Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione X

Il Purgatorio - Lezione X

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Lezione X

[L’oggettivazione in quattro personaggi del pensiero divino su Dante.

Stazio e Matelda.]


Il pensiero divino che opera in Dante viene obbiettivato, od estrinsecato in quattro personaggi. Il primo impulso parte dalla Vergine, madre delle grazie, mediatrice naturale tra l’uomo e Dio, la quale «si compiange», cioè sente compassione dello stato di Dante. La compassione è manifestata in Lucia, nemica di ciascun crudele. La misericordia diviene attiva mediante l’amore, incarnato in Beatrice. Dante però non può ancora vedere Beatrice nel suo stato di perversitá; né vi giunge se prima non si purifica mediante l’aiuto di Virgilio, che non ha niente di divino, che è il pensiero puramente umano, e col quale Dante può entrare subito in comunicazione.

Il primo effetto del pensiero divino è che Dante si accorga di avere smarrito la buona via, ed aspiri a ritrovarla. Siccome questo pensiero viene dall’alto, Dante ne ha una oscura coscienza, come di chi sogna vedendo fantasmi anzi che idee. Cosi la terra ingombra di vizii, in cui si trova, gli pare una selva; e la via buona gli pare un monte irradiato dal sole. Gli antichi riducevano i peccati a sette, ed i sette a tre, superbia, lussuria ed avarizia, che gli appariscono in forma di Leone, di Lonza e di Lupa, e lui che sforzavasi di salire il monte ripingono verso le tenebre. Dante dunque per l’abitudine del male non può con le sole sue forze giungere a redenzione o libertá; qui comparisce l’elemento soprannaturale. De’ quattro persona ggi i due primi esprimono il semplice impulso, Beatrice e Virgilio esprimono l’azione e sono perciò attori. Comparisce Virgilio. Il quale, come Dante, è a un tempo simbolo e persona, e come deve essere ogni creatura poetica, ha tutta la pienezza della vita reale. La parte poetica che risplende in lui, non si riferisce giá al sapiente, al profeta, al mago, ma al poeta. Quando Dante lo conosce, dimentica il pericolo che corre, ed esprime [p. 280 modifica]quel sentimento che provava verso di lui, misto di affetto, di maraviglia e di ammirazione. Omero Dante lo conosceva per fama; Virgilio è il suo maestro, il suo esemplare; ingenua ammirazione, che noi possiamo concepire in un tempo in cui non c’era altra letteratura che la latina, e dove i racconti maravigliosi come quelli dell’Eneide dovea[no] far tanto effetto sopra uomini ancora barbari e dominati dalla fantasia.

Virgilio conosce l’inferno; guida con sicurezza Dante; impera a’ demoni; gli scioglie tutti i suoi dubbi. Ma nel purgatorio tentenna, chiede indirizzo o a questa o a quell’anima, e la sua guida divien sempre piú mal sicura, insino a che non viene in suo aiuto Stazio, il quale dopo esser stato 500 anni in purgatorio saliva al cielo. Stazio era imitatore ed ammiratore di Virgilio; ed il poeta se n’è giovato, per cavarne alcuni effetti drammatici. Il riso di Dante, la sorpresa di Stazio, quell’impeto di affetto, che gli fa abbracciare i piedi di Virgilio, obliando di essere un’ombra, danno vita a questo episodio.

Con questa doppia guida Dante giunge all’ultimo girone, ove un muro di fiamme lo separa dal paradiso terrestre. Sente il canto di lá che lo invita a passare e nasce una scena stupenda per una certa fanciullesca ingenuitá, con la quale è dipinta l’esitazione di Dante innanzi a quel fuoco. Rimane fermo con gli occhi a terra, con le mani giunte, quando al nome di Beatrice volge l’occhio a Virgilio, come un fanciullo vinto al pomo. Passato il fuoco. Dante è purificato e diviene libero, conscio del male e del bene; è egli stesso il suo papa ed il suo imperatore; non ha piú bisogno di Virgilio.

Entrato nel paradiso terrestre, incontra Matilde, secondo alcuni la vita attiva, secondo altri la Chiesa. Matilde è il presentimento di Beatrice, come il paradiso terrestre è il presentimento del celeste; Matilde è il celeste in forma ancora terrena, quindi quel suo riso, quella spensierata gaiezza, quel coglier fiori, tutte le attitudini di una giovinetta ingenua ed innocente. Il poeta le aggiunge ancora due qualitá, che hanno virtú di spiccarci dalla terra ed elevarci verso 1 ’ infinito delle cose celesti, la melodia del canto e la leggerezza del ballo. Ella canta come un angelo e [p. 281 modifica]cammina come una silfide; ed il canto ci ruba la vista della forma e c’innalza al puro sentimento; ed il ballo spoglia il corpo della sua gravitá e gli dá qualche cosa di etereo e di spirituale.