Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione V
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Lezione V
[Il sentimento e il pensiero del divino negli angeli e nei beati.]
Le forme poetiche del Paradiso sono illusorie, rimanendo a distanza dall’oggetto che debbono rappresentare. Cosi quando Dante paragona il cangiamento del volto di Beatrice ad una donna che arrossa per vergogna e poi rimbianca; o quando paragona gli spiriti nuotanti nella luce a’ granelli di polvere o minuzie de’ corpi moventisi in un raggio di sole; quello che ci è di netto è il terreno, ed il celeste rimane in una vaga lontananza. Le forme dunque sono illusioni; l’obbietto da loro rappresentato è anch’esso una illusione, poiché la luce non è l’anima, ma la sua parvenza ed è illusione ancora il cangiamento della luce di colore e d’intensitá. Per ogni dove in cielo è paradiso, la luce è immutabile; Dante è che muta. Quanto piú sale su, tanto piú s’india, e tanto piú i suoi occhi acquistano di vigore; sicché vede le cose celesti piú lucenti, piú belle; e la visione piú chiara gli è indizio ch’egli è salito piú alto, che è cresciuto in virtú.
Siccome per sentir piú dilettanza, Bene operando l’uom di giorno in giorno S’accorge che la sua virtú te avanza; Sí m’accors’io che il mio girare intorno Col cielo insieme, avea cresciuto l’arco, Veggendo quel miraeoi piú adorno. |
Similmente Beatrice apparisce dapprima in luce temperata, e a poco a poco gli si svela, non essendo i suoi occhi negli infimi gradi del cielo potenti a contemplarla in tutta la sua bellezza. Una volta gli dice che la sua bellezza
Se non si temperasse, tanto splende. Che il suo mortai podere al suo fulgore Sarebbe fronda cui tuono scoscende. |
La forma dunque è una illusione; la veritá non è in lei, ma nello spirito, cioè nel sentimento e nel pensiero. Il poeta dunque dee stracciare la forma e penetrare nel regno del puro spirito.
Nelle varie gradazioni del sentimento e del pensiero il primo grado che incontriamo è quello dell’angelo. Qui il sentimento è istintivo, la veritá è intuizione, la vita è spontanea ed irriflessa. Sono esseri tripudianti e folleggianti, in tutto quell’abbandono che è proprio de’ fanciulli, arte e giuoco come dice il poeta.
Chi è quell’angel, che con tanto giuoco, Guarda negli occhi la nostra regina Innamorato si che par di fuoco? |
Noi li vediamo girare intorno a Maria, e stendersi verso di lei, come il fantolino che tende le braccia verso la mamma. Ora li vedi calarsi nella rosa de’ beati, ora risalire verso Dio,
Siccome schiera d’api che s’infiora Una fiata ed una si ritorna Lá dove suo lavoro s’insapora. Le facce tutti avean di fiamma viva E l’ale d’oro, e l’altro tanto bianco Che nulla neve a quel termine arriva. |
Il sentimento che si rivela in loro e ne’ santi, è una perfetta beatitudine. Presso gli antichi questa era posta nell’eguaglianza dell’animo, che portata alle sue ultime conseguenze va a finire nell’apatia stoica, nella negazione delle passioni, il cui codice morale è il manuale di Epitteto.
Aequam memento rebus in arduis Servare mentem. |
Gli Dii hanno pure le passioni umane ma senza perder mai la coscienza del divino, cioè l’eterna loro serenitá. Il santo cristiano congiunge con questa pace interiore un ardore inestinguibile di affetto. Il savio antico può raggiungere il suo ideale anche in terra; l’ideale cristiano è di lá da questa vita. Vedetelo nelle pitture: il santo vi è rappresentato alto da terra, cinto di angeli e di luce, con gli occhi al cielo. E quando giugne in paradiso, il suo scopo è raggiunto con la visione di Dio; e non di meno il desiderio non è placato; piú vede e più desidera di vedere. È il sublime o l’infinito dell’amore, perenne desiderio e perenne appagamento, pace ed ardore:
Quando scendean nel fior di banco in banco, Porgevan della pace e dell’ardore, Ch’egli acquistavan, ventilando il fianco. |
Ora questo sentimento anche negli uomini si mostra sotto la forma spontanea ed irriflessa, nel raggiar della luce, nel gesto, nell’attitudine. Tale è l’affetto di Beatrice, quando aspetta l’apparizione di Cristo, ed il poeta la paragona ad un uccello che aspetta l’alba con ardente affetto:
Come l’augello in tra le amate fronde Posato al nido de’ suoi dolci nati La notte che le cose gli nasconde. Che per veder gli aspetti desiati, E per trovar lo cibo onde gli pasca, In che i gravi labor gli sono aggrati; Previene il tempo in su l’aperta frasca, E con ardente affetto il sole aspetta. Fiso guardando pur, che l’alba nasca. |
La bellezza qui nasce dalla delicatezza e veritá degli accessorii espressi per lo piú in un solo epiteto, come «amate fronde», «dolci nati», «posato», «aperta frasca», «pure» ecc.: ma quest’affetto spontaneo è cosí lirico e musicale, che non vi si può sopra edificare un intero poema epico. Rari sono quei luoghi, ne’ quali entrano gli angeli, e piú rari quelli ne’ quali gli uomini si manifestano a quel modo. Ma alla vista ed alle parole di Dante essi parlano e con la parola sorge nel paradiso l’elemento riflesso.