Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione IV

Il Paradiso - Lezione IV

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Lezione IV

[La forma lirico-musicale
caratteristica della visione e dell’impressione.]


Queste due forme costituiscono nel loro insieme quella forma lirico-musicale, che Schlegel attribuisce a torto a tutta l’arte moderna, [e che] è propria solo di alcuni periodi; quando le forme religiose nascono, e quando si dileguano o si trasformano.

Dante appartiene al primo periodo; e però il suo paradiso è l’espressione piú compiuta di questa forma musicale. Come il suono non ti porge alcuna immagine diretta, ma te ne desta tante nell’anima, cosí la visione e l’impressione dantesca ti presenta fantasmi evanescenti anzi che corpi distinti. Questa stessa forma, quantunque cosí assottigliata, è ancora soverchia, e troppo vivo colore per rispetto al puro divino. Se ella può convenire agli uomini santificati, dove è ancora alcuna traccia dell’umano, falsificherebbe il divino la cui essenza è di non aver forma e di sottrarsi all’immaginazione. Il Dio degli Ebrei sta occulto nel santuario, senza forma e senza nome. Secondo il concetto cattolico-cristiano c’è un abisso tra la fattura ed il fattore; Dio rimane al di sopra della fantasia e dell’intelligenza; si può credere ma non si può comprendere.

                                         Perch’io l’ingegno e l’arte e l’uso chiami,
Si noi direi, che mai s’immaginasse.
Ma creder puossi e di veder si brami.
     
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                                         E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza non è meraviglia

               .... ogni minor natura
È corto ricettacolo a quel Bene,
Che non ha fine e sé in sé misura.
     

Quindi Dante dee attingere il divino non con la forma ma con la negazione della forma. Le estreme tenebre e l’estrema luce conseguono entrambe lo stesso effetto rubandoci la vista degli oggetti. Nel paradiso è il soverchio della luce, che toglie a Dante la visione. Come il sole che in un cielo sereno si sottrae all’occhio per la troppo viva luce che ne emana; cosí la figura di Cacciaguida per troppa letizia si nasconde entro il suo raggio. Parimente vediamo gli angioli illuminati senza vedere Cristo illuminante, come si vede un prato di fiori illuminato da un raggio, che scappi da una nube fratta senza vedersi il sole. Quanto la figura principale è meno rappresentata, tanto sono espresse con più smaglianti colori le figure accessorie, nelle quali non si acqueta la fantasia, ma spicca di lá. il volo verso quel piú alto ideale che le fugge dinnanzi. Voi vedete turbe di angioli in forma di facella disposte in cerchio, e di lá esce un cantico in lode di Maria; tutti gli altri ripetono questo nome; tutti la lodano, tutti la chiamano, e Maria sta al di sopra in una vaga lontananza, occulta al poeta.

La figura principale è sparita, ma rimangono ancora le figure accessorie. Alla fine anche queste svaniscono e la forma si dilegua come neve al sole o come le foglie lievi della sibilla al vento. La visione sparisce, rimane il sentimento. Con la visione sparisce insieme la poesia, e con la poesia finisce il poema.

                                    All’alta fantasia qui mancò possa.