparvero mai le canoe, e perciò nulla si fece di quanto s’era ideato.
In luogo di barche quindi noi ci occupammo di cavalli, essendovi dei puledri in quantità in quel sito abbandonato da vari mesi dai proprietari che appartenevano al partito imperiale; quei puledri servirono per fare de’ miei marinari altrettanti cavalieri, ed alcuni anche malamente domavano cavalli.
E San Simon un bellissimo e spaziosissimo feudo, benché allora distrutto ed abbandonato, e credo fosse proprietà d’un conte dello stesso nome, esule o i di cui eredi erano esuli, per diversità d’opinione dalla dominante repubblicana. Non essendovi i padroni e quelli essendo avversari, facevamo da padroni noi in quel luogo. La padronanza nostra però consisteva nel servirci degli animali del feudo per alimento, non avendo altro, e nel divertirci a domar puledri.
In quel tempo (16 settembre 1840) la mia Anita ebbe il suo primo nato, Menotti, la cui esistenza era un vero miracolo, poiché nel decorso della gravidanza la coraggiosissima donna avea assistito a molte pugne, sopportato molte privazioni e disagi ed una caduta da cavallo per cui il bambino nacque con una ammaccatura nella testa. Anita partorì in casa d’un abitante di quella campagna, nelle vicinanze di un piccolo villaggio chiamato Mustarda, ed ebbe tutte le cure immaginabili da codesta generosissima famiglia per nome Costa. Io sarò riconoscente a quella buona gente tutta la vita. Ben valse alla mia buona consorte trovarsi in quella casa, poichè le miserie che si pativano allora nel nostro esercito erano giunte al colmo, e certo io non avevo come regalare la mia cara partoriente ed il mio bambino con un solo fazzoletto. Mi decisi, per assistere i miei cari con alcuni panni, a fare un viaggio alla Settembrina, ove alcuni amici, massime l’eccellente Blingini, mi avrebbero sovvenuto di qualche cosa.1
In conseguenza, mi misi in viaggio attraverso le inondate campagne di quella parte tutta alluvionale della provincia, ove per giorni intieri io viaggiava con l’acqua sino alla pancia del cavallo. Passai nella Rossa Velha (vecchio campo coltivato), ove incontrai il capitano Massimo dei lancieri liberti, il quale mi accolse da vero e generoso compagno. Egli era stato preposto, con un distaccamento dei suoi militi, alla custodia delle cavalladas (cavalli di riserva) in quelli eccellenti pascoli. Giunsi in quella località di sera, con forte pioggia, vi passai la notte, ed all’alba dell’altro giorno, essendo il temporale anche maggiore, mi rimisi in viaggio, contrariamente al parere del buon capitano, che voleva fermarmi per aspettare tempo migliore. Premevami troppo la mia missione per differirla, e mi avventurai nuovamente in quel diluvio di inondazioni. Alla distanza d’alcune miglia, udii delle fucilate dalla parte da dove ero partito, mi nacque alcun sospetto, ma non potevo far altro che proseguire. Arrivai alla Settembrina, comprai alcune cosarelle di panni, e mi avviai nuovamente verso San Simon. Nel ripassare alla Rossa Velha seppi la causa delle fucilate ed il tristissimo caso accaduto al capitano Massimo ed ai suoi bravi liberti subito dopo la mia partenza da quella casa. Moringue, quello stesso che mi sorprese in Camacuan, aveva sorpreso il capitano Massimo, e dopo una difesa disperata di quel prode ufficiale coi suoi lancieri, era pervenuto ad ucciderli quasi tutti. I migliori cavalli erano stati imbarcati ed inviati a Porto Alegre, ed i men buoni uccisi tutti. I nemici avevano eseguito l’impresa con legni da guerra e fanteria, quindi rimbarcati i fanti s’eran diretti per terra colla cavalleria verso il Rio Grande del Nord, sbaragliando tutte le piccole forze repubblicane che trovavansi sparse su quel territorio, o spaventandole. Tra quelle trovavansi i miei pochi marini che furono obbligati di abbandonare la loro posizione e cercare rifugio nella foresta, essendo il nemico troppa numeroso per loro. Anche alla mia povera Anita, dodici giorni dopo il parto, toccò di fuggire col suo pargolo sul davanti della sella, affrontando tempi tempestosi.
Io non trovai più la mia gente e la famiglia al mio ritorno in San Simon, e fui obbligato di rintracciarli nell’orlo d’una selva, ove soggiornavano ancora quando li trovai, non avendo notizie esatte del nemico.
Tornammo in San Simon, e vi stemmo qualche tempo ancora, quindi cambiammo stanza, e la stabilimmo sulla sponda sinistra del fiume Capivari. Cotesto fiume è formato dai differenti scoli dei vari laghi che guarniscono la parte settentrionale della provincia del Rio Grande tra la costa dell’Atlantico ed il versante orientale della catena do Espinasso. Esso prende il suo nome dalla capivara, specie di maiale anfibio molto comune nei fiumi dell’America meridionale.
Dal Capivari e dal Sangrador do Abreu (Sangrador è un canale che serve di comunicazione tra una palude ed un lago o fiume), ove avevamo potuto ottenere e regolare due canoe, facemmo alcuni viaggi alla costa occidentale della laguna dos Patos, trasportando gente e corrispondenze.
Note
- ↑ La Repubblica non pagava i suoi militi, nè perciò era peggio servita.