Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione VIII

Il Purgatorio - Lezione VIII

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Lezione VIII

[Limite poetico del canto delle anime.

La casta bellezza del paradiso terrestre.]


Il pentimento è il concetto organico del purgatorio, nel quale si riuniscono i due termini opposti, la memoria della colpa e l’aspirazione alla virtú. Cosi nelle pene talora troviamo un’immagine del passato, come negli irosi, negli invidiosi, nei lussuriosi, talora un’immagine dell’avvenire, come nei superbi. Parimente nelle anime oltre alla memoria del passato troveremo quella pace e quell’amore, che esprime l’avvenire. E giá si è potuto veder questo in alcuni individui, come nella Pia ed in Manfredi, cosí spogli di ogni cattiva passione, di una natura si dilicata e soave. Ma noi lo vedremo ancora piú spiccatamente [nei] cori, dei quali è privo l’inferno regno dell’odio. Le anime stanno tra loro come fratelli; incontrandosi si baciano una con una; insieme ricordano le colpe e le abborrono; insieme contemplano le virtú e se ne innamorano; effondono i loro sentimenti insieme, cantando a coro. Il canto è l’ultima espressione del purgatorio, la sua lirica. E se il poeta avesse composti de’ canti, che esprimessero i diversi affetti delle anime, dolore, amore, pentimento, preghiera, sarebbero questi le gemme del poema, ma l’autore si è tenuto stretto ai canti della Chiesa, de’ quali cita in latino il primo versetto. Certo questi salmi sono scelti con giudizio, e corrispondono al sentimento presente delle [p. 275 modifica]anime. Cosi entrando nel purgatorio, intuonano il salmo: «In exitu Israel de Aegipto», cantato dagli Ebrei quando uscirono dalla servitú di Faraone. Ed ora cantano il «Te Deum», ora il «Salve regina», ora il «Miserere»; e quando un’anima va in paradiso, s’intuona il «Gloria in excelsis Deo!». Un solo di questi canti è tradotto in italiano, il «Pater noster». Il poeta dunque s’indirizza a certi tempi ne’ quali si conosca il sentimento espresso dal salmo in tutto il suo sviluppo. Ma la poesia dee esprimere con pienezza il sentimento; e questa povertá subbiettiva dá al purgatorio un non so che di arido e di secco. Il poeta supplisce a questo difetto col mezzo delle forme, rappresentando nelle attitudini esteriori l’interno. Tale è quell’anima, che sta con le palme levate, e con gli occhi verso l’Oriente, come dicesse a Dio: «d’altro non calme». Le stesse attitudini troviamo ne’ gruppi, come nel canto III. L’autore che paragona il cascare de’ dannati nella barca di Caronte alla caduta delle foghe in autunno, immagine funebre della morte delle umane cose; paragona le anime che entrano in purgatorio a pecorelle semplici e quiete, e la loro faccia pudica ed il passo onesto testimonia l’interna quietudine. Questi due termini li troveremo ancora nella natura. Il purgatorio esce dall’inferno, ma in una forma opposta andandosi sempre piú allargando, siccome i peccati sono sempre piú lievi, di modo che la lussuria, il primo peccato dell’inferno, è l’ultimo del purgatorio. Questa montagna è un misto di orrido e di ameno. Cosi dopo che il poeta ci ha presentato una lacca rotta ed un sentiero sghembo (canto VII) ci conduce in un seno, dove le anime cantano il «Salve regina», e dove con tanta freschezza e sentimento è descritto lo splendore dell’erbe e de’ fiori e la soavitá degli odori. Né meno sentita è l’impressione del poeta alla prima vista del sole, ed all’alba nascente, che gli fa veder di lontano il tremolare della marina (canto I). Con questo alternare si procede, in sino a che cessa il purgatorio, e l’anime bevendo nel Lete dimenticano il passato, bevendo nell’Eunoè acquistano la forza della virtú. Quindi l’anima ritorna nel primitivo stato d’innocenza; il che ha condotto Dante a collocare sulla cima del purgatorio [p. 276 modifica]il paradiso terrestre, simbolo del celeste. Sono noti i giardini del Poliziano, dell’Ariosto, del Tasso, spiranti voluttá e mollezza. La descrizione di Dante è di quella casta bellezza che si richiede alla santitá del subbietto. Vi sono alcune immagini congiunte col sentimento che ne nasce, che si legano a tante altre immagini accessorie. Nel primo metter piede nella selva prova un certo sentimento ricreativo, vedendo la luce del giorno temperata dal verde dell’erbe e dalle ombre, e dalle fronde. S’incammina lento lento, quasi volesse sentire ad uno ad uno tutti gli odori. Vuol farci sentire quel sentimento di benessere che si prova quando sotto il calore del sole si sente battere nella fronte un’aura dolce; ed adoperando il verbo ferire, ne corregge il significato, dando cosí con questa correzione maggior risalto alla dolcezza dell’aura (canto XXVIII). Con naturale passaggio viene alle fronde e agli uccelli, ed è una delle immagini piú belle della natura, quel mostrare, che ti fa, gli uccelli sulle foglie tremolanti, che bevono con tutta letizia le fresche aure del mattino, e cantano, mentre il sussurro delle fronde fa loro eco.