Ma che dirò de la pietá, del zelo

Giovan Battista Marino

XVII secolo Indice:Marino Poesie varie (1913).djvu Letteratura III. La religione del duca Carlo Emanuele di Savoia Intestazione 25 maggio 2023 100% Da definire

Varcata il mezzo avea
Questo testo fa parte della raccolta Poesie varie (Marino)/Gli epitalami e i panegirici


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iii

la religione

del duca carlo emanuele di savoia

(da Il ritratto: Panegirico di C. E., duca di S., stanze 181-2131).

(1608)

181

     Ma che dirò de la pietá, del zelo,
ch’esser prime devean basi del canto?
com’ogni impresa incominciar dal cielo
soglia, guerrier religioso e santo,
e, devoto al pastore, ai fieri Cacchi,
che depredan l’olive, il corno fiacchi?

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182

     Testimoni ne sien d’Agauno e Berna
i ribellanti popoli perversi:
questi presso Colonge, a gloria eterna
del suo sommo valor, rotti e dispersi;
quei, dal vicino essempio impauriti,
vinti ne l’apparir, pria ch’assaliti.

183

     Cosí col nome piú che con la mano
ha le forti talor schiere disfatte,
e, sol col vento de le penne, al piano
la sua gran fama l’alte mura abbatte;
e le stragi non ama, e vince in guerra
quando perdona, piú che quando atterra.

184

     E te chiam’io, che testimonio invitto
fosti di sangue al tuo celeste amante:
e chiamo voi, del Martire traffitto
ossa onorate, ossa beate e sante,
che cambiate col regno e che preposte
ne’ sacri patti a la vittoria foste.

185

     Onde successe e dilatossi poi
l’inclito stuol de’ cavalier pregiati,
del santo duce imitatori eroi,
del celeste carattere segnati,
ch’or sotto il gran campion milita e regna,
riformator de la famosa insegna.

186

     Memorabil virtú d’anima pia,
ch’al nemico benigna, al reo pietosa,
la spoglia opima e trionfale oblia
per una spoglia essangue e sanguinosa,
ed ai celesti e non caduchi beni
posterga i corrottibili e terreni.

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187

     Fede ne renda la cittá rubella,
che d’Aquilone i contumaci accoglie,
di ciechi error Pentapoli novella
e Babilonia di confuse voglie,
dove assai piú lo spinse amor di Cristo
ch’aviditá d’alcun mortale acquisto.

188

     E ben da quella sozza empia sentina,
dov’ogni mal rifugge e si restringe,
due volte egli la spada ebbe vicina
a discacciar l’usurpatrice sfinge,
e due, ne l’impugnar l’armi commosse,
le vittorie di man si vide scosse.

189

     Era Genèva, ad onta de l’inferno,
omai giunta a sentir gli ultimi danni,
se l’una con oltraggio e con ischerno,
l’altra con tradimenti e con inganni,
Fortuna ingiuriosa, Invidia ria
al gran camin non precidean la via.

190

     La prima palma Invidia gl’interdisse,
che l’altrui ben, quasi suo male aborre;
Fortuna la seconda gli disdisse,
che si suol sempre a’ bei principi opporre;
ambedue de’ magnanimi nemiche,
ambedue di Virtute emule antiche.

191

     Ma che? Serrate il passo, anime sciocche,
di cinto adamantin l’argin cerchiate,
di mura insuperabili e di ròcche
pazze strutture incontr’al cielo alzate,
votate fosse e stabilite ponti,
vaste selve opponete e vasti monti;

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192

     non di Geenna sol con rupe orrenda
quinci vi copra l’ispida montagna,
né sol quinci vi cinga e vi difenda
col gran lago Leman l’onda che stagna,
ma inespugnabilmente al grand’Atlante
il Nil s’accoppii e l’Oceán sonante;

193

     aggiungi, iniqua gente, ai gioghi caspi
l’alto Appennino e ’l Gargano elevato,
sovraponi ai Cerauni, agli Arimaspi,
l’Emo, l’Olimpo, e ’l Rodope gelato:
al Vizio fabricar non potrai muro,
che da l’ira del ciel resti securo.

194

     Non n’andran, non n’andran tante tue colpe
lungo tempo impunite e tante frodi,
perfida, astuta ed ostinata volpe,
che la vigna di Pietro insidi e rodi:
non ti fia molto, no, ricovro fido
il malvagio covil, l’infame nido.

195

     Stagion verrá che la profana scola
caggia de l’eresia distrutta e guasta;
e tu pur da la destra inclita e sola
del tuo re primo e da l’intrepid’asta,
tarda ma grave, o scelerata setta,
a sí lungo fallir la pena aspetta!

196

     Dove, sacro furor, dove mi tiri?
che m’additi da lunge e che mi detti?
quai cose oscure a disvelar m’inspiri?
e quai d’alto valor futuri effetti?
Sí, sí: se ’l ver mi scopre Apollo in Pindo,
fien di Carlo trofei l’Arabo e l’Indo.

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197

     E fu legge fatal, forse da Dio
con caratteri d’òr lassú scolpita,
che de le piaghe, onde in sanguigno rio
per cinque ampi canali uscí la vita,
la sacra stampa in bianco drappo impressa
non fusse in terra ad altra man commessa.

198

     Oh di prezzo infinito alto tesoro,
oh sovr’ogni altra al ciel cosa diletta,
non di terrena man basso lavoro,
non d’oscuro maestro opra imperfetta,
figura il cui pittor fu Cristo essangue,
pennelli i chiodi e fu colore il sangue!

199

     Gran memoria d’amor, pegno divino
da farne invidia agli angeli celesti,
che de le fila di sí nobil lino
bramano ordire il vel, tesser le vesti,
qualor da’ sommi giri aprendo l’ali
prendon forma visibile a’ mortali.

200

     Vadane altier fra le memorie antiche
de la spoglia nemea l’amante d’Ila,
vanti il cultor de le guerriere spiche
del vello d’òr le preziose fila;
ma de’ sacrati e benedetti stami
vie piú felice il possessor si chiami.

201

     Lasciò quaggiú, tutto infiammato, Elia,
di vivo zelo e di pietoso affetto,
rapito al ciel per disusata via,
del proprio manto erede il suo diletto:
il Redentor la sanguinosa fascia
al suo caro, partendo, in terra lascia.

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202

     Ottenne giá l’ufficiosa ebrea
del Sol eterno, in sottil velo accolto,
mentre al vicino occaso egli correa,
di sangue ombrato e di sudore il volto:
questi, segnato di flagelli e pene,
del corpo tutto il simulacro ottiene.

203

     Sotto ’l favor de la tutrice tela
viva securo pur, dunque, e contento,
ché, qualor la sanguigna ombra si svela,
mette maggior ne’ barbari spavento,
che non fean con gli aspetti orridi e vaghi
del romano pennon l’aquile e i draghi.

204

     Né per altra cagion creder mi piace
ch’a sí alta ventura il ciel sortillo,
se non perch’egli incontro al Parto, al Trace
sia difensor del trionfal vessillo,
quasi fra tutti i re degnato a tanto,
confalonier de lo stendardo santo.

205

     E dritto fu, ch’ove il figliuol sovrano
di tale e tanto don prodigo fue,
la genitrice ancor con larga mano
piovesse nembi de le grazie sue;
né devea chi da l’un ebbe tal pegno
de’ favori de l’altra essere indegno.

206

     Quinci adivien che ne la sacra valle,
lá dove il Regio aventuroso monte
curva le verdi e spaziose spalle,
sporge l’ombrosa ed elevata fronte,
la vergin dea di sua bontate immensa
i tesori immortali apre e dispensa.

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207

     E ’l pio signor, che di cristallo e d’oro
l’imagine adornò de la gran prole,
de la gran Madre ancor con bel lavoro
l’effigie adorna di superba mole,
ricco tempio fondando al simulacro
de la Donna del ciel votivo e sacro;

208

     ove, da lunge erranti e peregrini,
traendo il fianco, i popoli devoti,
al nume verginal supplici e chini,
ergono altari a prova, affiggon voti,
e fan tra sculti argenti e fuse cere
fumare incensi e sfavillar lumiere.

209

     Ed ella, a cui lassú nulla si nega,
con alti effetti e con mirabil’opre,
a mercé di chi piagne e di chi prega
del ciel quaggiú le meraviglie scopre.
Pendon da l’alte mura intorno spasi
ne le tabelle istoriati i casi.

210

     Luci che, ’ngombre di perpetua notte,
non mirâro giá mai raggio celeste,
le tenebre natie disperse e rotte,
le stelle e ’l sole a vagheggiar son deste;
lingue, a cui voce articolar fu tolto,
de’ lor lunghi silenzi il nodo han sciolto;

211

     piante, che per lo suol gravose e tarde
strascinavan serpendo il corpo lasso,
dritte e leggiere e stabili e gagliarde
stendon spedite agevolmente il passo;
viscere giá gran tempo enfiate e grosse
son da l’antica sete alfin riscosse;

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212

     membra tremanti, assiderate, attratte
il perduto vigor rendono ai nervi;
corpi, cui furia iniqua agita e batte,
del principe infernal soggetti e servi,
vomitando lo spirito tiranno,
del flagello oppressor liberi vanno.

213

     Cose dal largo ciel concesse a pochi,
né mai vedute o da vedersi altrove
che ’n quei graditi e fortunati luochi,
dov’è la fé sí ben difesa, e dove
sua magione ha colui, cui far s’aspetta
de la Chiesa oltraggiata alta vendetta.

Note

  1. Del quale è questo il sommario, o «racconto di cose notabili»: «Lodi di Ambrogio Figino, pittore (stanza 1). Descrizione d’Italia (2). Descrizione dell’Alpi (13). Monviso (21). Origine del Po e sua qualitá (23). Don Carlo Emanuello, duca di Savoia (31). Nascimento di Sua Altezza (33). Fanciullezza (35). Due serpi uccise (40). Essercizi giovenili (43). Cittá di Torino (54). Descrizione della Galleria (56). Parti del corpo di Sua Altezza (70). Ordine della Santissima Annunziata (73). Palandrano portato in guerra da Sua Altezza (74). Abito de’ santi Maurizio e Lazzaro (78). Cavallo di Sua Altezza (80). Assedio di Vinone (83). Doti dell’animo di Sua Altezza (87). Lodi di Gabriello Chiabrera (90). Prudenza di Sua Altezza (94). Lodi del conte di Verua (97). Viaggio fatto da Sua Altezza in Francia (102). Temperanza (103). Fatiche (115). Fortezza (118). Lodi di don Amedeo di Savoia (134). Giustizia di Sua Altezza (137). Clemenza (143). Ingegno e dottrina (157). Parco e Mirafiore (160). Lodi di monsignor di Porcières e del cavalier Lodovico d’Aglié (162). Lodi di monsignor Giovanni Botero (165). Magnificenza e liberalitá di Sua Altezza (167). Rifiuto di regno in Arli (178). Religione (181). Valesiani e bernesi vinti (182). Corpo di san Maurizio (184). Genèva (187). Santissima Sindone (197). Madonna del Mondoví e suoi miracoli (206). Infirmitá mortale di Sua Altezza (214). Cardinal Carlo Boromeo (215). Sagittario, impresa ed ascendente di Sua Altezza (234-38)» [Ed.].