Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione IX

Il Purgatorio - Lezione IX

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Lezione IX

[Dante attore del suo mondo. Differenze tra Dante e Faust.]


Nel punto che Dante salendo al paradiso terrestre passa da uno stato nell’altro, è utile che considerata la visione, esaminiamo un poco il veggente, la parte che vi rappresenta Dante stesso. Dante non è solo il poeta od il cantore del suo mondo, ma l’attore principale e permanente. Egli è per dir cosí l’aria della poesia, colui che esprime l’impressione od il sentimento di ciò che si vede. La visione che, trasformata in impressione, risuona al di dentro del cuore. Né è solo una semplice eco, un viaggiatore di ozio e di curiositá; ma il viaggio è ordinato ad uno scopo alto e serio. È lo stesso scopo del Faust. Ambi partono dal male per giugnere al bene. Senonché il male per Dante è la vita reale, gl’interessi terreni che gli hanno fatto obbliare [p. 277 modifica]l’eterno; ed il bene è la contemplazione dell’eternitá, cioè a dire l’assoluta scienza, che mette capo in Dio, pura intelligenza. Per Faust il male è la pura scienza. Egli studia, studia senza riempiere il vuoto dell’animo e sente il bisogno di uscire dall’astrazione e gittarsi nella realtá. L’uno viaggia per i mondi dell’Eterno, l’altro percorre tutte le fasi del mondo storico antico e moderno. Egli è che il Dio di Dante è la scienza pura, il puro spirito; laddove il Dio di Goethe è il mondo vivente, lo spirito incorporato e realizzato. Donde nasce nella somiglianza dello scopo tanta diversitá nel contenuto delle due poesie. A ciò si aggiunge un’altra differenza. Amendue sono simboli dell’idea. Faust rimane rigorosamente simbolico; è l’idea fatta persona, nella quale non si trova altra qualitá che quello solo che si riferisce all’idea. Nessuna determinazione di luogo e di tempo; nessuna traccia di passioni, di partiti, di odii, d’inimicizie, di amori, d’interessi estrinseci alla concezione generale. Quindi dove l’allegoria non può esser colta, Faust rimane un personaggio freddo ed inintelligibile, massime nella seconda parte. In Dante al contrario ci sono due uomini, l’uomo ed il tale uomo, vale a dire del tal secolo, della tale cittá, del tale partito, con le tali passioni, convinzioni ecc.: ed è questa ricca personalitá che rimedia a quel non so che di glaciale e di astratto che è in tutte le allegorie, ed insinua il calore e la vita nella poesia. Sicché anche dove il significato simbolico rimane oscuro, resta la lettera vivente, che basta ad assicurare alla poesia un interesse permanente. Oltre a queste due differenze di fondo, c’è una differenza notabile di forma. Faust ha una chiara coscienza del suo successivo trasformarsi; e perciò può analizzare se stesso e manifestare drammaticamente quello che avviene nel suo spirito; indi la ricchezza lirica o subbiettiva del colorito. Dante quando si manifesta come il tale uomo, si esprime chiaramente e riccamente, come nelle sue parole a Niccolò III e nella sua digressione sull’Italia. Ma quando egli è un personaggio simbolico, e passa da uno stato nell’altro, sceglie una forma tutta particolare, che merita di essere osservata. L’uomo secondo il poeta non può rilevarsi dal male con le sole sue forze; gli è [p. 278 modifica]mestieri la grazia di Dio. Quel pensiero che gli fa sentire il male e lo sospinge verso il bene è una ispirazione di Dio, un pensiero divino, di cui l’uomo non ha una chiara coscienza, che sfugge alla riflessione. E siccome in sogno l’uomo non è turbato dalla carne ed è meno soggetto alla riflessione, l’autore adopera il sogno per esprimere il confuso sentimento che ha del suo passaggio da uno stato nell’altro. Nel sogno, dice il poeta, la mente pellegrina

                                    Piú dalla carne, e men dai pensier presa
Alle sue vision quasi è divina.
                                                                           (canto IX)
     
E altrove:
                                    Mi prese il sonno; il sonno che sovente,
Anzi che il fatto sia, sa le novelle.
                                                                      (canto XXVII)
     

Perciò quando passa nell’inferno, cade come uomo preso dal sonno, e si trova nell’inferno senza che egli ne sappia il come. Quando passa nel purgatorio, sogna che un’aquila lo rapisce nella sfera del fuoco. Si accorge di passare da un punto a un altro; non sa ancora per opera di chi: è Lucia che era venuta a prenderlo. Quando ha espiato i quattro peccati piú gravi, gli apparisce l’immagine de’ tre ultimi peccati; ma non sa chi sia la donna che ne lo libera: questa donna è Beatrice. Quando passa nel paradiso terrestre acquista una chiara coscienza del passato, della vita attiva, ed ha un presentimento dell’avvenire, della vita contemplativa. È il piú bel sogno della Divina Commedia. Questi due stati sono rappresentati sotto la figura di due donne, Lia e Rachele, delle quali l’una si adorna per farsi bella e potere un giorno mirarsi allo specchio, mentre l’altra sta immobile, in una perpetua contemplazione. Ma quando Dante è entrato nel paradiso terrestre al tutto purificato, riconosce Beatrice ed acquista una chiara coscienza del suo passato, cioè a dire ha una chiara cognizione del male da cui s’è liberato. Qui dunque la forma del sogno sparisce e manifesta se stesso subbiettivamente.