Capitolo II

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I III
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II.

Al buio, mentre cercava di addormentarsi nella sua stanzetta dove penetrava l’odore del bosco, Marianna rivedeva la figura di Simone nell’atto di afferrare la terra e balzare su come per dominare lei e tutte le cose intorno. Sì, così come dalla terra nuda, egli era balzato dalla sua oscura sorte di servo per diventare l’ospite temuto dei suoi stessi padroni. E lo vedeva guardarla dall’alto, con occhi dolci e terribili: se fossero stati soli egli l’avrebbe afferrata come una preda.

Eppure, comunque egli fosse, e sebbene il polso le ardesse ancora per la stretta di lui, ella si sentiva sempre la padrona; era certa che con un solo suo sguardo lo avrebbe sempre atterrato. [p. 31 modifica]

Le sembrava di rivederlo ragazzo, mandriano in quello stesso ovile, al servizio dei pastori dello zio: magro, alto, olivastro, sempre taciturno, col viso basso un poco reclinato a destra, come preoccupato da gravi pensieri, di tanto in tanto scuoteva la testa sul collo e volgeva intorno gli occhi luminosi. Ogni domenica la madre andava in casa dei padroni a chiedere notizie di lui come di un bambino alla scuola. Sì, egli si comportava bene: era fidato, attento, laborioso. Verso Pasqua tornava per fare il precetto pasquale, e a Natale accompagnava il padrone alla Messa di mezzanotte. Non guardava le donne, non beveva, non aveva vizi. Marianna non ricordava ch’egli le avesse mai mancato di rispetto. Ed ecco un giorno si era assentato dall’ovile e non aveva più fatto ritorno. La famiglia lo aveva pianto come morto, per mesi e mesi; si credeva, dapprima, ch’egli fosse stato presente a qualche misfatto e i malfattori, per evitare la sua testimonianza pericolosa, lo avessero ucciso, nascondendone il cadavere. La madre sola si ostinava a tornare di tanto in tanto [p. 32 modifica]da Marianna a chiedere notizie com’egli si trovasse ancora nell’ovile. Aveva un aspetto strano, a volte, la madre; pareva chiedesse ai padroni, ai quali lo aveva affidato quasi ancora bambino, che le restituissero il suo figliuolo.

Più tardi Simone aveva mandato sue notizie, e lei s’era chiusa nella sua casetta, per non più uscirne. Marianna, contenta di non vedersela più davanti con quei grandi occhi pieni di angoscia e di domande, s’era dimenticata del piccolo servo, come fosse davvero morto. Ed ecco invece egli adesso le balzava davanti, risorgeva dal sepolcro della sua miseria e afferrava quanto gli capitava sotto mano.

— Quello che è mio è mio e guai a chi lo tocca!

Tutte le parole di lui le restavano in mente, e cercava di contraddirle ancora, col pensiero; ma la replica di lui gliele ribatteva sul cuore. Si volse sul suo tettuccio e cercò di addormentarsi, sorridendo un po’ di sè stessa. Il sonno non veniva. Qualche cosa si interponeva tra lei e il sonno. È ancora lui; le stringe ancora il polso, [p. 33 modifica]fissandola minaccioso e implorante. Anche nel sogno si guardavano come si conoscessero da anni ed anni e uno sapesse dell’altra sino in fondo all’anima. Ella gli diceva:

— Io so che ti piaccio e che ti vuoi vendicare d’essere stato mio servo; — ed egli rispondeva: — So che tu aspettavi un uomo come me: eccomi, ti dò tutto di me, il bene e il male, ma ti prendo tutta, col tuo bene e col tuo male.

Si volse ancora, infastidita, accaldata. Sentiva bene che tutto questo era un sogno della sua fantasia eccitata dal passaggio di Simone nella solitudine dell’ovile; canzone passeggera come il mormorìo del bosco agitato nella notte dal vento di levate: forse Simone non sarebbe più ripassato nella sua vita, eppure.... eppure in fondo sapeva già che non era così. Egli sarebbe tornato. Le aveva messo un anello intorno al polso, di cui non era facile liberarsi. E di nuovo lo rivedeva nell’atto di guardarla tutta con uno sguardo intenso come la carezza di una mano amorosa; e sollevando gli occhi, nel buio, arrossiva sul suo guanciale come se il viso di lui [p. 34 modifica]pure intraveduto nel sogno che non ha consistenza, si accostasse al suo e il battito delle loro tempia si confondesse in un battito solo.

S’egli fosse lì fuori e spingesse la porta? — Ho la febbre, — pensò, toccandosi il polso; — Marianna, che fai?

Il mormorio confuso del bosco le rispondeva, cullandola un poco. Ripensò alla sua casa di Nuoro, calda, oscura, quieta, piena di cose preziose; rivide la serva Fidela che vegliava contro i ladri, e tornò a sorridere di sè stessa. Marianna, che fai? — le pareva di sentire la sua voce lenta e calma, — ti è entrato un verme nel cervello, stanotte? Perchè un uomo un poco brillo ti ha stretto il polso ti fai venire la febbre? O è il demonio che ti tenta? Che ti entra in corpo?

E il pensiero che il demonio le fosse davvero penetrato nell’anima e nel corpo sotto forma di Simone, le diede un senso di angoscia e di vergogna.

— Marianna, che fai? Non ti ricordi chi sei? Tu la padrona, egli il servo, tu [p. 35 modifica]anziana egli giovane, tu ricca egli miserabile senza casa e senza libertà!

— Ma appunto per questo: la vita è bella così nel contrasto, nel pericolo, come dice la canzone.

— Ah, Marianna, che fai? Ecco che egli ti è davvero dentro. È la tentazione.

— Signore Dio liberami, — mormorò tirandosi il fazzoletto sul viso: e le parve di essere come un uccellino che si nasconde sotto la sua ala.

Simone partì durante la notte, e nei giorni seguenti non si lasciò più vedere. Marianna non lo aspettava, certo; anzi le pareva di aver sognato e non voleva più neppure ricordare il suo sogno; a volte però sollevava la testa sembrandole di sentire un passo lontano e si incantava a guardare il bosco.

Un gruppo d’elci fioriva, al di là del prato: le foglie morte cadevano sospinte dalle nuove, e i fiori spuntavano e s’aprivano [p. 36 modifica]in pari tempo con le foglie, tutti di uno stesso colore d’oro pallido che anche dopo il tramonto dava agli alberi millenari uno splendore, come ci fosse ancora il sole. Lei s’indugiava alla finestruola della cucina, verso sera, guardando quella distesa chiara tra il verde cupo della foresta; non sapeva perchè provava un senso confuso di gioia a vedere i vecchi elci ringiovanirsi tutto d’un tratto e risplendere come di luce interna. Sebastiano la vide così, al finestrino, pallida ma con gli occhi luminosi, un giorno che tornò per portarle i denari della caparra per il sughero. Anche lui era allegro, come sempre quando aveva occasione di avvicinarsi a lei; ma un’ombra di gelosia tornò a oscurargli il viso nel sorprenderla così.

— Ecco, — le disse contandole i denari sul piccolo davanzale, — puoi tenerli anche qui fuori; nessuno si accosterà per rubarli finchè hai così buona guardia.

Marianna sentì il suo cuore sbattersi, dentro, come un uccello che si desta nella sua gabbia: aveva capito; ma volle saper meglio. [p. 37 modifica]

— Di chi parli? Di Simone? Poteva farsi vedere ancora: lo abbiamo forse trattato male?

— Male? Lo avete trattato come un re, cugina cara! Solo, sta attenta a te; non dargli troppa libertà.

— Io non ho mai dato libertà a nessuno e non ho bisogno di nessuno! — lei replicò subito, sdegnosa, — del resto sei stato tu a consigliarmi di riceverlo bene.

Sebastiano se ne aiutò placato, ma lei rimase inquieta, offesa per le insinuazioni di lui, e in fondo felice per la vicinanza di Simone.

Verso sera s’aggirò un po’ di qua e di là nel prato, assistendo al rientrare delle vacche dal pascolo. L’erba folta, nel silenzio sereno della tanca, vibrava tutta di canti di grilli e i più piccoli rumori avevano un’eco profonda.

Ella credeva sempre di sentire un passo in lontananza. Andò un poco oltre il boschetto di elci, fino ad un’altura dalla quale si dominava il sentiero; non era stata mai così lontana, sola, di sera. Si domandò il perchè di tanto ardire. La risposta le [p. 38 modifica]venne sincera dal cuore: sperava d’incontrare Simone. Ed ebbe vergogna e tornò indietro.

Dopo cena sedette, come faceva ogni sera, davanti alla porta della sua stanzetta. Il padre e il servo dormivano già, nella cucina, e tutto era silenzio, luccichio di stelle, canti di grilli, intorno a lei; la luna tramontò, ella rimase ancora.

Ripiegata su sè stessa le pareva di aver vinto le sue fantasie, di vergognarsi ancora della sua piccola passeggiata serotina; e si toccava lievemente le dita fredde per contare i giorni che ancora le rimanevano per tornare alla sua casa di Nuoro: ma questo pensiero le dava un senso di gelo; le pareva di pensare ad una prigione.

D’un tratto sollevò il viso ansioso. Sentiva di nuovo il passo, e pure credendo d’illudersi ascoltava palpitando. IL cuore non la ingannava: un uomo veniva dritto verso la casa, verso di lei: lo riconobbe subito, e si portò le mani al viso come per nascondere il suo turbamento. Non si alzò, non si mosse. [p. 39 modifica]

Con sorpresa si accorse che i cani, sebbene l’uomo passasse sotto la quercia, non s’inquietavano: ed egli s’avvicinò alla porta socchiusa della cucina, guardò, vide i pastori addormentati e andò dritto a lei.

— Buona notte, Marianna; sei ancora alzata?

— Buona notte, Simone; ancora da queste parti?

— Ancora. Sono stato di nuovo a vedere mia madre; va meglio.

— Vuoi venire dentro? — ella chiese, alzandosi, ma egli l’afferrò per il braccio e la costrinse a rimettersi a sedere. E senza togliersi il fucile sedette accanto a lei sullo stesso scalino, ansando un poco come avesse corso.

Pure vicini tanto che ella sentiva il calore e l’ansito del fianco di lui, non si sfioravano.

Per un attimo ella attese con smarrimento che egli la stringesse a sè o le prendesse almeno la mano, poi si rassicurò. Non parlarono. A poco a poco anche il respiro di lui ritornò regolare, calmo. Dopo qualche momento egli si alzò, tirò su il fucile [p. 40 modifica]sulla spalla e se ne andò come uno che dopo essersi riposato sull’orlo della strada riprende il suo cammino.

Tornò altre volte, di giorno però, trattenendosi coi pastori intenti alle loro faccende e salutando appena Marianna seduta quieta a lavorare all’ombra della casa.

E a lei pareva un altro, uno che rassomigliava al suo antico servetto ma più rigido, quasi con un’aria di straniero. Accorgendosi ch’egli la guardava di sfuggita, come vinto ancora dalla soggezione e dal ricordo della sua servitù, spiando però in lei un gesto e uno sguardo che lo invitassero a essere più audace, lo fissava in viso, ferma, impavida, con dentro però un tremito di attesa angosciosa.

Egli d’altronde non s’indugiava, non accettava mai l’invito di rimanere a mangiare e a dormire coi pastori, e questa offerta di ospitalità, dopo la prima sera, pareva piuttosto irritarlo. Solo alla vigilia del ritorno di Marianna a Nuoro s’attardò insolitamente con lei sotto l’albero della radura. Pareva volesse dirle qualche cosa, finalmente, ma non trovasse le parole. [p. 41 modifica]Seduto su una pietra, con la testa fra le mani, sollevava di tanto in tanto gli occhi pieni di ombre e di luci rapide cangianti, guardava lontano, poi tornava a chiudersi in sè, cercando qualche cosa.

Finalmente domandò:

— Lo sai, Marianna, perchè sono fuggito, quella volta, da casa tua?

Lei accennò di no; non lo sapeva: nessuno ancora, neppure la madre di lui, lo sapeva.

— Ebbene, te lo voglio raccontare, Marianna.

E cominciò a raccontare la sua vita, fin da bambino. Parlava sottovoce, come fra sè, col viso sulla mano rivolto a lei. Pareva si confessasse e a volte le sue parole si perdevano in un soffio. Marianna lo guardava, e quel viso pallido nell’ombra le sembrava rischiarato da una luce lontana. Le cose che egli diceva le erano già note come vicende a cui lei stessa avesse preso parte; eppure le davano un’impressione di mistero: le sembravano avventure fantastiche.

La famiglia era povera, egli raccontava, il [p. 42 modifica]padre sempre malaticcio per un’ernia inguaribile, le sorelle giovinette che non potevano certo andare a far le serve perchè di gente per bene, e poi belle così che fuori di casa sarebbero divenute subito preda di qualche libertino: la madre si consumava di lavoro per tener su la famiglia in modo che la miseria di dentro non trasparisse di fuori; e anche lei era malata ma fingeva di no per non aumentare il dolore del marito. Lui, Simone, era il più piccolo della famiglia: le sorelle lo avevano tirato su, sempre in braccio, sempre a ridere con lui. Ma egli cresceva e loro crescevano più di lui, e le più grandette invecchiavano e nessuno le voleva perchè erano troppo belle e troppo povere. E le annate erano tristi; il grano che il padre stanco portava a casa scarso, l’olio del piccolo oliveto scarso; tutto era scarso, nella famiglia chiusa nel recinto del suo cortiletto come in esilio dalle gioie del mondo.

Le sorelle grandi non ridevano più: cucivano, sotto l’ombra del fazzoletto tirato sulla fronte; cucivano sopravvesti di cuoio duro come la loro sorte, o trapuntavano [p. 43 modifica]camice e corpetti da sposi, ma non per i loro sposi. Il guadagno era scarso però; tutto scarso nella loro vita.

Un parente aveva preso Simone ragazzo con sè al suo ovile; passava per uomo ricco, questo parente, ma era ricco solo di apparenza, e aveva vizi e debiti, e gli usurai gli rosicchiavano l’anima. Grasso e d’aspetto bonario, a volte diventava feroce, non si sapeva perchè.

— Avevo dieci anni, ma lui mi parlava come ad un uomo fatto. Mi diceva: Simone, uomini bisogna essere, non lepri. — E mi spingeva giù a precipizio per qualche china, a rischio di rompermi le ossa, per insegnarmi a saltare agile, a salvarmi in caso di inseguimento. Una volta mi portò addirittura in un burrone e mi ci lasciò in fondo. Lui era a cavallo e presto fu in alto. Di lassù mi gridava: così impari a venire su, a non aver paura. — Ed io mi arrampicai, e quando fui in alto non lo trovai più e dovetti cercare da me la strada: non piangevo, no; ma sentivo il cuore gonfio in petto. Poi egli morì e i debiti mangiarono i suoi averi. La mia famiglia [p. 44 modifica]aveva sperato invano nell’eredità. Poi fui pastore, e fui solo, per anni ed anni, solo, servo. La mia abilità, la mia agilità non mi servivano a nulla. Tornavo a casa e trovavo mio padre sulla stuoia, mia madre stanca e malata anche lei, le mie sorelle a trapuntare le vesti delle altre spose. Loro non si sposavano mai. E io, avevo diciotto anni, odiavo gli uomini perchè non cercavano le mie sorelle, e le donne perchè tutte più o meno avevano l’amante e nessuno invece badava alle mie sorelle. In quel tempo ero a casa tua. Sì, odiavo anche te perchè eri ricca e potevi sposarti e loro no. Ero grande e pensavo ancora cose da bambino. Pensavo di chiudere te e tuo zio in una camera, una notte, di legarvi, di costringervi a darmi tutti i vostri denari: ma gli occhi di tuo zio, il Signore mi aiuti, mi facevano paura; li vedo ancora adesso: e anche la tua serva, che si svegliava ad ogni rumore, mi dava da pensare. Una volta mi mandaste a fare un viaggio: e io andai dal mio padrino, un prete ricco che vive in un villaggio; andai con la scusa di domandargli se mi voleva per servo, ma in [p. 45 modifica]verità perchè speravo, non so, che mi prendesse con sè e mi lasciasse l’eredità, come tuo zio faceva con te. Egli mi accolse bene, malanno gli frughi le viscere, ma non mi volle neppure per servo. E così mi è passata la fanciullezza. Pensavo di andare a rubare per far ricca la famiglia; mai avrei voluto rubare molto, molto, — non un agnello o un bue. Fare qualche bardana, sì, — andare nella casa magari del mio padrino e rubargli il tesoro; non un agnello come l’aquila o la faina. Ma dov’erano i compagni per la bardana? Passati quei tempi, Marianna mia! Il malanno è che andavo a raccontare a tutti queste cose: e mi feci una mala fama, e fui tenuto d’occhio, e sorvegliato e spiato, io che non facevo male ad una mosca. E quando tornavo a casa, mia madre mi guardava triste e mio padre mi predicava dalla stuoia con la voce che pareva venire di sotto terra. Io glielo dicevo: padre, siete un morto vivo; siete così, seppellito senza terra perchè non avete mai avuto forza e coraggio, perchè siete vissuto come una lepre nel suo nido. Le mie sorelle [p. 46 modifica]sorridevano, sotto i loro fazzoletti, quasi approvandomi.... Così, Marianna, così un giorno pensai di cambiar vita. Lo ricorderò sempre: era d’inverno, una domenica di carnevale. Io mi ero mischiato alla gente, giù dietro alle maschere, ma mentre tutti si divertivano io pensavo alle mie sorelle sedute tristi in casa attorno al focolare, e a mio padre appoggiato al muro fuori nel vicolo deserto. A che ero buono io, se non riuscivo ad alleviare la vita grama della mia famiglia? Quella notte dovevo tornare qui all’ovile e invece me ne andai ai monti di Orgosolo. Dapprima non avevo una idea chiara, in mente; ma pensavo di unirmi a qualche bandito e cercare la sorte con lui. Era sempre meglio che fare il servo tutta la settimana e tornare a casa per sentire le prediche di mio padre. Incontrai Costantino Moro, il mio compagno, che stava a scaldarsi a un fuoco sull’orlo della strada come un mendicante. Quando mi contò le sue pene risi, in fede mia di cristiano: mi fece pietà; ma per non stare solo rimasi con lui. E così, Marianna, fui subito accusato di mille delitti che non ho [p. 47 modifica]commesso. E farei ridere il giudice se glielo dicessi. Però adesso.... adesso...

Tacque, riabbassò la lesta.

— Adesso, — riprese dopo un breve silenzio, — adesso vorrei di nuovo cambiare vita; ma come, Marianna, come?

— Ci sarebbe, il modo.... — rispose Marianna con una voce rauca di cui lei stessa sentì l’incertezza e il turbamento; e non ebbe coraggio di proseguire.

Simone però intese subito ciò che lei voleva consigliargli; e parve destarsi, ribellarsi. La guardò di sbieco, quasi con odio, poi si alzò, si scosse tutto, accomodandosi bene la cartucciera intorno alla vita e riprendendo il suo fucile. Dall’alto cercò ancora gli occhi di lei, ma ella non lo guardava più. Pareva si tendessero scambievolmente un laccio e ballassero tutti e due a non lasciarsi prendere.

— Del resto è tutto bene, pur di non perdere la libertà, — egli disse con voce forte. — Tutto, Marianna; fuori che tornare servi. Scusa se ti ho contato tante storie. Addio, Marianna; dammi la mano.

Marianna gli porse la mano, sollevando [p. 48 modifica]gli occhi; ma fu adesso lui a non guardarla; le strinse appena le dita e se ne andò, senza voltarsi. Dal suo posto ella lo seguiva con gli occhi, provando un senso di liberazione e nello stesso tempo un dolore ardente, un impeto di orgoglio e di umiliazione, come se il suo antico servo l’avesse offesa pure non riuscendo a toglierla dalla sua condizione di padrona.

— Va in buon’ora, — gli augurava fra sè, — tanto non ci rivedremo mai più.

In fondo però sentiva ch’egli sarebbe tornato.


Dopo cena preparò le sue cose per il ritorno a Nuoro; doveva partire alla prima alba, tuttavia a tarda notte stava ancora in faccende e non si decideva ad andarsene a letto. Guardava intorno per la stanzetta solitaria avvolta come un nido dal vago mormorio degli alberi, e la sua grande casa di Nuoro, umida e scura, col portone ferrato e le finestre solide, tornava ad apparirle come una prigione: non mancava neppure la guardiana inesorabile, la serva Fidela, con le chiavi alla cintura [p. 49 modifica]e gli occhi di spia. Del resto tutti nella vita siamo così, in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi; o rassegnarsi o rompere i muri come Simone. Verrà per tutti l’ora della liberazione e del premio.

Sedette sul limitare della porta verso oriente, pensando tutte queste cose sagge; ma si sentiva agitata; le pareva di doversi preparare ancora per il viaggio di ritorno, e che dimenticasse qualche cosa di importante, anzi la più importante; non sapeva quale.

Gli uomini dormivano nella cucina, tutto era silenzio, scintillìo di stelle, canti di grilli come quella sera della seconda visita di Simone: ella desiderava di addormentarsi così sulla soglia; le pareva di essere come ubbriaca, ubbriaca di tutta quell’aria bevuta in quei giorni, di quel tepore di primavera.

Vedeva l’albero in mezzo alla radura argentea e i cani addormentati nell’ombra; e più in là le due ali del bosco, chiara quella degli elci fioriti, nera quella dei soveri; e fra un’ala e l’altra il vuoto della lontananza rischiarato dall’alba della luna coi [p. 50 modifica]monti che cominciavano a profilarsi come avvicinandosi attraverso un tremulo velo di luce.

Dapprima fu il monte d’Oliena, bianco, fatto d’aria, poi i monti di Dorgali a destra e quelli di Nuoro a sinistra, azzurri e neri; e d’un tratto tutto l’orizzonte parve fiorire di nuvole d’oro. Era la luna che spuntava.

E subito al velo d’oro che si stese dai monti alla Serra parve sovrapporsi un altro velo, una rete di perle che tremava sopra tutte le cose e le rendeva più belle, vive nel sogno. La foresta rideva nella notte, eppure le foglie che cadevano dagli elci parevano lagrime. Erano gli usignuoli che cantavano. Uno era proprio sull’albero della radura che con quel canto e la luna in mezzo ai rami raggiava tutto come una sfera.

Marianna ricordava confusamente che da bambina, nella notte di San Giovanni, aspettava qualche cosa di simile; aspettava, nel buio cortile di casa sua, che il cielo a mezzanotte si aprisse e lasciasse scorgere Dio in mezzo a un giardino luminoso. [p. 51 modifica]

Si sollevò stupita; sentì di nuovo il passo lontano, vide un uomo avanzarsi dalla radura, dapprima piccolo poi sempre più alto, più alto, alto fino a toccare il cielo. Riconobbe Simone. Allora tornò a sedersi irrigidita da un’attesa quasi paurosa.

Lo sapeva, che sarebbe tornato; e si accorgeva che era rimasta lì sulla soglia ad aspettarlo. Adesso avrebbe voluto ritirarsi e non poteva più; le pareva di vedere gli occhi di lui brillare nell’ombra dorata della luna, fissi su lei con uno sguardo che la inchiodava alla pietra; e le mani di lui tendersi per afferrarla come quella prima sera davanti a lei avevano tentato di afferrare la terra.

Tornò ad alzarsi. Aveva paura; ricordava bene che due uomini erano lì accanto pronti a proteggerla; eppure le sembrava di essere sola nel mondo, sola con l’ombra dolce e terribile che si avanzava silenziosa come nei sogni; e in fondo sentiva che nessuno poteva liberarla dal pericolo che la sovrastava, se lei stessa non riusciva a difendersi. [p. 52 modifica]

A misura però che l’uomo si avvicinava ella perdeva anche la coscienza ultima della sua forza. Le ginocchia le si piegavano; e quando Simone le prese le mani e l’attirò giù invitandola a sedersi di nuovo e anche lui sedette davanti a lei per terra a gambe in croce, senza rallentare la stretta delle mani, si sentì subito un’altra, una cosa di lui.

— Mio padre è là, — mormorò.

Senza rispondere Simone gittò via con un moto del capo la berretta e le posò la testa sul grembo, infantile e stanco. I suoi capelli folti, corti, a piccole onde nere inargentate dalla luna odoravano d’erba, di polvere, di sudore; un odore selvatico e profumato assieme, che turbò Marianna più che il gesto di lui. Ella sentì il suo cuore fondersi; le parve che egli le avesse posto la testa sul grembo come un pegno di sè stesso, e lo amò come un bambino addormentato; le sembrò di poterlo proteggere, di salvarlo, di raccoglierlo entro le suo viscere come un suo figlio stesso.

Liberò una mano dalla stretta di lui e gli accarezzò la fronte; senza accorgersene [p. 53 modifica]piangeva; e le lacrime cadevano sui capelli di lui e scintillavano come la rugiada sull’erba.

Ma egli parve destarsi d’un colpo da quell’attimo di sonno: con un tremito nel collo tentò di affondare meglio la testa fra le ginocchia di lei, e non riuscendovi si sollevò, protese il viso, cogli occhi chiusi e le labbra aperte, avide, — poi com’ella cercava di liberarsi le riprese le mani tenendole strette come fra due artigli.

— Marianna, — mormorò senza voce, eppure minaccioso e supplichevole; e poi dolce e promettente ripetè: — Marianna!

La sentì vibrare e poi calmarsi abbandonandogli fiduciosa le mani; allora si calmò di nuovo anche lui: non tentò oltre di baciarla, e cominciò a parlarle, piano, senza voce, col viso proteso sotto quello di lei che si chinava ad ascoltarlo.

Che cos’è? La voce di lui o la voce della tanca animata dal canto degli usignoli, scossa dal vento lieve che accompagna il sorgere della luna quando ogni foglia si agita [p. 54 modifica]lamentandosi, non si sa di che, forse di non potersi staccare e volare, forse di doversi un giorno staccare e cadere; e l’ondulare e il risonare del bosco e del vento par che ripetano l’ondulare e il risonare dell’oceano stretto nei suoi lidi e sbattuto invano da un limite all’altro della terra.

— Di che hai paura, Marianna? Se sono qui ai tuoi piedi come un cane malato? Non aver paura: se volevo farti del male non venivo così, a quest’ora, solo, disarmato. Non lo vedi che sono disarmato? Non ho neppure il coltellino a serramanico che avevo da bambino quando andavo a caccia di lucertole. Ho lasciato giù accanto alla fontana le mie armi; si arrugginiscano pure, non mi importa. Di chi hai paura? Di tuo padre? Se egli ci vedesse così, amandoci, ci benedirebbe. Del tuo servo? È lui che mi disse oggi che tu te ne andavi.... Così sono venuto, oggi, e sono tornato adesso.... Se volevo farti del male venivo coi miei compagni e ti legavo come un agnello, e ti portavo sulle spalle, e sterminavo tutto intorno se non mi lasciavano passare.... [p. 55 modifica]Marianna! Sono qui, invece, lo vedi, sono ancora il tuo servo; ti metto la testa in grembo, e tu puoi prenderla fra le tue mani come il frutto del castagno che fuori è tutto spine e dentro è dolce come il pane....

Marianna ascoltava, sempre più china, e le pareva di aspirare un senso di forza selvaggia dal calore, dall’odore di lui. Si sentì fiera di essere amata così, da un uomo come lui, di averlo ai suoi piedi; ma che cosa era il bene, che cosa era il male? che differenza esisteva fra Simone e lei, che cosa li poteva dividere? Entrambi erano stati a lungo servi; e adesso ch’erano liberi, padroni di loro stessi, s’incontravano e si amavano appunto per vendicarsi dell’antica schiavitù.

— Marianna, sentimi; ho pensato sempre a te in questi giorni. Tu mi hai come legato col filo del tuo sguardo. E non credere che questo risalga a molto tempo, no; quando ero tuo servo non ti amavo; ti odiavo, anzi, come odiavo tutti; ti odiavo, ma avevo anche soggezione di te, di tuo zio coi suoi occhi severi nel viso di santo di legno, che mi seguivano, mi seguivano, e [p. 56 modifica]che io vedevo sempre e a volte vedo ancora. Eravate i padroni ed io odiavo i padroni. Qualche volta però pensavo: sì, mi piacerebbe di sposare Marianna, ma non per la sua roba come la vogliono gli altri. Altre volte, invece, dicevo a me stesso: ah, se Marianna si innamorasse di me, e me lo facesse capire, come la rifiuterei per farla soffrire! Con tutto questo forse, sì, mi piacevi: mi ricordo un giorno noi due assieme si guardava dentro il pozzo ove era caduta qualche cosa, e ti sentivo vicino e vedevo i nostri due visi in fondo al pozzo. E così mi pareva fossimo assieme in un luogo lontano, fuori del mondo; e così è avvenuto. Così Dio mi aiuti, mi sentivo tremare: anche adesso provo impressione a ricordarlo. E tu lo rammenti?

— Sì, — disse lei, ricordando a un tratto; e rabbrividì.

Simone le strinse più forte le mani, scuotendola un poco per richiamarla al presente.

— lo non ti potrò mai sposare, Marianna; ecco perchè sono qui; così tu non crederai che io sia come gli altri. So che [p. 57 modifica]faccio male a essere qui.... ma non ho potuto non venire; sono come stregato, Marianna, il Signore mi aiuti. Credi tu che non abbia tentato di allontanarmi, la prima sera, la seconda sera, e tutti i giorni, e oggi quando ti ho detto addio? Ho tentato, ma inutilmente. Le prime notti giravo intorno alla tua tanca come ci fosse un muro alto ed io non ne trovassi il varco: mi sono più volte avvicinato fino qui, e sentivo come il tuo alito e mi bastava. Hai veduto come i cani non si sono neppure mossi? Perchè mi conoscono e sanno che ti voglio bene, Marianna. Ma tu taci, Marianna, e fai bene. Che cosa hai da dirmi? Nulla: ed io sono qui, tuo servo, e tu non devi temere più di nulla. Più di nulla, Marianna! Le cose tue saranno custodite da me come dalla giustizia stessa. Non temere di nulla. Se tuo padre venisse qui e mi sorprendesse, io mi lascerei uccidere da lui, lascerei cadere tutto il mio sangue sul tuo grembo senza un lamento. Ma cosa fai adesso, Marianna? Tu piangi? tu piangi? Una donna che vuol bene a me non deve piangere. [p. 58 modifica]

— E adesso penserai: perchè gli ho voluto bene subito? perchè hai veduto i miei occhi, Marianna, e dentro gli occhi l’anima. Così io a te. Non ci eravamo guardati mai; ecco perchè non ci eravamo incontrati ancora. Adesso però ci conosciamo. E tu forse pensi: io faccio male ad amarlo perchè lui ha preso la roba altrui e sparso sangue cristiano, ed è peccato volergli bene. Tu pensi così, ma non ci credi; perchè l’anima ti dice che proprio non è vero che io ho fatto tanto male.

— È vero! — ella disse con impeto.

Allora egli si sollevò in ginocchio senza lasciarle le mani.

— Mi vedi? sono inginocchiato davanti a te come davanti a Maria. Mi vedi, Marianna? Non mentisco. Io non sono vile: io non ho fatto mai tanto male che tu non possa amarmi. [p. 59 modifica]

E sebbene i loro volti si sfiorassero non la baciò; tornò a piegarsi, le si accostò ancora di più, fino a stringerle i piedi fra le ginocchia, e per un poco stette a guardarla ansimando.

— Eppure, ascoltami, — riprese dopo un momento. — Ho la speranza che sarò io a metterti l’anello di sposa nel dito. Se tu mi aspetterai sarò io il tuo sposo, Marianna Sirca, ricordatelo. Per questo, vedi, ho fatto voto di non baciarti neppure, perchè ti rispetto come la donna che dovrà venire a me vergine e pura. Promettimi che mi aspetterai; ma prima bada a quello che prometti, Marianna!

— Quello che io prometto mantengo, — disse lei, di nuovo quieta e grave. — Tu non mi conosci ancora, Simone!

— Io ti conosco, donna! — egli protestò. — Ti conosco da molto, da appena ho messo piede in casa tua. Mi credevi un ragazzo, tu? Ero come vecchio di cento anni e leggevo nell’anima della gente attraverso gli occhi. Tu, vedi, mi facevi pietà e rabbia; ti odiavo ma ti conoscevo; tu eri quello che ero io, una serva e null’altro. Anche [p. 60 modifica]tu eri lì, serva, per pietà della tua famiglia, per non essere di carico a tuo padre e a tua madre; e la roba intorno a te non era tua, come non era mia. È questo, Marianna! Lungo tempo siamo stati stupidi; siamo stati come i ragazzini che non possono toccare nulla. Ma adesso siamo i padroni noi, e faremo quello che vorremo.

Marianna sorrise, un po’ incredula; per nascondere il suo sorriso si chinò sino a sfiorargli con la bocca i capelli; e a quel contatto egli sentì di nuovo un brivido salirgli dai calcagni alla nuca, ma si vinse ancora.

— Ascoltami, Marianna, io non posso dirti bene quello che farò, ma tu devi aver fede in me. Verrò una notte da te, a Nuoro, non so dirti precisamente quando, ma certo prima di Natale: e tu aspettami; se non mi vedrai fino a quel giorno vuol dire che son morto! Se però verrò sarà con qualche buona notizia; tu non ti stancare, e se ti dicono male di me non credere: sopratutto non aver paura. E adesso lasciami andare.

Le abbandonò le mani, ma rimase ancora [p. 61 modifica]piegato, col viso sulle ginocchia di lei, e pareva si riposasse prima d’intraprendere il viaggio misterioso verso il bene che si era prefisso.

— Che cosa farà? — si domandava Marianna.

Sebbene il cuore le tremasse gonfio di fede, non vedeva che un solo mezzo, sicuro, per andare dritti dal sogno alla realtà: allora ebbe la forza di dire intero il suo pensiero.

— Simone, sentimi, se tu non hai commesso delitti, come tu dici ed io credo, ebbene.... Simone, perchè non ti presenti al giudice? Sarai assolto o condannato ad una piccola pena: dopo verrà la nostra felicità. Sì, io ti aspetterò.

E come dopo uno sforzo violento sentì le ginocchia tremarle; ebbe paura della sua promessa, ma non se ne pentì: lacrime di dolcezza e di angoscia tornarono a riempirle gli occhi; e attraverso il loro velo iridato le parve di vedere un arcobaleno curvarsi sopra di lei da un confine all’altro delle sue terre, e ricordò che da bambina andava in cerca dell’anello — [p. 62 modifica]l’anello della felicità, — sepolto dove comincia o dove finisce l’arcobaleno.

Così, era questo l’anello che Simone le prometteva. Egli però tornò a svegliarsi, le riprese una mano e se la passò sul viso, facendosi il segno della croce.

— Marianna, — disse alzandosi, senza rispondere alla domanda di lei, — non piangere. Hai promesso di non piangere. Addio; e aspettami.