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346 | parte settima |
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E fu legge fatal, forse da Dio
con caratteri d’òr lassú scolpita,
che de le piaghe, onde in sanguigno rio
per cinque ampi canali uscí la vita,
la sacra stampa in bianco drappo impressa
non fusse in terra ad altra man commessa.
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Oh di prezzo infinito alto tesoro,
oh sovr’ogni altra al ciel cosa diletta,
non di terrena man basso lavoro,
non d’oscuro maestro opra imperfetta,
figura il cui pittor fu Cristo essangue,
pennelli i chiodi e fu colore il sangue!
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Gran memoria d’amor, pegno divino
da farne invidia agli angeli celesti,
che de le fila di sí nobil lino
bramano ordire il vel, tesser le vesti,
qualor da’ sommi giri aprendo l’ali
prendon forma visibile a’ mortali.
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Vadane altier fra le memorie antiche
de la spoglia nemea l’amante d’Ila,
vanti il cultor de le guerriere spiche
del vello d’òr le preziose fila;
ma de’ sacrati e benedetti stami
vie piú felice il possessor si chiami.
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Lasciò quaggiú, tutto infiammato, Elia,
di vivo zelo e di pietoso affetto,
rapito al ciel per disusata via,
del proprio manto erede il suo diletto:
il Redentor la sanguinosa fascia
al suo caro, partendo, in terra lascia.